Un mestiere scomparso: il carrizzaro

Fino agli anni ’20 del Novecento in molti paesi della nostra Italia, e anche a Gioia, le case era sprovviste di servizi igienici, come quelli che sono in uso nelle nostre abitazioni. Benché il poeta latino Orazio già in passato descrivesse la Puglia siticulosa, terra assetata: siderum insedit vapor siticulosae  Apuliae (arriva alle stelle l’afa della Puglia sitibonda) […]

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il  carrizzaro

Fino agli anni ’20 del Novecento in molti paesi della nostra Italia, e anche a Gioia, le case era sprovviste di servizi igienici, come quelli che sono in uso nelle nostre abitazioni.

Benché il poeta latino Orazio già in passato descrivesse la Puglia siticulosa, terra assetata: siderum insedit vapor siticulosae  Apuliae (arriva alle stelle l’afa della Puglia sitibonda) il nostro Comune era ed  è  ancora ricco di falde freatiche. Questa particolarità ha fatto sì che molte case monofamiliari fossero provviste di un pozzo di acqua sorgiva, che per la sua purezza, dovuta all’ assenza di inquinamento, era utilizzata per tutti gli usi domestici e per gli animali.Prima della costruzione dell’Acquedotto Pugliese il rifornimento idrico per la popolazione di Gioia oltre che dall’ emungimento dalle falde acquifere attraverso pozzi,  in modo manuale, con secchi, o meccanico, con le norie, era assicurato da cisterne di raccolta di acqua piovana, ancora pura in quel tempo.

Gioia è stato uno dei primi Comuni a beneficiare dell’ acqua del Sele, essendo punto di snodo della conduttura principale, che dal nostro paese si dirama verso Bari e verso Brindisi. L’acquedotto viene inaugurato a Bari il 16 agosto 1916.

In mancanza di una rete fognaria a Gioia, ma anche in quasi tutti i paesi, le acque sporche erano versate nei campi e negli orti presenti nelle vicinanze del paese e utilizzate quindi  anch’esse come concime per le culture ortofrutticole.

Le acque di risulta del lavaggio delle stoviglie, della biancheria e quella per l’igiene personale, che contenevano solo sostanze naturali, come il sapone, erano versate sulle strade pubbliche e servivano anche ad impedire che la polvere si sollevasse  dal fondo stradale e ricoprisse abitazioni e persone di un manto di pulviscolo, che richiedeva continue pulizie. Infatti il nostro Comune il 1927 decide l’acquisto di un’auto innaffiatrice, da utilizzare sia per evitare di sollevare polvere dalle strade, sia in caso di  incendi.

Anche i pochi rifiuti che si producevano erano versati sulle strade e servivano da cibo per gli animali che circolavano liberamente ( polli, ovini e suini ) o come concime per i campi. Un luogo di accumulo di ‘spazzatura‘ è stato lo spiazzo della chiesa di San Francesco, il cosiddetto montrron, un rialzo creato dal deposito di rifiuti e da terreno.

Il 29 aprile 1874 il consigliere Vincenzo Castellaneta lamenta  nel Consiglio comunale  le gravi deficienze della nettezza pubblica. Propone di chiudere i canali e i pozzi neri dell’abitato e delle campagne suburbane, causa principale delle epidemie,  dandosi corsa alle acque con la costruzione di selciati e vietando  agli ortolani l’ingrasso dei terreni con materie fecali.

Il 17 aprile 1890 il Consiglio approva il capitolato d’appalto per lo spazzamento del paese  e per la raccolta di acque luride; queste ultime vengono immesse in botti metalliche poste su  carri in legno trainati da cavalli o da muli.

Il 1911 e il 1912  il Comune approva  il capitolato di appalto per i servizi di spazzamento, di raccolta di acque luride, di materie fecali ed altro ( tra cui l’acquisto di 20 carri botte ). L’orario di raccolta è ristretto a seconda delle stagioni: dalle 5,30 in estate  alle ore 7,30 in inverno.

