I proietti o esposti a Gioia

Spesso i mass media danno notizia di neonati, venuti alla luce in casa e non desiderati, che vengono abbandonati per strada o addirittura nei cassonetti della spazzatura, da individui che vogliono liberarsi di un peso o del frutto di una unione illegittima o di violenza carnale. Non è un fenomeno particolare ed esclusivo dei nostri […]

Print Friendly, PDF & Email

La ruota dei proietti

Spesso i mass media danno notizia di neonati, venuti alla luce in casa e non desiderati, che vengono abbandonati per strada o addirittura nei cassonetti della spazzatura, da individui che vogliono liberarsi di un peso o del frutto di una unione illegittima o di violenza carnale.

Non è un fenomeno particolare ed esclusivo dei nostri giorni, come si potrebbe erroneamente pensare, frutto della società del consumismo, che tende al raggiungimento del massimo piacere e all’eliminazione di ogni forma di limitazione di libertà e di godimento della vita senza le conseguenti responsabilità connesse agli impegni e ai doveri collegati alla funzione genitoriale.

Era una vera e propria piaga che interessava tutta l’Europa e solo nel Regno di Napoli nel 1785 il numero dei proietti ammontava a circa 25.000 unità. Uno dei problemi che affliggevano le contrade italiane, e anche   Gioia già prima dell’800, era la presenza dei proietti o esposti, cioè i trovatelli, i neonati, figli che venivano abbandonati, perché frutto di unioni illegittime o forzate o di donne di malaffare.

Il termine “proietto”, è il participio passato del verbo proiettare, derivato dal latino proiectus, part, pass. del verbo proiectare, che significa gettare fuori, gettare davanti a sè o davanti ad un luogo altrui.

I neonati abbandonati dai genitori venivano deposti nella cosiddetta “ruota dei proietti”. Essa era costituita da un dispositivo girevole di forma cilindrica, prevalentemente in legno, diviso in due parti e chiuse da uno sportello. Questo congegno, che era posizionato in corrispondenza di un’apertura su un muro adiacente a un convento, permetteva di collocare, senza essere visti dall’interno, gli esposti, i proietti cioè i neonati che venivano abbandonati dai genitori.

Disegno raffigurante la ruota degli esposti. Nella parte sinistra l’apertura nella quale si deponeva il bambino, nella parte destra la ruota che gira nella parte interna del  convento e il bambino che viene accolto dalle suore.

Dopo aver deposto il bambino si faceva ruotare di mezzo giro la ruota, in modo tale che il neonato veniva a trovarsi dal lato opposto, adagiato sulla muratura interna dell’edificio, dove, aperto lo sportello, si poteva recuperare il piccolino. A fianco della ruota, dalla parte esterna, solitamente era posizionata una campanella che veniva suonata per segnalare all’interno dell’edificio la presenza del bambino.

Chi per primo accoglieva il neonato, prestava le prime cure e sceglieva, nella maggior parte dei casi, il nome di battesimo da assegnare al trovatello, era la “Pia Ricevitrice” dei proietti, una donna, che spesso era una suora, che aveva il compito, quando udiva il suono della campanella esterna, di prelevare i trovatelli dalla ruota. Questi bambini venivano registrati come Filius m. Ignotae, da cui deriva il nome dispregiativo dato a quel genere di donne madri.

Spesso vicino alla ruota oltre alla campanella nel muro era presente anche una feritoia, una specie di buca delle lettere, dove era possibile inserire offerte, da parte dei familiari più o meno benestanti o da benefattori, per aiutare economicamente chi si prendeva cura degli esposti.

A volte la mamma, quasi a voler riparare al suo gesto inconsulto, ma ritenuto in quei momenti indispensabile, dell’abbandono del figlio, per un eventuale successivo ravvedimento da parte sua, al fine di dimostrarne la legittimità, inseriva nella ruota assieme al neonato collanine o braccialetti di scarso valore oppure documenti o altri oggetti distintivi, come un piccolo e singolare indumento, al fine del successivo riconoscimento del figlio.

A testimonianza di un atto inumano e spregevole come l’abbandono di un figlio, una targa apposta su una ruota a Senigallia (AN) ripota la seguente iscrizione in latino: Impius ut cuculus generat pater atque relinquit quos locos infantes excipit iste nothos, che vuol dire: Empio come il cuculo, il padre genera ed abbandona in luoghi solitari i figli che codesta (Ruota) accoglie come illegittimi.

L’istituzione della Ruota si perde nella notte dei tempi; sembra risalga alla fine del secolo XII. La prima “ruota” compare in Francia, nell’ospedale dei Canonici di Marsiglia nel 1188 e poco dopo ad Aix-en-Provence e a Tolone.

