Le ‘grave’ a Gioia

Pianta di Gioia a forma di pesce con l’indicazione di laghi e lame

Il territorio di Gioia, di forma irregolare, simile ad un pesce, quasi a ricordare che un tempo era ricoperta da acque marine, come  si evince da fossili marini presenti nei sedimenti rocciosi, appartiene alla cosiddetta zona dell’Alta Murgia e presenta caratteri climatici e morfologici propri.

Dal punto di vista della struttura geologica il territorio appartiene al cretacico con formazioni calcaree per l’85%, tufacee per il 13% e sabbie gialle per il 2%.

La natura pianeggiante o collinare del nostro territorio, unitamente al fenomeno carsico determina la mancanza di corsi d’acqua superficiali. Questa mancanza è accentuata dalla presenza di numerosi voragini o inghiottitoi che nel gergo locale sono noti come ‘gravi’. Continua la Lettura

Il restauro della fontana di Piazza XX Settembre

Locandina cerimonia restituzione alla Città della fontana di Piazza XX Settembre

Il giorno 5 marzo 2023 si è tenuta la cerimonia di restituzione alla città della fontana di Piazza XX Settembre, il cui recente restauro è stato curato dal Rotary Club Acquaviva delle Fonti-Gioia del Colle in collaborazione con l’Amministrazione comunale di Gioia.

Il restauro è stato fortemente voluto sin dal 2021 dal dott. Dino Marazia, allora presidente del Circolo Unione di Gioia, allorquando in procinto di terminare il suo mandato presidenziale si accingeva ad assumere il ruolo di Presidente del suddetto Rotary Club. Questo suo desiderio non ha trovato realizzazione perchè prima di assumere il nuovo incarico è improvvisamente e prematuramente scomparso. I due Presidenti che si sono succeduti alla guida del Rotary, il dott. Vito Pappalepore ed il dott. Elia Masi hanno fatto propria la volontà del dott. Marazia, e, dopo lunghe pratiche burocratiche, hanno portato a compimento il restauro della fontana in Piazza XX Settembre.

A proposito della denominazione di tale Piazza occorre ricordare che fino alla proclamazione dell’Unità d’Italia il luogo era chiamato Largo Monte in onore dell’omonima nobile famiglia gioiese che abitava in quel Borgo, chiamato San Vito, che stavo sorgendo ad oriente di quello spiazzo. Continua la Lettura

Le chiese di San Nicola de Palearis, di San Pietro Novizio e S. Pietro de Sclavezzùlis

Pianta topografica del Canale di Gioia, detto di S. Nicolò delle Pagliare, disegnata dal compassatore della Regia Dogana Donatello Mei Porticella, anno 1604, Arch. Stor. Bari

Il tabulario Federico Pinto nell’Apprezzo della Terra di Gioia del 1611 afferma: E fuori di detta Terra su una pianura vi sono tre Chiese, e cappelle antiche posti in diverse parti della campagna, che hanno del guasto de numero de 300 e più … Tale affermazione è ripresa dall’abate Francesco Paolo Losapio nella Cornice riportata nel Quadro Istorico Poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia: che dovunque il guardo / rivolgi, altro non vedi che trofei / d’amor, di fè, di carità votive / are novelle, nuovi altari e chiese, / cappelloni, cappelle e sacri ospizi, / sì privati che pubblici oratorii, / e da per tutto, a tal che a ben trecento / ne novera non senza meraviglia, / e ne commenda la Città sì ricca, / estesa tanto,  popolosa e adorna, / il tavolario  Pinto, che poi dopo, /la piange grama, desolata e priva / d’abitanti non men che d’ornamenti …

Il numero 300 sembrerebbe una svista del redattore dell’Apprezzo, che avrebbe aggiunto uno zero in più, anche alla luce del fatto che nel 1611 a Gioia dovevano essere presenti 526 fuochi, pari a circa 2630 abitanti e che lo stesso Losapio afferma che qualche anno dopo Gioia aveva un numero limitato di abitanti.

Lo stesso abate Francesco Paolo Losapio, nel primo Canto del citato libro, afferma che nel secolo nono, a seguito della invasione del nostro territorio da parte dei Saraceni, Gioja si giacque a seconda volta e gli avanzi scampati a tanto danno / ne’ vicin boschi sen vanno … chi su Monte Sannace o in Frassinete, / chi di Pagliara…,  Erano i primi due dagli abitanti / luoghi sagrati alla Divina Madre, / il terzo a San Nicola  e a tutt’i Santi. Continua la Lettura

Il carbonaio

La Befana con il carbone dolce

Il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, la tradizione popolare vuole che la Befana porti doni ai bambini: giocattoli e dolciumi per quelli bravi e pezzi di carbone per quelli che durante l’anno appena trascorso si sono comportati da monelli. Si trattava di carbone vero, cioè quello ottenuto dalla combustione della legna, anche se ai giorni nostri è stato sostituito con carbone dolce, commestibile.