il pitale o cantaro

La raccolta avveniva con carri botte, le cosiddette ” carrizze “, trainati da cavalli. Gli addetti alla raccolta, i ” carrizzari “, alle prime ore del mattino passavano per le strade cittadine e svuotavano nei carri botte i contenitori (vasi di forma cilindrica, in ceramica smaltata e ricoperti da un coperchio circolare in legno o in creta, detti  pitali , cantari  o  prisi,  zpepp, nome molto comune nei nostri paesi,  u necessàrie, per ricordare che era un oggetto necessario per i bisogni di tutti, o menzegnòre, quest’ultima denominazione alludendo al fatto  che quell’ oggetto, molto delicato e facile alla rottura, con conseguenze spiacevolissime,  andava trattato con quell’ onore e con quel senso di rispetto,  attenzione e delicatezza che andavano  rivolti ad un monsignore), contenenti le sostanze fecali ed urine, che i cittadini collocavano davanti alle loro abitazioni.  Presso alcune famiglie più benestanti il contenitore di liquami che veniva depositato sul marciapiede antistante la casa era di metallo, nel quale erano state precedentemente versate le acque luride, poiché quelli in creta, più costosi e delicati, erano conservati nelle proprie abitazioni.

L’arrivo dei carrizzari agli angoli delle strade  era accompagnato dal suono di una trombetta, come quella che usava il banditore, il che faceva affrettare gli ultimi ritardatari a depositare i loro contenitori davanti alla propria abitazione per farli svuotare. Le donne, che erano solite ritirare subito dopo  i cantari, per evitare che accidentalmente o per scherzo di qualche gruppo di ragazzini impertinenti  si rompessero,  approfittavano per conversare tra di loro e scambiarsi qualche confidenza o spettegolare su qualche amica o conoscente. Di solito erano le donne quelle incaricate di questa operazione poiché gli uomini si alzavano al levar del sole per andare in campagna a svolgere la loro giornata lavorativa.

la carrizza quadro di M. Colacicco

I carrizzari, quindi, sia pure involontariamente, poiché le donne, quasi sempre chiamatesi comari, si trattenevano in dialoghi e scambi di notizie, venivano a conoscenza di  fatti delle diverse famiglie,  fungevano da gazzettino gratuito per la popolazione. In questo modo erano al corrente di fatti e misfatti di tutti: liti in famiglia, tradimenti, storie di figli in procinto di maritarsi o di matrimoni sfumati a causa di scarsa dote, di furti, di feste, di andamento dei raccolti agricoli, di eventi climatici, di incendi, e,  conversando con le donne che aspettavano di ritirare il loro contenitore, alleviavano la loro fatica dimenticando per qualche tempo anche i maleodoranti effluvi delle loro  giornate lavorative. Questi fatti poi li socializzavano con altri cittadini di altre zone e, a loro volta, ne apprendevano di nuovi. I loro racconti molto spesso erano arricchiti di particolari di loro invenzione, per renderli più mordaci e suscitare l’interesse e la voglia di raccontarne altri da parte degli astanti.

Non mancavano episodi tragicomici, come la rottura del cantaro, soprattutto a seguito di scivolate a causa  delle strade innevate o viscide per la pioggia con le conseguenze immaginabili:  gli sproloqui che seguivano al danno provocato e le critiche  e le risate dei presenti.

Il carrizzaro era soggetto ad ammalarsi spesso, specie nel periodo invernale, perché iniziava il suo lavoro di mattina presto ed era esposto a tutte le intemperie. A volte, per timore di perdere il compenso per la giornata non lavorata o per timore di essere licenziato era presente  sul carrobotte anche febbricitante  e più  infagottato del solito, anche se questo limitava i suoi movimenti e poteva aggravare la sua salute.

Per motivi di sicurezza era consentito essere esentati dal lavoro solo nei giorni di abbondanti nevicate. In quei giorni i cittadini per liberare i propri contenitori pieni e riutilizzarsi, di sera, dopo aver praticato sulla strada pubblica e distante dalla propria abitazione un buco nella neve, versavano il contenuto dei loro recipienti e poi lo coprivano con altra neve; il tutto poi era maggiormente nascosto da altre nevicate.

I risultati di questa pratica erano visibili allo sciogliersi della neve, quando le strade erano ricoperte di abbondanti escrementi umani, con disgusto alla vista dei passanti. Da questa situazione venne coniato il proverbio O squagghià de la nève ièssene i strònzere, dopo che si scioglie la neve affiorano gli stronzi (cioè alla fine viene tutto alla luce).

il monterrone

Le botti dei liquami, una volta colme, venivano svuotate nei campi alla periferia del paese e le acque sporche erano utilizzate come concime per gli ortaggi.

