1961-2021: 60 anni dall’eccidio di 13 aviatori italiani a Kindu

L’uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci avvenuta a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, il 21 febbraio 2021, ci riporta alla memoria un altro episodio di violenza, cioè l’eccidio perpetrato esattamente 60 anni fa, l’11 novembre 1961, sempre in Congo, e precisamente a Kindu, nei confronti di 13 aviatori italiani della […]

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La strage di Kindu riportata da ‘ La Nazione’

L’uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci avvenuta a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, il 21 febbraio 2021, ci riporta alla memoria un altro episodio di violenza, cioè l’eccidio perpetrato esattamente 60 anni fa, l’11 novembre 1961, sempre in Congo, e precisamente a Kindu, nei confronti di 13 aviatori italiani della 46esima Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare italiana.

Quest’ultimo episodio è collegato alla storia dell’attuale nostro 36° Stormo dell’Aeronautica Militare, in quegli anni 36esima Aerobrigata, poiché gli aviatori, partiti da Pisa fecero scalo a Gioia, prima di effettuare quello che fu per loro l’ultimo volo.

I militari italiani facevano parte del contingente dell’Operazione di pace delle Nazioni Unite inviate per ristabilire l’ordine nello Stato africano dopo la cosiddetta ‘crisi del Congo’. Infatti il 30 giugno del 1960 il Belgio concesse l’indipendenza al Congo, lasciando questo paese in una situazione di pericolosa instabilità politica ed economica che in breve tempo portò allo scoppio della guerra civile.I tredici militari italiani formavano gli equipaggi dei due C-119 Lyra 5 e Lyra 33, bimotori da trasporto della 46ª Aerobrigata di stanza a Pisa.

Ecco i nomi dei 13 aviatori morti a Kindu:

Equipaggio del del C-119 India 6002 (nominativo radio “Lyra 5”)
– Maggiore pilota, comandante dei due equipaggi Amedeo Parmeggiani,43 anni di Bologna;
– Sottotenente pilota Onorio De Luca 25 anni, di Treppo Grande (UD);
– Tenente medico Francesco Paolo Remotti, 29 anni, di Roma;
– Maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani, 42 anni di Montefalco (PG);
– Sergente maggiore montatore Silvestro Possenti, 40 anni, di Fabriano (AN);
– Sergente elettromeccanico di bordo  Martano Marcacci, 27 anni, di Collesalvetti (LI);
– Sergente marconista Francesco Paga, 31 anni, di Pietralcina (BN).

Equipaggio del C-119 India 6049 (nominativo radio “Lyra 33”)
– Capitano pilota, vicecomandante Giorgio Gonelli, 31 anni, di Ferrara
– Sottotenente pilota,  Giulio Garbati, anni 22, di Roma;
– Maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, 42 anni, di Palermo;
– Sergente maggiore montatore Nicola Stigliani,30 anni, di Potenza;
– Sergente maggiore elettromeccanico di bordo Armando Fausto Fabi, anni 30, di Giuliano di Roma (FR);
– Sergente maggiore marconista Antonio Mamone, 28 anni di Isola di Capo Rizzuto (KR).

Un Fairchild C-119 della 46ª Aerobrigata di Pisa. Immagine RuthAS (CC BY 3.0)

L’11 novembre 1961 due velivoli da trasporto dell’Aeronautica Militare, i cosiddetti “Vagoni volanti” C-119 della 46^ Aerobrigata di Pisa, assegnati al contingente delle Nazioni Unite in Congo, atterrano all’aeroporto di Kindu, non lontano dal confine con il Katanga, una regione ricca di risorse minerarie, dalla quale è dilagata la sanguinosa guerra civile che minacciava la giovane repubblica africana del Congo.

I due aeromobili trasportano rifornimenti per i “caschi blu” dell’ONU, una guarnigione malese che controllava l’aeroporto poco distante da Kindu. Terminate le operazioni scarico dei due C-119, i tredici uomini, insieme ai malesi si recano nella vicina mensa approntata per la guarnigione ONU, prima di ripartire.

Notizie sulla sorte degli aviatori italiani giunsero a noi dopo qualche giorno con dettagli contradditori e con varie voci che sostennero che l’eccidio fosse avvenuto con la partecipazione o comunque davanti alla popolazione civile locale, o che i corpi degli italiani fossero stati mutilati in vario modo.