Gioia del Colle in passato faceva parte della Peucezia, un’ampia zona che si estendeva in gran parte della provincia di Bari e sconfinava anche in quelle di Taranto e di Matera.  Era una terra ricca di boschi, come la confinante Lucania (da lucus, bosco), regione per eccellenza ricoperta di boschi.

Per gli usi domestici, come cucinare e riscaldare le abitazioni, si utilizzava la legna che i boscaioli tagliavano nei boschi. Anche per le attività artigianali, come costruire case, carri, attrezzi agricoli, utensili, e per l’utilizzo di suppellettili, come ogni specie di mobili, si faceva ricorso al legname.

Per avere continuamente a disposizione la legna per i vari utilizzi era buona prassi piantumare nuovi alberi in zone difficilmente coltivabili a cereali ed ortofrutta, cioè in terreni impervi o montuosi o con abbondante presenza di pietre.

Uno degli scopi principali del taglio dei boschi era anche quello di avere a disposizione maggiori estensioni di terreno da utilizzare per le pratiche agricole e per andare incontro al bisogno di ulteriori quantità di derrate alimentari e di cibo a causa dell’aumento demografico della popolazione.

Il taglio dei boschi e la potatura degli alberi, inoltre, fornivano la materia prima per ottenere il carbone.

Uno dei mestieri ormai scomparsi che un tempo dava lavoro ai nostri conterranei era quello del carbonaio.

Un quintale di carbone equivale, in termini di calorie, a circa dieci quintali di legna. Un viaggio di carbone con un mulo, che era in grado di trasportare anche due quintali di legna, equivaleva al trasporto di 20 quintali di legna, con grande risparmio di tempo e di sforzo. Fu questo uno dei motivi che portò alla produzione del carbone.

Per svolgere il mestiere del carbonaio era indispensabile il lavoro del boscaiolo, che doveva fornirgli la materia prima.

I boschi potevano essere demaniali, e quindi soggetti all’autorizzazione del Comune per essere utilizzati, di uso civico e quindi accessibili a tutti oppure potevano appartenere a privati cittadini, i quali decidevano di tagliarli per avere una quantità di legna anche per ottenere carbone, secondo le norme governative allora vigenti.

La presenza di numerosi boschi nel territorio di Gioia ha favorito da noi l’attività dei carbonai.

Una carbonia nella zona del Pollino. http://biagio.propato.org/la-carivunara-carbonaia-nellalta-valle-del-frido/

Svolgere l’attività di carbonaio era un mestiere che si tramandava di padre in figlio e si svolgeva in prossimità dei boschi, da cui si attingeva la materia prima per produrre il carbone, proprio per evitare la fatica e le spese per il trasporto della legna. Solo in alcuni casi la carbonaia era distante dai boschi, nel qual caso si utilizzavano gli asini, i muli o i cavalli per il trasporto della legna.

Le fasi più importanti erano: la palificazione, l’accatastamento della legna, la copertura e la combustione.

Si sceglieva una radura pianeggiante nel bosco, priva di vegetazione per impedire incendi, dove impiantare la carbonaia. Dopo aver spianato la base, una piazzuola circolare di varie dimensioni, adeguata alla quantità di legna da utilizzare, iniziava l’edificazione della carbonaia.

Intorno ad un’apertura centrale, detta camino, che serviva ad alimentare la combustione, si ponevano, in modo obliquo, sovrapposti e paralleli tra di loro, i pezzi di legna più grossi, fino ad arrivare alla parte esterna, ricoperta con tronchi più piccoli.

Si otteneva la forma di un cono con la punta rivolta verso l’alto, che assumeva la forma di un trullo o, meglio, di un vulcano, per la presenza di un’apertura nella parte superiore.

Una volta terminata la composizione di questa catasta di legna si ricoprivano le pareti laterali con vari strati di rami secchi, paglia e foglie secche delle piante; il tutto poi veniva ricoperto con della terra, per impedire che l’ossigeno, filtrando nell’interno, producesse una combustione a fiamma, con conseguente distruzione ed incenerimento del legname.