In Italia, secondo una tradizione, Papa Innocenzo III, inorridito per la cattiva abitudine che spesso toccava in sorte ai bambini abbandonati, e sembra anche perché era turbato da frequenti sogni durante i quali gli apparivano cadaveri di neonati ripescati nel Tevere dalle reti dei pescatori, istituì una ruota nel 1198 nell’ospedale di Santo Spirito in Sassia (Roma) e volle si aprisse un reparto dedicato agli orfani nello stesso Ospedale.

Le ruote presero a diffondersi oltre che in Italia e Francia anche in Grecia e Spagna mentre non si hanno notizie di altrettanti strumenti per gli esposti in Inghilterra dove l’abbandono dei neonati e l’infanticidio non veniva affatto considerato un problema sociale tanto che comunemente si trovavano cadaveri di feti o di neonati persino nelle discariche o nelle fogne.

In Sicilia il viceré Laviefuille nel 1750 dispose l’obbligo di istituire “ruote” in tutte le città, ma tale disposizione si riferiva più alle zone rurali, dato che nei grossi centri come Catania e Palermo, erano attive già dai primi del ‘600.

In Italia durante il Decennio Francese (1806-1815) la Rota proietti, cioè la Ruota dei proietti, venne ufficialmente istituita anche nei comuni dell’Italia Meridionale, facenti parte del Regno delle Due Sicilie, per la tutela pubblica dell’infanzia abbandonata. Una ruota degli esposti era in realtà già presente a Napoli: quella della Santa Casa dell’Annunziata, di cui esistono documenti di impianto risalenti al 1601.

Nel corso del XIX secolo, a causa anche dell’aumento demografico, si cominciò a mettere in discussione l’utilità dell’istituzione e dell’utilizzo della ruota, che creava alle casse comunali il problema del sostentamento di tantissimi bambini abbandonati; infatti troppo spesso, non solo le donne non ufficialmente maritate o quelle abusate, anche le famiglie numerose sceglievano di abbandonare i neonati nella ruota perché, avendo un gran numero di figli da sfamare e accudire, non potevano garantire loro il necessario sostentamento.

Sembra che la prima città in Italia a chiudere la ruota dei proietti sia stata Ferrara nel 1867, seguita dalle altre città della penisola, fino alla completa abolizione delle ruote all’inizio del Novecento.

Le spese di allevamento dei neonati erano a carico del Comune.

Invio contributo alla Commissione Amministrativa di Gioia per il mantenimento dei proietti del nostro Comune

A Gioia, contrariamente a quanto si potrebbe credere, il fenomeno dell’abbandono dei neonati era abbastanza frequente. Essi, infatti spesso erano frutto di richiesta di prestazioni sessuali da parte di signorotti nei confronti di belle ragazze che prestavano servizio nelle loro ricche dimore come addette ai servizi domestici, alla cura della casa e alla cucina e a volte venivano abusate con la forzata complicità delle ragazze, le quali con il loro rifiuto rischiavano di essere licenziate e di privare la propria famiglia di un reddito necessario per la sua sopravvivenza.

I genitori di queste ragazze, ritenendosi vittime del disonore da esse cagionato all’intera famiglia, spesso disconoscevano queste figlie per l’atto compiuto e la mettevano al bando anche perché non potevano più aspirare a trovar marito e perciò le stesse continuavano la loro vita a servizio del signore nel suo palazzo, prendendosi anche cura del figlio nato da una relazione peccaminosa.

Accanto a questo spregevole e spregiudicato comportamento nei confronti delle fanciulle in molti casi, però, abbiamo in contraccambio un gesto di generosità da parte di questi “signorini”, così erano soprannominati dalla popolazione perché essi rimanevano celibi, in quanto alla loro morte donavano le loro proprietà o gran parte di esse a queste ragazze madri per consentire loro di mantenere il figlio e condurre una vita agiata, senza aver problemi finanziari.

Con le leggi  del 3-4-1811 e 21-8-1826 i Borboni stabilirono che i Comuni dovevano versare dei contributi alle Amministrazioni delle Opere Pie o di Pubblica Assistenza e altresì  l’obbligo di provvedere alla formazione e manutenzione delle ruote oltre allo stipendio alle Pie Ricevitrici o alle nutrici.  In alcuni anni a Gioia per il mantenimento dei proietti si arrivò anche ad erogare una spesa pari al 15% del bilancio comunale.

Nel 1841 per gli esposti dal Comune di Gioia fu stanziata una somma di 1000 ducati, mentre nel 1861 il doppio era addirittura insufficiente.

Verso quei bimbi abbandonati, accolti nella Chiesa Madre, l’autorità comunale si assumeva il compito di affidarli alle balie, alle quali era devoluta una paga mensile.

L’assistenza dei proietti poteva protrarsi fino a 7 oppure 8 anni, trascorsi i quali erano accolti in qualche famiglia, alla quale era corrisposta una certa somma per le spese di mantenimento.

Nella prima metà dell’800 nell’organico del Comune di Gioia troviamo la Pia ricevitrice dei proietti, in genere una suora, che agiva all’interno della chiesa, a cui l’Amministrazione comunale pagava le spese per l’allevamento.

