La lettera di addio di Emanuele De Deo
Emanuele De Deo, nato a Minervino Murge nel 1772, dall’età di 5 anni fino al 1793, anno precedente la sua morte, visse a Gioia del Colle, dove il padre si era trasferito con la famiglia per ricoprire la carica di Governatore per conto del re di Napoli, Ferdinando di Borbone. Il giovane De Deo, tradito […]

Emanuele De Deo
Emanuele De Deo, nato a Minervino Murge nel 1772, dall’età di 5 anni fino al 1793, anno precedente la sua morte, visse a Gioia del Colle, dove il padre si era trasferito con la famiglia per ricoprire la carica di Governatore per conto del re di Napoli, Ferdinando di Borbone.
Il giovane De Deo, tradito dal malprete Pietro Nicola Patarino e da lui accusato come cospiratore contro lo Stato, il 9 gennaio 1794 fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Napoli.
L’avvocato difensore di De Deo, F. Mario Pagano, durante il processo disse ai giudici: mancano gli estremi della congiura, mancano gli estremi del reato, non si è neppure nell’ipotesi del tentativo perché nessun atto idoneo e diretto in modo non equivoco a commettere un delitto punito con la pena capitale è stato compiuto.
I giudici, invece, ravvisando la sussistenza del delitto di ribellione contro l’autorità costituita, applicheranno la legge vigente nel Regno di Napoli e condanneranno a morte il giovane De Deo, definito il primo martire della libertà morto per l’ingiusta scure di Ferdinando il Tiranno.
Il processo si concluse il 3 ottobre 1794 con la condanna a morte, preceduta da tortura (quattro tratti di corda, secondo il dispositivo della sentenza), che fu eseguita il 18 ottobre 1794. L’imputazione era di ribellione al sovrano, di reato di opinione e di diffusione di pericolosa droga mentale, quale la diffusione di testi di ispirazione rivoluzionaria. Emanuele De Deo non tradirà i suoi amici e non parlerà neanche sotto tortura (quattro tratti di corda) e neppore quando il 17 ottobre 1794 si trova nella cappella, in attesa di essere consegnato al boia, pur con la promessa, fatta dalla stessa Regina, di avere la vita in cambio anche di un solo nome degli altri suoi compagni rivoluzionari.
Conscio del patibolo che il giorno 18 ottobre, all’età di 22 anni, lo attendeva e lo avrebbe portato a morte certa, la sera precedente scrisse la seguente accorata lettera al fratello.
Caro fratello, perché dirmi disgraziato? perché chiamarmi con questo nome? Se considerate la perdita di un fratello, io convengo con voi; ma se tale mi chiamate per lo destino che sieguo, voi v’ingannate. Io la mia sorte la invidierei negli altri. Ciò vi basti per farvi comprendere la tranquillità dell’animo mio nell’abbracciare il decreto della Suprema Giunta, e del mio e vostro Sovrano.
La morte reca orrore a chi non ha saputo ben vivere. Chi ha coscienza senza rimorsi gioisce in quel punto che i malfattori chiamerebbero terribile; e poi noi non siamo eterni, presto o tardi si muore.
La durata della vita non la dovevete misurare da vari giri del sole. Un anno di vita di un uomo onesto e socievole, eguaglia cento di un Misantropo, di un Egoista. E pure il paragone mi sembra incompatibile. Grazie al Signore Fattore del tutto, non vi è persona che possa chiamarsi oltraggiata da me. Ho adempito alle mie obbligazioni verso chiunque aveva il diritto di esigerle e non mi sono mai dimenticato d’essere Cittadino ed uomo; se gli altri mi hanno offeso, o almeno mi hanno defraudato di quella grata corrispondenza che mi doveano, io li perdono e voi caro fratello perdonateli con me. Un fratello nell’ultimo momento di sua vita ve lo chiede, né dal vostro bel cuore ne attende il contrario.
Non giova più parlarmi di grazia: il mio fato è certo ed io l’attendo con intrepidezza e maschio coraggio, per farli comprendere che non ho potuto indebolire il mio cuore, e per umiliarli così.
Vorrei avere il piacere di parlarvi a solo oggetto di non farvi più affliggere, e di comunicarvi il mio ragionevole coraggio. Consultate la ragione; calmate l’immaginazione, ed il mio fato non vi sembrerà funesto.

Lapide in onore di De Deo posta sulla sua casa a Napoli
Ho a caro che partite per Minervino. Consolate l’afflitta Madre; nascondetele in tutti i conti la mia disgrazia. Se poi col tratto di tempo venisse a scoprirla assicuratela che l’unico oggetto delle mie afflizioni in queste circostanze era il suo amore e quello delle amate sorelle, che a voi raccomando di amare con duplicato affetto; unite al vostro amore il mio, giacchè la mia disgrazia sopra di esse piomberà più tosto. Baciate da parte mia le mani della signora Madre, e dimandatele scusa di qualche mia involontaria mancanza. Fate felicissimo viaggio, e ricordatevi sempre del vostro fratello, ma non della sua morte.
Spetta a voi di ricompensare il comune Padre di tutte le amarezze che io li ho cagionato. Non trascurate ubbidirlo e compiacerlo in tutti li suoi voleri; sono sicuro che voi non sarete per mancare, ma voglio che lo facciate ancora per mia memoria.
Caro fratello, è inutile maggiormente diffondermi, sarebbe per più eccitare la vostra sensibiltà.
Vi accludo un biglietto alla cara Madre, che servirà per deluderla: vi abbraccio e vi bacio e sono col cuore.
Al comun Padre ho scritto, ed ivi ho acclusa un’altra lettera per la signora Madre; me la ritirerei, ma per altro mezzo so che è andata al suo destino, quantunque non ancora vi sarà pervenuta.
Vi taccio degli amici; essi, che mi amano, comprenderanno bene quel che su questo punto vorrei dirgli. Domani, prima che partirete, fatemi pervenire l’ultimo vostro biglietto e l’estremo Addio. Vi stringo di nuovo al cuore. Vostro Fratello.
Muore così un giovane appena ventiduenne, vittima della dittatura dei Borboni, che è stato definito il Primo Martire della Rivoluzione Napoletana, anzi, da alcuni, il primo Martire del Risorgimento italiano.
21 Febbraio 2025