Per mettere in funzione la carbonaia si prendeva della brace, precedentemente ottenuta, e si introduceva dalla sommità del vulcano attraverso il camino che era stato preparato, insieme a pezzi di legno.

Si faceva accendere la brace sotto al camino e subito iniziava il lento processo di combustione di tutta la carbonaia. Si chiudeva il foro centrale con rametti, paglia e foglie e si ricopriva il tutto con terra.

Carbonaie a San Giovanni Rotondo

Dopo aver acceso la carbonaia dalla parte superiore (alcuni provvedevano ad accenderla da un’apertura inferiore); si praticavano dei piccoli fori laterali nella parte bassa, a seconda della direzione del vento, per fare arrivare un po’ di ossigeno all’interno per alimentare la combustione.

Siccome l’ossigeno è limitato non si ha una vera e propria combustione, ma una disidratazione per cui la legna si cuoce lentamente senza bruciare, con conseguente carbonizzazione della stessa.

A seconda della grandezza della carbonaia la stessa poteva ardere per dieci, venti o addirittura trenta giorni. Osservando come la carbonaia ardeva i fori potevano essere effettuati più in alto o più in basso.

La carbonaia veniva controllata anche di notte perché se la combustione da lenta diventava eccessiva poteva prendere fuoco e andavano sprecati non solo i quintali di legna utilizzata, ma anche il lavoro di un intero anno, oltre il mancato guadagno economico. Per questo motivo i carbonai in genere vivevano in baracche vicino alla carbonaia.

Traporto legna per una carbonaia

Quando il processo di carbonizzazione era terminato, e ci si accorgeva dal fumo bianco che lentamente si dissolveva, si smontava la carbonaia. Quando il carbone si era raffreddato si raccoglieva in sacchi di tela o di iuta e con carri trainati da animali veniva trasportato nei magazzini per essere venduto oppure alcuni commercianti passavano attraverso le strade dei paesi perché gli abitanti che ne erano sprovvisti ne facessero scorta per l’inverno.

Carbonaio era anche il venditore ambulante di carbone, che girava per i paesi con un carro carico di sacchi di carbone e carbonella che vendeva dopo averne misurato la quantità in stoppelli o mezzetti.

Il carbone e la carbonella, infatti, erano usati per i bracieri per riscaldare gli ambienti domestici e anche per riscaldare i ferri da stiro per la stiratura dell’abbigliamento e di lenzuola ed asciugamani.

Poiché durante le operazioni di pesatura e di travaso la polvere che si sollevava anneriva le mani e il volto dei carbonai, le mamme per far cessare i capricci e azioni cattive cercavano di intimorire i propri figli dicendo loro che se avessero continuato nei loro atteggiamenti sarebbe venuto l’uomo nero.

Tutti i membri della famiglia, anche i più piccini, erano coinvolti durante la preparazione e poi nell’insaccamento del prodotto.

Molti contadini producevano la carbonella per soddisfare le necessità della famiglia; la quantità eccedente la vendevano.

Mezzetto e stoppello per la vendita del carbone

Oggi il carbone, quando serve, si acquista nei grandi magazzini.

Svolgere il lavoro del carbonaio è un’attività molto dura e sporca, da svolgere con qualsiasi clima: pioggia, gelo, afa. Richiede molti sacrifici e si dorme poche ore di notte.

Sembra che la pratica di produzione del carbone risalga ai Fenici.

Anche a Gioia vi erano lavoratori che svolgevano il compito di carbonaio ed altri che andavano in giro per il paese a vendere carbone e carbonella. Un cittadino gioiese, in particolare, per la sua attività di venditore di carbone, veniva soprannominato Luchett u carvenarìjr, cioè Luca, il venditore di carboni.

In contrada Marchesana è ubicata una masseria, la cui costruzione risale al 1820 che oggi è sede di una cantina che produce il famoso vino Primitivo di Gioia del Colle.

Uno scorcio della Masseria Polvanera, antica abitazione di carbonai

La masseria, infatti, è stata acquistata dal signor Filippo Cassano, il quale ha dato al suo vino Primitivo la denominazione di Polvanera. Tale denominazione è dovuta al fatto che la masseria in origine era utilizzata per la produzione di carbone. La famiglia che era proprietaria della masseria veniva indicata con il soprannome dialettale Polvagnor, in italiano Polvere nera, a ricordo dell’antica tradizione di produrre in quella zona i carboni e della polvere nera che si sprigionava durante il processo di combustione e di insacchettamento dei carboni. La pelle, infatti, a contatto con la polvere del carbone, acquisiva una colorazione scura. Alcuni locali della vecchia masseria mostrano ancora i segni del rilascio di quella polvere nera anche sulle pareti di pietra della costruzione.