Solo  alcune abitazioni avevano i cosiddetti pozzi neri, i quali non riuscivano ad assorbire tutti i liquami  per cui occorreva svuotarli periodicamente.

Raccontare questi episodi ai giovani di oggi sembrerebbe di fantasticare, quasi  fossero storie da uomini preistorici.

Nel 1914 il Consiglio affida l’incarico di compilare il progetto della fognatura urbana agli ingegneri Giovanni Milano e Giuseppe Leone. Si sarebbero utilizzate  botti di legno per le materie fecali e botti in lamiera per la raccolta delle acque, tirate da muli o cavalli. Ci sarebbe stata una parziale municipalizzazione del servizio di spazzamento, con non meno di 20 muli o cavalli.

Il 1922 si delibera su un mutuo di £. 2.600.000 per la costruzione della fognatura e nel 1928 viene deliberato un mutuo di £. 1.260.900 sempre per la costruzione della fognatura.

Il 28 aprile 1926 è deliberata  l’assunzione di un mutuo di 3. 1.312.540 con la Cassa DD. PP. per la fognatura. Il progetto della fognatura viene revisionato dall’ ingegner Labellarte Vincenzo, la cui parcella viene liquidata a settembre del 1926.

Il 12 e 27 settembre 1928 viene deliberato un mutuo di £. 1.260.900 per la costruzione della fognatura. Il mutuo con il Banco di Napoli, lo schema di contratto e il piano d’ammortamento sono approvati dal Consiglio il 17 aprile 1929. Il 20 maggio 1930 viene sottoscritto il contratto con l’impresa Onofrio Lattarulo, che si è aggiudicata la gara con un ribasso del 20,62%.

Il 5 marzo 1931 la consegna dei lavori della fognatura è prorogata di 6 mesi. Il 30 marzo 1931 vengono approvati i lavori aggiunti per la costruzione della fognatura, consistenti nella sistemazione della grave di Terrevole, progetto dell’ ing. De Bellis. Il 30 maggio 1931 viene deciso l’acquisto di 2 carrette a mano per la raccolta delle immondizie. Il 6 luglio si delibera di costruire il secondo lotto della fognatura cittadina il cui progetto è stato redatto dall’ ing. comunale Filippo De Bellis. Il 15 settembre 1931 e il 16 ottobre viene deliberato di contrarre un mutuo di favore con la Cassa DD. PP. per la costruzione del secondo lotto della fognatura., per £. 1.370.617,73, da estinguere in 35 anni al 6,25%. Il 26 ottobre la richiesta di mutuo alla Cassa DD. PP. e agli Istituti di Previdenza passa a £. 1.500.000

L’11 dicembre 1931 viene deliberato l’appalto dei lavori per la costruzione del secondo lotto della fognatura. Il 30 dicembre viene deliberato l’appalto dei lavori per gli attacchi privati alla fognatura.

Il mestiere di carrizzaro a Gioia è stato svolto fino agli anni ’50 del secolo scorso. Il servizio di raccolta delle acque luride nel nostro Comune era svolto da lavoratori alle dipendenze del Municipio; rare volte il servizio veniva dato in appalto ai privati.

Ancora oggi via Giuseppe  Del Re dagli anziani gioiesi viene indicata con la denominazione Abbàsce  e carrìzze, a ricordo della strada che i carri botte percorrevano per scaricare il loro contenuto in fondo a quella via. Negli ultimi anni di attività del carrizzaro, poiché non era consentito scaricare le acque dei carribotte  negli orti immediatamente confinanti con via Giuseppe Del Re, per motivi igienici, per evitare il diffondersi della malaria in conseguenza di proliferazione di zanzare  o di altre epidemie, i rifiuti liquidi venivano immessi in un apposito canale che dalla suddetta via  li scaricava dapprima in una vasca di decantazione e successivamente nella cosiddetta grave di Terrevole, un inghiottitoio esistente a breve distanza da quella vasca, sulla via vecchia per Monte Rotondo, più nota come via della Porta Rossa.

Ai nostri giorni il termine carrizza nel linguaggio agricolo sta anche ad indicare una botte metallica (autobotte), che trasporta acqua potabile per gli abitanti di case coloniche oppure  viene usata durante il periodo della vendemmia per il trasporto del vino dal trappeto alle cantine.

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27 Aprile 2020

  • Scuola di Politica

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