La ‘Pizzica-Pizzica’ a Gioia del Colle

Quando sentiamo parlare di ‘pizzica’ la mente va subito al salento e ad una sua antica  tradizione. Infatti da alcuni anni è assurto a rinomanza internazionale Melpignano, un piccolo Comune di 2235 abitanti, in provincia di Lecce, che organizza ogni anno la ‘Festa della Taranta’, arrivata quest’anno alla 26ª edizione. Nel 1998 nasce la ‘Notte […]

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Il festival ‘La Notte della Taranta’ a Melpignano

Quando sentiamo parlare di ‘pizzica’ la mente va subito al salento e ad una sua antica  tradizione.

Infatti da alcuni anni è assurto a rinomanza internazionale Melpignano, un piccolo Comune di 2235 abitanti, in provincia di Lecce, che organizza ogni anno la ‘Festa della Taranta’, arrivata quest’anno alla 26ª edizione.

Nel 1998 nasce la ‘Notte della Taranta’ con lo scopo di valorizzare un territorio, quello salentino, ricco di storia, tradizioni e cultura, musica e cibo.

Nel 2008, su iniziativa della Regione Puglia, della provincia di Lecce, dell’unione dei Comuni della Grecìa Salentina e dell’Istituto “Diego Carpitella”, nasce la Fondazione “Notte della Taranta”.Si tratta di un festival già nel 2015 ha richiamato circa 150.000 presenze a Melpignano e che annualmente viene trasmesso dalla RAI.

La danza fa parte della grande famiglia delle tarantelle, balli popolari tipici del Sud Italia.

Secondo alcuni studiosi è la naturale evoluzione di antichi riti propiziatori dedicati a Dioniso, il dio greco del benessere e dell’abbondanza, al quale si attribuiva anche la proprietà di guarire i mali.

In Grecia, durante i festeggiamenti in onore del dio Dioniso il popolo si lasciava andare pubblicamente a comportamenti sfrenati, favoriti dall’assunzione di abbondante vino; stesso comportamento era rivolto a Roma al dio Dioniso, che era identificato con Bacco.

Questo rito e culto per Dioniso si propaga anche nel Salento, terra che è stata sotto l’influenza della Grecia e che, ancora oggi, ospita una comunità di minoranza linguistica, detta Grecìa salentina.

Quale legame intercorre tra il dio Dioniso e la pizzica?

Si fa riferimento al morso della tarantola, a seguito del quale il malcapitato cadeva in uno stato di trance, dal quale poteva risvegliarlo solo la musica e il ballo. Infatti attraverso il ballo, o meglio una danza sfrenata come era la pizzica, si esercitava la funzione di esorcizzare quello stato di malessere e di annullare l’effetto del veleno fino a far guarire la persona colpita dal morso della tarantola. Questa danza rappresentava un momento di ritrovo collettivo durante il quale ci si estraniava dalle costrizioni e dalle regole morali della comunità di appartenenza e quindi come momento liberatorio e di aggregazione a cui partecipava anche tutta la popolazione.

Dopo l’avvento del cristianesimo la figura terapeutica e pagana di Dioniso fu sostituita da quella cristiana di San Paolo, il guaritore, e dall’utilizzo di un pozzo dall’ acqua miracolosa. Sparito con il tempo sia il culto dionisiaco che la venerazione per San Paolo, sono sopravvissute solo le danze, che sono diventate patrimonio della cultura contadina.

La pizzica, nota a Gioia anche come “pizzica pizzica“, fa parte della famiglia delle ‘Tarantelle’ ed è l`evoluzione del rituale della taranta in una vera e propria danza di coppia o di gruppo: un ballo di festa la cui variante più diffusa è quella del corteggiamento dove chi conduce la danza è la donna.

Per ballare la pizzica si utilizzano alcuni accessori fondamentali, tra cui spicca il fazzoletto, che in passato veniva sventolato dalla donna. Si pensava infatti che le sue vibrazioni avessero la funzione di esorcizzare coloro che venivano morsi dalla tarantola e di guarire il malcapitato. Ai nostri giorni il fazzoletto viene utilizzato per nascondere maliziosamente il volto della donna o per cingere in modo seducente le spalle della donna.

Il rito della pizzica, praticato da tempo nel nostro Comune, richiama un antico rito popolare e religioso che riguarda un’altra tradizione gioiese, la ’Passata al Monte’, che si svolge presso la Chiesa dell’Annunziata a Monte Rotondo. Anche la ‘passata’ inizialmente era un rito propiziatorio pagano, che in seguito  è assurto a rito religioso, ed è legato alla prevenzione e alla cura dell’ernia infantile.

A tal proposito è possibile leggere un articolo su questo blog, digitando il seguente link: https://www.gioiadelcolle.info/la-passata-a-monte-rotondo/.