© È consentito l’utilizzo del contenuto di questo articolo per soli fini non commerciali, citando la fonte ed il nome dell’autore.

Boschi e lupi nel territorio di Gioia del Colle

Boschi sul Pollino, in Lucania

I Romani chiamarono la Basilicata con il nome di Lucania, da lucus, che significa bosco; infatti la Lucania costituiva il luogo da cui essi attingevano il materiale ligneo soprattutto per la costruzione delle navi.

Come riferiscono alcune fonti documentarie, il territorio del Comune di Gioia nei tempi passati era coperto di boschi che erano utilizzati dagli abitanti sia per procurarsi la legna per usi domestici, come mobili o per ottenere carbone sia per cacciare selvaggina e raccogliere frutti ed erbe di cui cibarsi. I boschi, inoltre, offrivano sicuri ed inaccessibili ricoveri ai briganti locali e a quelli provenienti dalla Basilicata.

La vecchia strada lastricata BA-TA passava per Monte Sannace, ma già dalla fine de 1100 non era più percorsa ed era stata abbandonata, per la nascita e lo sviluppo dell’abitato gioiese. Continua la Lettura

Antiche Chiese e Cappelle rurali nel territorio di Gioia

Apprezzo della Terra di Gioia del 1611

Nei secoli passati nel territorio di Gioia erano ubicate numerose Chiese e cappelle rurali, di molte delle quali non rimane che la denominazione, poiché sono andate distrutte o per opera di popoli invasori o per l’azione distruttrice del tempo.

Più numerose delle Chiese cittadine erano le Cappelle rurali perché, costruite accanto alle numerose  masserie presenti sul nostro territorio,  venivano utilizzate non solo dai proprietari, ma anche dai contadini, braccianti, pastori che facevano parte della forza lavoro delle estese proprietà latifondistiche, individui che abitavano quasi tutto l’anno in quelle grandi dimore rurali e che raramente tornavano in città, presi dai numerosi, continui ed incessanti impegni lavorativi in campagna.

Nell’Apprezzo della Terra di Gioia stilato nel 1611 dal tabulario Federico Pinto si dice: Sono in detta Terra devote ed onorevoli Chiese … e particolarmente vi è la Chiesa Maggiore nominata il Capitolo … Vi sono ancora in detta Terra due altre Chiese, una nominata Santa Maria della Grazia servita da Monaci Domenicani … L’altra Chiesa nominata di San Francesco servita da Frati conventuali … E fuori di detta Terra su una pianura vi sono tre Chiese, e cappelle antiche poste in diverse parti della campagna, che hanno del guasto di numero 300 e più, e per questa quantità ed antichità di Chiese dinota detta Terra essere stata di popolatissimo numero di gente, e di molta grandezza, che non è adesso.

Sicuramente il numero 300 è da attribuire ad un errore di trascrizione perché se così fosse stato, pur essendo in quei tempi il territorio gioiese più esteso di oggi, essendosi ridotto a causa delle usurpazioni operate dagli abitanti di Sammichele, Turi, Putignano e Noci, avvenute nei primi anni del Seicento, ci sarebbe stata una chiesa ogni 8 abitanti, mentre è ipotizzabile un numero di circa 30 Chiese, tenuto conto che nel 1611 si registravano a Gioia 526 fuochi, pari a circa 2630 abitanti.

Sia Padre Bonaventura da Lama che l’abate Francesco Paolo Losapio affermano che Gioia esisteva anteriormente all’anno 506 d.C. essendo stato il paese più volte distrutto e ricostruito. Continua la Lettura

La Chiesetta della Madonna della Croce tra i “luoghi del cuore” del FAI

Chiesa Madonna della Croce

Il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, da qualche anno ripropone il progetto “I Luoghi del Cuore”,  una campagna nazionale per i luoghi italiani da non dimenticare. È il più importante progetto italiano di sensibilizzazione sul valore del nostro patrimonio che permette ai cittadini di segnalare al FAI attraverso un censimento biennale i luoghi da non dimenticare. Dopo il censimento il FAI sostiene una selezione di progetti promossi dai territori a favore dei luoghi che hanno raggiunto una soglia minima di voti.La prima testimonianza documentale della sua esistenza risale al 1695.

