Storia di ricorrenti epidemie

Il 2020 sarà ricordato dalla generazione attuale come il peggior flagello per l’umanità dopo la Seconda Guerra Mondiale. La storia, però, ci insegna che simili malattie si ripetono puntualmente secondo ricorsi storici di Vichiana memoria. Possiamo affermare che l’umanità convive da sempre con le epidemie. Sin dall’antichità,  infatti, le civiltà hanno dovuto affrontare varie ondate […]

Print Friendly, PDF & Email

Il 2020 sarà ricordato dalla generazione attuale come il peggior flagello per l’umanità dopo la Seconda Guerra Mondiale.

La storia, però, ci insegna che simili malattie si ripetono puntualmente secondo ricorsi storici di Vichiana memoria.

Possiamo affermare che l’umanità convive da sempre con le epidemie. Sin dall’antichità,  infatti, le civiltà hanno dovuto affrontare varie ondate epidemiche che si sono spesso protratte per molti anni.

Una delle più famose epidemie dell’antichità fu la cosiddetta “ Peste di Atene”, che tra il 430 e il 426 A.C. ebbe un bilancio di vittime tra 75 mila e 100 mila persone.

Tralasciando episodi di peste o altre malattie infettive causate da invasioni di popoli definiti “barbari”, di cui non ci sono pervenute testimonianze storiche precise, probabilmente per perdita della relativa documentazione, possiamo affermare che dal 1500 in poi eventi di tal genere si sono susseguiti continuamente e hanno interessato il nostro territorio.

Durante tutto il Medioevo terribili epidemie sconvolsero il mondo, e l’Europa in particolare, oltre alla peste: lebbra, colera, malaria, vaiolo, tifo, influenza oppure le malattie a trasmissione sessuale come la sifilide tra il 1400 e il 1500.

Accompagnando le carestie e le guerre, fluttuando tra  grandi periodi di freddo e di caldo, queste malattie contagiose hanno imperversato apparendo e scomparendo con il trascorrere dei secoli.

Riporto alcuni degli eventi epidemici più significativi che hanno interessato il nostro mondo.

Le principali epidemie nel mondo

Il Seicento fu un secolo di continue epidemie. La peste interessò l’Italia tra il 1629 e il 1631 e sembra causò 280 mila morti, secondo alcuni addirittura superò il milione di morti. E’ la famosa peste narrata da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, che investì anche Milano nel 1630.

Negli anni 1665-1666 la cosiddetta “Grande peste di Londra” sembra che causò 100 mila morti.

Due anni dopo, nel 1668 la peste causò in Francia circa 40 mila morti.

Tra il 1676 e il 1685 la peste comparve anche in Spagna; nel 1679 la “Grande peste di Vienna” causò 76 mila morti.

Anche il Settecento non fu indenne da epidemie; tra queste è da ricordare la “Peste di Marsiglia”, che interessò la Francia tra il 1720 e il 1722.

Nell’Ottocento si verificarono numerose epidemie. Una prima pandemia di colera interessò l’Asia e l’Europa tra il 1816 e il 1826, con circa 100 mila morti.

Una seconda pandemia di colera interessò l’Asia, l’Europa e l’America del Nord tra il 1829 e il 1851, e causò circa 100 mila morti.

Il colera che colpì la Francia nel 1832 uccise 20 mila parigini, tra i quali anche il re Luigi Filippo.

Una terza pandemia di colera interessò la Russia tra il 1852 e il 1860, con circa un milione di morti.

La pandemia influenzale del 1889-1890 investì quasi tutto il mondo e causò  circa un milione di morti.

Un’ulteriore pandemia di colera interessò l’Europa, l’Asia e l’Africa e provocò quasi 800 mila morti.

Il XX secolo ha registrato numerose pandemie. La più disastrosa fu l’influenza spagnola, che si diffuse in tutto il mondo tra il 1918 e il 1920 e, secondo alcuni, causò 75 milioni di morti.