È certo che i nostri aviatori non portavano con sé armi, in quanto i rapporti con la popolazione erano sempre stati buoni. Stavano ancora pranzando quando vennero sorpresi e aggrediti da militari congolesi ammutinatisi, forse perché erano stati scambiati per paracadutisti nemici.

A nulla valsero le proteste dei malesi che cercarono di far capire ai congolesi che i “bianchi italiani” non erano mercenari, ma ‘caschi blu’, soldati in servizio presso le forze di pace delle Nazioni Unite.

Nel corso dell’aggressione uno degli ufficiali, il medico, tenente Francesco Paolo Remotti, cercò di fuggire, ma venne ucciso.

Gli altri aviatori sembra che furono trascinati nella prigione della città. Alcuni riferirono che gli altri dodici italiani, nonostante in serata giunsero a Kindu altri esponenti delle Nazioni Unite per consultarsi con i malesi e tentare un’azione di forza o per intavolare una trattativa con i soldati locali, nella serata dello stesso giorno o nelle prime ore di quello successivo vennero pestati a sangue e poi brutalmente trucidati da raffiche di mitra davanti alla stessa prigione.

Alcuni testimoni riferirono che successivamente i cadaveri degli aviatori vennero fatti a pezzi a colpi di machete e gran parte dei resti di quei corpi furono addirittura venduti al mercato a dieci franchi al chilo. Il tutto è spiegabile in quanto in quei territori la pratica del cannibalismo era ancora molto diffusa.

Un guardiano del carcere, per evitare ulteriori scempi o distruzione dei cadaveri, portò i corpi in un bosco all’esterno di Kindu per seppellirli in due fosse comuni.

Fu il giornale radio delle ore 13,00 del giorno 16 novembre ad informare gli italiani del massacro dei 13 aviatori.

Solo alcune settimane dopo il custode del carcere informò alcuni cittadini italiani presenti a Kindu della sorte dei militari, consentendo il recupero delle salme, recupero che avvenne quattro mesi più tardi.

I resti mortali dei caduti di Kindu giunsero in Italia, precisamente nella base di Pisa, dalla quale i piloti erano partiti per la loro tragica missione, l’11 marzo 1962 a bordo di un velivolo statunitense C-130 con la scorta d’onore di caccia dell’Aeronautica Militare.

Se alcuni testimoni affermarono con certezza che i corpi degli aviatori italiani furono oggetto di atti di cannibalismo, resta legittimo il dubbio circa l’integrità e l’autenticità delle salme che furono recuperate e trasportate a Pisa.

Sacrario ai Caduti di Kindu, nell’aeroporto  militare di Pisa

Successivamente le salme furono tumulate nel Sacrario dei caduti di Kindu, costruito all’ingresso dell’aeroporto militare di Pisa grazie ad una sottoscrizione pubblica. All’interno dell’aeroporto toscano venne costruito, su progetto dell’architetto Giovanni Michelucci, un sacrario per ospitare i martiri di Kindu. A pochi metri dalla struttura, all’interno dell’aeroporto, è stato posizionato uno dei due aerei da trasporto con cui i militari italiani si recarono in Congo.

Sulla porta del sacrario è stata posta la seguente epigrafe:

 Fraternità ha nome questo Tempio che gli italiani hanno edificato alla memoria dei tredici aviatori caduti in una missione di pace, nell’eccidio di Kindu, Congo 1961. Qui per sempre tornati dinnanzi al chiaro cielo d’Italia, con eterna voce, al mondo intero ammoniscono. Fraternità.

Per ricordare il sacrificio dei 13 aviatori, all’ingresso dell’aeroporto più importante d’Italia, quello intercontinentale ‘Leonardo Da Vinci’ di Fiumicino (Roma), è stata eretta una stele in loro onore.

In segno di lutto per la tragica morte dei 13 aviatori i piloti e gli assistenti di volo della nostra compagnia di bandiera aerea, l’Alitalia,  per la loro divisa vollero  sostituire la cravatta blu sino ad allora in uso con una di colore nero.

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12 Aprile 2021

  • Scuola di Politica

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