Che cosa sono i Luoghi del Cuore? E’ come se infinite piccole fiammelle venissero accese nelle città, nei paesi aggrappati alle colline, lungo le frastagliate coste, attraverso le pianure, in mezzo agli alberi dei boschi, lungo i fiumi…sono quei luoghi che gli uomini hanno amato, vissuto, intravisto, sognato, con nostalgia ricordato. – Giulia Maria Mozzoni Crespi

Tra questi “Luoghi del cuore” sul sito del FAI è presente anche la nostra Chiesetta Madonna della Croce, che riporta  le seguenti notizie. La piccola chiesa appartiene alla famiglia Fiorentini. Proprio a devozione di Pasquale Fiorentini Senior e Junior è stato oggetto di restauri negli anni ottanta, ma oggi versa in condizioni critiche.

La chiesetta è circondata da un giardino. Dopo aver oltrepassato un cancello in ferro, una scalinata di pietra, in leggera salita, fiancheggiata da alberi, porta alla chiesetta. Il piccolo sagrato è racchiuso da una balaustra in pietra calcarea traforato. Continua la Lettura

Gioia, un importante centro della Peucezia

Il territorio che faceva parte della Peucezia

Delle più antiche tribù che in passato erano presenti in Puglia conosciamo solo il nome: Ausoni, Siculi, Chones e Morgeti (da cui forse deriva il nome Murgia).  Successivamente all’insediamento di tali tribù, provenienti dall’Italia settentrionale, giunsero in Puglia anche gli Iapigi. Da quest’ultimo gruppo si formarono due sottogruppi: nella Puglia settentrionale si stanziarono i Dauni, nella zona centrale i Peuceti e nella penisola salentina i Messapi.

Plinio riferisce che i Messapi erano discendenti di coppie di Illiri.

I Romani chiamarono gli Iapigi con il nome di Apuli, da cui deriverebbe il nome della nostra regione.

I Micenei avevano fondato alcune colonie sulle coste della Puglia. Alcuni coloni greci provenienti da Sparta nel 706 a.C. fondarono la città di Taras, l’attuale Taranto. Continua la Lettura

Gli scudi e la quattro Porte di Gioia

Scudo della Porta Maggiore

A  quasi due anni dalla presentazione, (avvenuta il 27 settembre 2020 nel chiostro comunale), degli scudi e dei vessilli delle quattro Porte di Gioia del Colle, da parte de direttore artistico del “Palio delle botti”, Claudio Santorelli, gli stessi scudi sono stati sistemati nei relativi punti.

Infatti all’angolo tra Piazza Plebiscito e via Carlo III di Borbone, presumibile ubicazione della Porta  San Francesco è stato posizionato l’omonimo scudo, opera del pittore gioiese Sergio Gatti; all’incrocio di Piazza Margherita di Savoia con corso Vittorio Emanuele II è stato posizionato lo scudo della Porta Maggiore di Gioia, che probabilmente era ubicata all’imbocco di Corso Vittorio Emanuele II, opera del pittore gioiese Pompeo Colacicco; all’imbocco di Via Bartolomeo Paoli, angolo Corso Garibaldi è stato posizionato lo scudo della Porta San Domenico, opera del pittore gioiese Mario Pugliese; all’angolo tra via Paolo Losito e Piazza XX Settembre è  stato posizionato lo scudo Porta del Casale, opera del pittore gioiese Filippo Cazzolla. Continua la Lettura

Le linee ferroviarie incompiute

Due automotrici storiche, Breda-Aerfer, utilizzate dalle Ferrovie del Sud Est

Con sempre maggior frequenza si continua a parlare di potenziare il trasporto ferroviario nel sud Italia, per superare il divario con il resto della nazione.

A  maggio di quest’anno è partito da Gioia il primo treno per Altamura, in attesa del ripristino e del completamento della messa in esercizio dell’ultimo tratto fino a Rocchetta Sant’Antonio, come corsa di prova per la riapertura di quella linea ferroviaria a fini  turistici, che porti i passeggeri a visitare città e luoghi di interesse culturale e paesaggistico presenti sull’intera tratta.

Dopo l’entrata in esercizio della tratta ferroviaria che unisce  Bari e Taranto (1865)  e quella  che collega Gioia con Spinazzola-Rocchetta Sant’Antonio (1892), altre tratte ferroviarie erano in nuce, grazie all’interessamento delle Amministrazioni cittadine. Continua la Lettura

« Pagina precedentePagina successiva »

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.