Logo della Notte della Tarantola

Di seguito riporto una ricerca storica, tradizionale, religiosa e musicale del nostro concittadino, l’insegnante Giuseppe Montanarelli, dal titolo ‘La pizzica-pizzica di Gioia del Colle’.

La Pizzica-Pizzica di Gioia del Colle trae la sua origine dalla Tarantata o Tarantella Gioiese, che deriva dagli antichi balli di Età Preclassica e Classica dedicati al mito di Arakne, a Maia, a Demetra, a Cerere, a Dioniso o Bacco e correlati ai riti propiziatori della fertilità e dei baccanali, celebrati negli antichi territori Peuceti, Dauni, Japigi e Messapi dell’Apulia e della Magna Grecia. 

Alcuni Autori fanno risalire la Pizzica anche alla tradizione musicale greca-albanese, ebraica ed araba.

La Tarantella è legata al tarantismo, cioè al fenomeno antropologico e sanitario di coloro che subivano gli effetti e le conseguenze del morso del ragno Lycosa Tarantula, presente nel territorio pugliese e che colpiva maggiormente gli arti inferiori ed in minor frequenza quelli superiori dei contadini intenti nella mietitura e nella spigolatura del grano, durante la bella stagione estiva.

Nei campi agricoli gli uomini, le donne, i giovani ed i bambini lavoravano a piedi nudi e puntualmente venivano morsi dalla Tarantola, dotata di un veleno neuro tossico che procurava convulsioni, vomito, febbre ed in alcuni casi, in base alla fragilità del soggetto, anche la morte o infermità permanenti.

Solitamente la sintomatologia si risolveva naturalmente, in caso contrario si ricorreva ad impacchi ed a preparati liquidi a base di erbe murgiane, secondo i leggendari ricettari popolari tramandati dai Santi Medici Cosma e Damiano Martiri. Il veleno determinava una sorta di fremiti che ricordavano una forma scatenata di ballo convulso.

I contadini per scongiurare il morso della Tarantola effettuavano un ballo propiziatorio chiamato Tarantella, che simulava l’andatura della Tarantola sorpresa, spaventata ed in fuga. Si credeva che il frastuono del ballo potesse allontanare dai campi agricoli il temuto ragno.

La Tarantella Gioiese divenne un ballo rituale cittadino da eseguire durante le feste familiari, sociali e poi religiose. La Tarantella Gioiese nelle campagne locali divenne la ‘Pizca-Pizc d’Sciò’ cioè la ‘Doppia pizzicata di Gioia’, perché molto dolorosa, proprio per ricordare il ‘pizzico’ o più propriamente il morso velenoso del ragno.

I tarantati venivano costretti a ballare per indurre una abbondante sudorazione o un violento vomito liberatorio, che potesse eliminare il veleno e così guarire i malcapitati.

Prima della Evangelizzazione i tarantati erano considerati esseri prescelti, perché, durante gli attacchi convulsivi, potevano comunicare con le divinità pagane, trarre auspici, presagi e rivelare messaggi ultraterreni non sempre chiari e da interpretare misteriosamente.

Con la Cristianizzazione del territorio gioiese, la pizzica assunse un valore mistico e religioso. I tarantati venivano temuti, emarginati, stigmatizzati, considerati peccatori ed indemoniati, che spaventavano i bambini e le donne in stato di gravidanza.

La pizzica veniva ballata dal Popolo e condannata dai nobili, dai notabili e dai governanti, che la consideravano una manifestazione volgare, profana, provocatoria, superstiziosa ed indecente, perché veniva eseguita anche da donne, che nell’enfasi potevano sollevare le gonne o scoprire parti del corpo.

Il Clero tollerava la pizzica, considerandola una pratica curativa spirituale, che però non doveva risultare pubblicamente indecente, immorale e violenta.

Anticamente a Gioia del Colle i pizzicati si rivolgevano a San Pietro, a San Marco, a Santa Sofia ed alle Sue tre Figlie Martiri e più recentemente a San Vito, a San Rocco e a San Filippo Neri.

Si racconta che nei pressi di Monte Sannace ci fosse il mitico Pozzo di San Paolo, nel quale vivevano le bisce sacre, che muovevano l’acqua rendendola miracolosa. I pizzicati, per guarire, dovevano bere tre secchiate d’acqua di pozzo, per indurre il vomito provvidenziale, che avrebbe reso inoffensivo il veleno e liberato l’anima ed il corpo dagli spiriti maligni. Solitamente era di cattivo auspicio catturare con il secchio le bisce sacre, perché sarebbero diventate velenose e non bisognava neanche uccidere il ragno, in quanto per la sua capacità di costruire la straordinaria tela, che eliminava gli insetti dannosi, era considerato, stranamente, un porta fortuna naturale.

