Alcuni componenti della famiglia Soria a Gioia nei secoli scorsi
Il 7 febbraio 1799 i giacobini gioiesi piantarono l’Albero della Libertà sulla piazza di Gioia, prospiciente la Chiesa Madre. Gli eventi che videro Gioia in primo piano nel 1799 registrano la presenza di numerosi esponenti della famiglia Soria. Alcuni di essi, forse per timore di mettersi contro il sovrano Borbone e di perdere conseguentemente i […]

Don Ciccio Soria nella Chiesa Madre invita il popolo a combattere contro i giacobini rivoluzionari. Dipinto del pittore gioiese Mimmo Alfarone.
Il 7 febbraio 1799 i giacobini gioiesi piantarono l’Albero della Libertà sulla piazza di Gioia, prospiciente la Chiesa Madre. Gli eventi che videro Gioia in primo piano nel 1799 registrano la presenza di numerosi esponenti della famiglia Soria. Alcuni di essi, forse per timore di mettersi contro il sovrano Borbone e di perdere conseguentemente i privilegi del loro status sociale, si dimostrarono eccessivamente “realisti” ed esercitarono il loro potere nel perseguitare coloro che chiedevano l’applicazione, nelle nostre contrade, dei principi alla base della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza.
Tra questi vanno segnalati don Francesco Soria, chiamato confidenzialmente don Ciccio, sacerdote laico, il quale il 12 febbraio dal pulpito della Chiesa Madre di Gioia aizzò la folla alla controrivoluzione, affermando tra l’altro che i serpenti, per ucciderli, bisogna schiacciargli la testa, alludendo ai rivoluzionari gioiesi.
Essendo genero del sindaco di Gioia Vito Antonio Chimienti, ed appartenendo ad un potente casato trapiantato dalla Spagna, che aveva trovato dimora in Puglia sin dal ‘600, casato ricordato durante le cause demaniali per aver acquisito ricchezze e patrimoni di spettanza comunale, le cui azioni erano però sconosciute a gran parte della popolazione, Francesco Soria godeva di una autorità indiscussa presso i suoi concittadini.
Nel 1799 Francesco Soria aveva 43 anni e in passato aveva militato nei circoli liberali della provincia di Bari.
Un notaio Vitantonio Soria fu sindaco di Gioia dal 1672 al 1673.
Un Francesco Soria senior fu sindaco di Gioia dal 1738 al 1739.
Francesco Soria, avvocato, sindaco di Gioia dal 1792 al 1793 e dal 1796 al 1797, con la sua testimonianza determinò la condanna capitale del giovane studente Emanuele De Deo; egli, infatti, interrogato dalla Giunta Inquisitoria confermò la denunzia anonima con la sua deposizione: D. Emanuele De Deo durante il pranzo dato da D. Anna Sala andò con un coltello alla mano ad insultare il ritratto di S. M. e, parlando dei rapporti tra De Deo e i fratelli Del Re, capovolse la verità dei fatti affermando che il De Deo non bene conviveva col Dott. Michele e col suo fratello, per causa d’interessi di clienti.
Al ritorno da Napoli del Principe De Mari si verifica la “conversione“ del Soria, il quale appoggia incondizionatamente i progetti reazionari del principe, che non vedeva di buon grado le razzie compiute dai giacobini nelle sue vaste proprietà.
Ciccio Soria si pone, quindi, a capo di una banda di feroci antirivoluzionari locali, cui si unirono altri facinorosi provenienti dai paesi limitrofi.