Un’altra epidemia tristemente famosa  è l’influenza asiatica, che tra il 1957 e il 1958 causò circa due milioni di morti.

L’influenza di Hong Kong  tra il 1968 e il 1969 causa in tutto il mondo circa un milione di morti.

Dal 1960, partendo dal bacino del Congo, si è sviluppato l’HIV / AIDS, che ha causato oltre 30 milioni di morti.

Questo nostro secolo non è da meno rispetto ai precedenti.  Nel 2007 dalla Repubblica Democratica del Congo parte l’epidemia Mweka Ebola.

Negli anni 2002-2003 in Asia compare la SARS.

Tra il 2013 e il 2016 in Africa occidentale si sviluppa l’epidemia di virus Ebola, che causa oltre 11 mila morti.

Dal 2015 è presente in tutto il mondo l’epidemia da virus Zika.

Pandemie in Italia

Dopo questa carrellata generale, mi limiterò a un percorso a ritroso nella nostra storia cittadina per verificare quanto, spesso, malattie infettive di una certa portata hanno interessato i nostri antenati.

In passato la più impressionante è stata la peste nera, che ha devastato l’Europa dal 1347 al 1352, sterminando tra il 25 e il 50% della popolazione, portando con sé grandi cambiamenti nell’economia, nella geopolitica e anche nella religione.

Il Decameron di Giovanni Boccaccio, infatti,  si apre con una drammatica immagine di morte, che contrasta con il tono scanzonatorio del resto dell’opera e con l’allusione alle “graziosissime donne” dedicatarie dell’opera. Boccaccio descrive infatti la peste che colpì Firenze (e l’Europa intera) nel 1348.  Sette ragazze e tre giovani uomini, per sfuggire al contagio, decidono di allontanarsi dalla città, ormai allo stremo, e ritirarsi nella campagna fiorentina, dove per due settimane trascorrono 10 giorni raccontando novelle, dedicando gli altri quattro giorni (venerdì  e sabato)  alla preghiera e alla penitenza.

La “peste nera” trecentesca causò la morte di circa un terzo della popolazione europea; si diffuse, oltre che in Europa, in Asia del Nord e in Africa dal 1331 al 1353 e causò da 75 a 200 milioni di morti, mentre quella tardo ottocentesca determinò circa 10 milioni di decessi in tutto il mondo. Le prime forme di profilassi furono avviate proprio con la comparsa della peste e sembra che fu Venezia a introdurre l’isolamento coatto dei malati, nell’isola del lazzaretto vecchio (1423), e la quarantena nell’isola del lazzaretto nuovo (1468) per tutti coloro che giungevano nella città lagunare dalle zone esterne. Secondo alcuni, però, la quarantena fu istituita, per la prima volta, a Marsiglia nel 1383.

Lo studioso Pietro Gioia, Conferenze su Noci, vol. II, ci ricorda che la terribile peste che colpì gran parte d’Italia  nel 1656 costò fino a 22.000 persone in un sol giorno in Napoli e a Bari ci furono 13.000 morti. Quanto alla nostra città  l’abate F.P. Losapio ci dice che in Gioia si celebra come Santo protettore San Rocco, la cui festa è introdotta  la prima volta nel 1656, in occasione della fierissima peste che travagliò il Regno di Napoli in quell’anno. La tradizione vuole che invocato in quella calamità dai gioiesi la protezione e il patrocinio di S. Rocco, mentre passava nei vicini paesi e si era introdotta nel nostro territorio, fu allontanata e spinta dalle nostre mura mercè l’intervento e l’apparizione delo Santo con una spada fiammeggiante sopra la Torre detta del Principe del Balzo, oggi del fu D. Michele Cassano, donde la fugò; per cui fu edificata la Cappella di S. Rocco fuori le mura dirimpetto alla Torre suddetta, in memoria dell’apparizione e del miracolo adoprato dal Santo in favore dei Gioiesi.

Diversamente da quanto riferisce il Losapio, il Garruba, attingendo da altre Memorie, afferma che il flagello della peste del 1656, che imperversò in questa e nelle altre provincie del Reame, danneggiò di troppo anche la popolazione di Gioia.