La leggenda vuole che sia stato San Paolo, assetato, a far scaturire l’acqua dalle rocce, quando dal Salento si recò in viaggio verso Roma. Altre fonti orali leggendarie riportano che invece sia stato San Pietro a far scaturire in quel luogo pagano, l’acqua per il Battesimo e che dedicò il pozzo all’Apostolo delle Genti, divenuto Suo fratello in Cristo.

La Pizzica nelle vie di Lecce

La Pizzica Gioiese era un ballo rituale che veniva tramandato oralmente per imitazione. Inizialmente la pizzica aveva varianti ritmiche strumentali, accompagnate da tamburelli in pelle d’asino o di pecora, cembali, sonagli, flauti dolci, ciaramelle, corni e zampogne. In seguito si composero testi dialettali orali, per strumenti a corda ed a percussione, che riguardavano vicende d’amore anche tragiche o impossibili, leggende locali, proteste sociali e lavorative o preghiere per invocare la protezione dei Santi venerati in città.

Il ballo prevedeva l’agitazione di fazzoletti bianchi o gialli e neri per scacciare la cattiva sorte e salutare le figure divine e provvidenziali. I tamburelli venivano decorati con simboli floreali e vegetali con immagini dei Santi locali e dei loro attributi sacri.

Alcune fonti orali popolari riportano che esisteva la pizzica dedicata alla Madonna, quella di San Giuseppe, di Santa Sofia, di San Sebastiano, di San Rocco, di San Vito, di San Martino, di San Filippo Neri e di San Lorenzo, con invocazioni e suppliche.

In occasione di alcune circostanze e vicende particolari cittadine, anche l’andatura delle processioni religiose aveva un passo alterato e quasi danzante.

Per evitare il morso del ragno, chi poteva, si fasciava i piedi e le gambe con i nastri benedetti, dedicati ai propri Santi protettori. I guariti dovevano effettuare tre giri intorno al pozzo, in onore della Santissima Trinità, venivano benedetti dall’Arciprete e riammessi nella Comunità religiosa, prendendo parte alle processioni penitenziali, con un nastrino nero intorno al collo.  Chi poteva elargiva una personale offerta in beneficenza.

I malcapitati che purtroppo riportavano danni scaturiti dalle conseguenze dirette o indirette derivate dal contatto con la Tarantola, dovevano effettuare riti di espiazione che potevano durare anche dai tre ai sette anni, arrivando anche alla pubblica emarginazione in caso di inguaribilità.

Non di rado qualche ex voto sacro era a forma di ragno e nelle masserie più agiate si realizzava un pane composto da otto filoncini radianti, chiamato ‘U pn di’ Tarandidd’ raffigurante l’animale, che doveva essere diviso con le mani e mangiato intingendo i vari bocconi nel vino rosso primitivo, simbolo di forza, buona fortuna e vittoria.

In seguito il rito dell’acqua purificatrice venne effettuato anche presso i pozzi privati e pubblici ed in particolare presso quello di San Francesco d’Assisi.

I riti del tarantismo, spesso sfociavano in risse, liti e pericolosi disordini pubblici. Altri balli e canti caratterizzavano la vita sociale e religiosa dei Gioiesi. La pizzica era propiziatoria, mistica e terapeutica.

In occasione del Carnevale Gioiese si eseguivano le tarantelle gioiose e quelle invettive, di protesta e satiriche, accompagnate da sonetti anche offensivi nei riguardi di pubblici personaggi locali. Intorno ai falò serali delle feste religiose e sagre si effettuavano i rondò e le pantomime rituali. Nelle feste nuziali si realizzava la quadriglia minore e quella maggiore a comando anche con l’esclusione dei partecipanti che sbagliavano i passi. Durante i riti funebri si organizzava il Pianto e la Danza dei Morti, eseguito da prefiche e cantori che proclamavano le virtù del defunto.

Alcuni Autori locali affermano che il poeta contadino Gioiese Filippo Ronco abbia composto testi orali dialettali, tramandabili a memoria, di pizziche popolari, amorose e religiose, riferibili a fatti di cronaca, serenate e novene.

Con le guerre mondiali e le innovative macchine agricole tecnologiche, l’arte della Pizzica Gioiese è stata dimenticata, permanendo sempre più raramente nei rituali dei festini carnevaleschi agricoli. In epoca moderna c’è stata una valorizzazione ed una rilettura culturale della Pizzica Gioiese, grazie al prezioso contributo di artisti locali, ma soprattutto di quella Salentina, divenendo un genere musicale ricercato, coinvolgente, etnico, esclusivo e popolare.

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17 Marzo 2023

  • Scuola di Politica

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