Venceslao Petrera fugge dalla Chiesa Madre e riferisce al padre Filippo le parole pronunciate da don Ciccio Soria. Dipinto di Mimmo Alfarone
Ottimo e carismatico oratore, non ha difficoltà nell’arringare ed accendere gli animi della folla, riunitasi in Chiesa Madre. Lì pronuncia le parole: I serpenti per ucciderli, bisogna schiacciargli la testa, parole che Venceslao Petrera sente e subito dopo riferisce al padre.
Il 13 febbraio 1799 la folla in tumulto, istigata ad arte dai luogotenenti del Soria si dirige verso Largo Chiesa Madre. Insieme svellono l’albero della libertà ne fanno a pezzi il legno, dandovi poi fuoco. Segue nella notte il saccheggio delle case dei giacobini, i quali successivamente vengono tradotti in carcere.
La sera del 14 febbraio, dopo aver bruciato i corpi dei rivoluzionari la folla, sazia del sangue versato e del bottino realizzato, si dirige verso la casa del sindaco Vitangelo Chimienti, suocero di Francesco Soria. Il sacerdote è lì, in attesa di notizie. Informato sugli eventi delittuosi viene posto alla testa di un corteo che si dirige verso il luogo dell’eccidio. Dopo aver disperso al vento le ceneri dei giacobini, rei di aver innalzato l’albero della libertà ed aver acceso la fiaccola di un così ardente e sovversivo ideale, il Soria dichiara cessata la rivoluzione e, prodigo, chiede a chi ha rubato di restituire il maltolto. Giustizia è fatta!
Dopo la strage dei giacobini avvenuta il 14 febbraio 1799, i sanfedisti di Gioia non placarono la loro violenta reazione verso i rivoluzionari. Francesco Soria il 3 marzo seguente al comando di un folto gruppo di abitanti di Gioia, Carbonara, Ceglie, Loseto, Bitritto, Valenzano, Casamassima, Noja e Noci, assaliva la città di Bari senza riportare successo. Delusi dalla mancanza di risultati qualche giorno dopo una numerosa ciurmaglia con a capo il Soria, quest’ultimo tentò inutilmente l’assalto di Modugno, con l’ausilio anche di un cannone. La furia della soldatesca sfogò la propria rabbia devastando e saccheggiando case rurali e Conventi. Dalla Cronaca di fatti avvenuti in Modugno nel 1799, riportata da Vito Faenza, si legge: Facendola sempre da Capitano, Ciccio Soria, persona commoda di casa sua, ma ladro e cervello torbido, tanto che mesi addietro fu dal R. Governo carcerato con ordine del Tribunale di Trani, ma poi venne scarcerato e libero non saprei dirlo. Pare che in quella circostanza il Soria riuscì a farsi scarcerare corrompendo con 500 ducati il Governatore!
Dopo aver trattato la tregua con la città di Modugno, su richiesta proveniente da Andria, Francesco Soria mentre si recava in quella città, a cavallo e vestito da Ufficiale borbonico, si fermò a Molfetta per incoraggiare i molfettesi ad opporsi ai Francesi. Diretto verso Trani ed Andria, il suo drappello di uomini si sbandò e, in prossimità dei combattimenti, fece dietrofront.

Pasquale Soria
Poiché Acquaviva rimaneva saldamente in mano dei repubblicani il Soria mandò a dire di spiantare l’albero della libertà e di ritornare ad essere fedeli ai Borboni. Gli acquavivesi, come riferisce il Lucarelli, a quella richiesta risposero con sonore risate. Soria, con l’appoggio del noto avventuriero De Cesare e delle loro masnade assaltò Acquaviva. Nonostante l’eroica resistenza degli acquavivesi il paese capitolò fino all’arrivo delle truppe francesi. Subito dopo anche Noci subì la stessa sorte della città precedentemente citate. Non pago di queste scorrerie il Soria, in compagnia del De Cesare tentò di recuperare anche Casamassima, ma ottenne una sonora sconfitta.
Intanto ad aprile i Francesi, comandati dal generale Broussier, arrivavano a Bari e conquistavano molte città della Puglia. Lo stesso generale in un proclama indirizzato al popolo di Bari e di Lecce accennava all’opera di Francesco Soria, qualificandolo vile e ricordando la fuga da Andria all’udire che i Francesi si approssimavano a quella città.
Caduta la Repubblica Partenopea e con la regificazione della provincia, non essendoci ulteriori possibilità di assalti e di rapine contro le città e le borgate, Francesco Soria si arrogò il titolo e le funzioni di Capo Squadra di Polizia, per poter continuare nelle sue imprese favorite. Un ordine della Reale Segreteria di Stato, però, gli impose di tornare a vita privata, sotto pena del carcere. Il Soria tornò a Goia, ma continuò con le sue minacce e prepotenze a creare disturbi a più persone.
Ritroviamo la figura di Francesco Soria il 2 gennaio 1800, data in cui la Suprema Giunta di Stato di Napoli ordina con una lettera diretta al Signor Ufficiale della Residenza doganale di Gioia, e con l’assistenza fiscale del Capitano D. Francesco Soria il sequestro dei beni posseduti dal Principe Carlo De Mari, accusato reo di Stato.
La madre del detto Principe, Principessa d’Acquaviva-Caracciolo, inviò una lettera di protesta al Cav. Ferrante, Generale Amministratore dei Beni dei Rei di Stato, nella quale ricorda che il sequestro dei beni del figlio era la conseguenza della denuncia fatta da un tale Francesco Soria di Gioia… Un possesso di anni 41, noto a tutti della Provincia… non poteva essere ignoto al denunciante Soria, ond’é chiaro ed evidente l’indecente accanimento che costui nutre per tutto quello che appartiene alla casa d’Acquaviva, come l’Esponente non mancherà di far rimarcare ai Tribunali Superiori…. Qualunque danno o spesa avesse potuto occorrere, o occorresse per aver fatto il suddetto indoveroso sequestro, o pure per togliersi, vada tutto a danno del Soria, che, per odio particolare, si è arrogata una facoltà che non aveva sui fondi notoriamente pertinenza altrui.
Nella prima delle sue due suppliche, quella scritta il 18 maggio del 1806 Francesco Soria, ribadisce che si trova ristretto nelle forze di Trani, dove era stato incarcerato con diverse accuse, tra la quale quella di essere ladro di strade, lamentando un complotto a danno della sua persona da parte di nemici rei di averlo fatto entrare in sospetto al Governo. Ricorda che nell’anno 1799 il supplicante piantò l’albero della libertà in Gioia e proclamò il governo della Gran Nazione. Ma per le vicende di quel tempo atterrito ed oppresso dalle minacce del Cardinal Ruffo e degli altri avversari della Corte di quel tempo, per evitare la morte si finse Realista e seguì l’armata.