Dato che non si conosceva la famiglia di provenienza, quali erano i cognomi che venivano dati ai proietti?

Sono molte le possibili scelte che erano utilizzate per assegnare un cognome ai proietti: più utilizzato un richiamo all’abbandono (Esposito, Proietti, Portati, Venuti, Abbandonati, D’Avanzo, Soccorsi, Lasciati, Trovato, Ventura, Bastardi, Incerti, Ignoti, Casadei, Diotallevi, Diotiguardi, Bentivoglio, Donadio, Degli Innocenti, Servadei e Servidei, Pregadio, Sperindio, Casagrande), inoltre nomi di persone (Angeli, Alberti, Teodori), alcuni cognomi illustri (Levi, Peruzzi, Tornabuoni), nomi di personaggi storici (Benvenuto Napoleoni),  nomi di mestieri (Artisti, Osti, Tintori, Merciai), nomi geografici (Mantovani, Romani, Senesi, Tamigi, Sassarini, Asiatici, Tirolesi), nomi che esprimono un augurio (Fortunati, Benarrivati, Bonaventuri,), nomi di piante e di fiori (Pioppi, Peri, Susini, Limoni, Rosai, Gelsomini, Gerani), nome del mese in cui il bambino fu abbandonato (Gennari, Marzi, Maggi, Maggini), giorno del mese dell’abbandono (Tredici, Sedici, Quattordici), il santo del giorno o la specifica ricorrenza religiosa o  un elemento  sacro (Natale, Carnevali, Quaresimini, Chiesa, Colombo), una difficoltà (Cascai, Borbotti, Scacciamondi), una qualità morale o comportamentale (Ridenti, Giusti, Pietosi, Placidi), il riferimento a oggetti comuni (Mestoli, Quaderni, Inchiostri, Tetti, Valigi).

Si è verificato anche il caso di cognomi inventati dagli stessi Istituti di accoglienza tra il 1885 ed il 1896 legati a località, personaggi e fatti connessi con la prima colonizzazione italiana: Adua, Alagi, Ambalagi, Asmara, Dogali, Eritreo, Macallè.

Nel 1811, al fine di non far pesare sul trovatello l’eventuale umiliazione derivante dal fatto che tutti potessero riconoscerlo come un bambino abbandonato, Gioacchino Murat abolì con suo decreto l’antico uso del Regno di Napoli di chiamare quasi tutti i trovatelli Esposito o Proietti e decise che gli amministratori degli Istituti di accoglienza dei proietti dovessero decidere i cognomi di quei bambini abbandonati. Con una successiva circolare imperiale del 29 novembre 1825 venne imposta la regola secondo cui ogni trovatello avrebbe dovuto ricevere un cognome individualizzato.

Si ricorse spesso anche all’utilizzo di cognomi di fantasia, alcuni dei quali sono stati sopra riportati.

Locandina della commedia “Ceé seccéte jinde o chenvende”

Il ricordo di questa categoria di individui viene evidenziato e tramandato, oltre che attraverso alcuni documenti scritti, persino da rappresentazioni teatrali scritti in chiave comica.

Infatti a partire dal mese di marzo del 2025 nel cinema teatro del Sacro Cuore di Gioia si è tenuta la rappresentazione di una commedia in due atti, tradotta in vernacolo gioiese dal titolo Ceé seccéte jinde o chenvénde.

La trama della commedia ruota intorno al ritrovamento di una trovatella, lasciata dai genitori alla ruota dei cosiddetti esposti, posizionata a fianco della porta di accesso di un convento di suore di clausura.

La commedia si conclude positivamente con il ritorno della ragazza presso la famiglia naturale, proprio attraverso il riconoscimento della stessa da parte dei genitori attraverso un “segno” che la mamma aveva lasciato accanto al corpo della neonata allorquando l’aveva abbandonato nella ruota degli esposti.

Nella realtà, invece, era molto raro che si verificasse il riconoscimento di un proietto e il ritorno nella casa dei genitori naturali, soprattutto nel caso in cui il ragazzo o la ragazza erano stati adottati da un’altra famiglia che si era presa cura di loro, considerandoli parte integrante del nucleo familiare e spesso riuscendo a far assegnare loro il proprio cognome.

© È consentito l’utilizzo del contenuto di questo articolo per soli fini non commerciali, citando la fonte ed il nome dell’autore.

Print Friendly, PDF & Email

8 Maggio 2025

  • Scuola di Politica

Inserisci qui il tuo Commento

Fai conoscere alla comunità la tua opinione per il post appena letto...

Per inserire un nuovo commento devi effettuare il Connettiti

- Attenzione : Per inserire commenti devi necessariamente essere registrato, se non lo sei la procedura di LOGIN ti consente di poter effettuare la registrazione istantanea.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.