Don Cesare Soria
Di opposta tendenza fu il fratello Pasquale Soria, con il quale, in una supplica afferma che per 18 anni continui è stato sempre in aperta discordia, che non ha mai trattato, col quale non ha mai condiviso e che nella lunga prigionia (sofferta per essersi professato favorevole al governo francese) mai è venuto una volta. In un altro scritto lo stesso è definito celebre capomassa della Puglia superiore, messo alla taglia più volte dai suoi nemici… sostenne l’armata cristiana colla presa totale del Regno …preso di mira dai Patrioti Gioiesi … Francesco Soria che corse a colpire i giovani scellerati, non potendo distruggerli, per cui caddero ad un proponimento d’infamia, dimenticando la di lui nascita e la di lui condizione lo fecero accusare nel tribunale di Trani, come ladro di pubblica strada, bersaglio di mille delitti immaginari per i quali fu atrocemente martirizzato e carcerato due anni, non restituito alla sua libertà che con un dispaccio gloriosissimo di Vostra Maestà il quale impose il silenzio a tutti gli insulti.
A distanza di pochi anni troviamo Franceso Soria scagionato e nuovamente al potere.
Parlando dell’avv. Francesco Soria lo storico acquavivese Antonio Lucarelli dice: Da tutte le cronache del 1799, da tutti gli storici anche borbonici, da tutti i documenti inediti che ho rintracciato negli Archivi di Napoli, Palermo, Trani, Bari, emerge la figura truce di quest’uomo cooperatore del Commissario Caccia, e del proprio compaesano Patarino, nella perfida impresa. Soria è il capeggiatore, anzi il Generale, com’egli stesso soleva intitolarsi, delle orde saccheggiatrici del 1799, il commilitone del falso Generale De Cesari; per le scelleraggini ed abuso di potere fu spodestato della Delegazione per la pubblica tranquillità, dal Visitatore, monsignor Ludovici, inviato dai reduci Borboni, dopo i moti anarchici del funesto 1799, a ristabilir la quiete nelle nostre provincie; infine, per le sue malefatte, con l’avvento dei Napoleonidi fu relegato a Compiano, e poscia nella Torre di Genova, fra “dure catene”, com’egli stesso racconta in un suo autografo, che io, rinvenni alcuni anni fa nell’Archivio Provinciale di Terra di Bari. Intorno al medesimo ho anche ricavato sicure notizie da taluni documenti della R. Udienza di Trani, in cui dai suoi concittadini è accusato alle autorità come un individuo pessimo e fazioso, che faceva mercimonie della carica di sindaco, toltagli perciò nel 1797.
I Soria avevano numerosi possedimenti, ville e masserie nel territorio di Gioia. Sulle colonne che sostengono il cancello d’ingresso nella masseria di Cesare Soria, ubicata in contrada Marzagaglia, si possono leggere le seguenti iscrizioni:

Iacrizione presente su una colonna all’ingresso della villa Soria in contrada Marzagaglia
Fanciullo anco qui godé della vita primi e innocenti piaceri, s’ornò di fiori, fugò le lepri e degli uccelli il canto col riso di sua gioia confuse. Qui giovinetto alla virtù all’amore formò il suo cuore. I semi trasse delle nascenti sue passioni e il vizio, come il tremore morte dorso ad odiare apprese. Altrove formò il suo spirito. Visse gran tempo. Divenne padre buono. Tuonò nel foro. Fu esaltato e vilipeso e con coraggio salvò dal fuoco e dalla strage le sue speranze illese. Qui ritornò perseguitato, abbandonato; al conforto di sua famiglia visse e sol da lungi il rombo del mar fremente e da vicino di Filomena il pianto intese.
Iscrizione presente su una colonna posta all’ingresso della Masseria Soria, a Marzagaglia
Sull’altra colonna si legge: In altro foro nato e dal suo coraggio fissò i destini, fu tranquillo. Visse per figli volse a prenderli e ad educarli e a prosperar attese. Ahi! Che poi di sua consorte amata tanto in questo luogo pianse la morte e su la scorza d’una gran pianta, all’orizzonte l’eresse il tempio ciò che in pria nel luogo istesso carico d’anni e di dolore spesso ritorna e piange CESARE SORIA il tanto a lui caro e amato e figlio Giuseppe gli erge questo monumento anno MDCCCXXVIII.
Alcuni altri componenti della famiglia Soria hanno dato lustro al nostro paese: Carlo Soria, procuratore generale, Teodorico Soria, rappresentante gioiese al Parlamento italiano, Pasquale Soria, avvocato e liberale, ai quali l’Amministrazione comunale di Gioia ha intitolato altrettante strade cittadine.
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2 Ottobre 2025