Antonio Lucarelli ci ricorda che nel 1691 nelle nostre terre si diffonde nuovamente la peste.

Dai documenti di Archivio veniamo a conoscenza che a Gioia nell’Ottocento e nel Novecento si sono succedute numerose epidemie.

Nel 1835 il Decurionato di Gioia prende atto che il colera Morby si sta diffondendo in Francia, a Tolone. Il colera si diffonde successivamente in Italia.

Una tradizione popolare ricorda che il popolo invocò  il Santo durante il colera del 1837 che infierì a Gioia, e precisamente dal 6 luglio al 14 settembre che mietè 633 vittime ( Gioia contava allora 12.648 abitanti ). non vi era più posto nei sepolcri delle chiese né c’era il tempo di svuotarli per fare posto ai nuovi defunti.

Per seppellire i morti di colera viene utilizzato il campo di Vero Zelo, nel terreno che precedentemente era stato individuato come futuro Camposanto. Oggi quel luogo  non è più utilizzato per le sepolture e quindi si trova in stato di abbandono;  la sua localizzazione è  verso sud, poco prima del viale dei cipressi che costituisce l’ingresso nel cimitero monumentale. Il Comune per evitare il propagarsi del contagio provvede a tracciare solchi paralleli e profondi sette palmi, per seppellire i morti di colera. A causa di quella triste circostanza  il luogo venne appunto chiamato ” Cimitero dei colerosi “. Quando i sepolcri furono  riempiti, altri 32 cadaveri furono  sepolti nei pressi della vecchia cappella di San Rocco. Una ulteriore spinta alla costruzione del Camposanto viene data dallo scempio provocato dall’abbondante pioggia di quei giorni, che riempie d’acqua le fosse in cui erano stati deposti i cadaveri, per cui questi rimangono quasi sommersi e producono esalazioni, che si diffondono per tutto il paese.

L’economista e storico gioiese Giovanni Carano Donvito nella Storia di Gioia dal Colle riporta:  Esplosero e seguirono, alla fine dell’epidemia, l’allegrezza, gioie, feste e ringraziamenti ai Santi protettori, particolari a S. Rocco, in peste patronus ed in qualunque altro contagio… Alla vigilia dell’onomastico del Santo, e cioè del 16 agosto, il 13 si erano avuti 2 morti ed uno soltanto il giorno 14, cosicchè l’intiera popolazione a gran voce chiese, alle autorità civili ed ecclesiastiche, di esporre al pubblico ed ornate, le statue dei nostri gran Santi tutelari e specialmente di S. Rocco; e, per miracolo o puro caso, non fu segnato alcun decesso!…  Il 13 agosto 1837… fu un continuo giubileo, un anno santo ed una perenne e santa peregrinazione dalla punta del giorno sino a sera inoltrata. La folla, la calca della gente si moltiplicava, per cui, osserva il Losapio, se la malattia fosse stata davvero contagiosa, lungi da diminuire, si sarebbe dovuta estendere al non plus ultra, mentre avvenne proprio il contrario! La divozione fu l’unica occupazione, che sospese tutti gli affari mondani, per darsi unicamente alla frequenza dei Sacramenti, alla penitenza ed alle incessanti preghiere; e per sensi di pietà e di gratitudine fecero voti ed offerte specialmente le donne, privandosi e spogliandosi dei loro ornamenti più ricchi.

L’11-9-1859 i Decurioni di Gioia, preso atto che a luglio si manifestò il vaiolo, deliberano sulla richiesta di gratificazione  presentata dal vice protomedico.

Il Sindaco di Gioia, Carlo Rosati, il 30 gennaio 1860 afferma che  nel 1656 mentre la peste infuriava nel nostro Reame ed i vicini Paesi, fu il morbo letale spinto e cacciato dalle mura della nostra Patria, mercé  il patrocinio di S. Rocco, che apparve con una spada fiammeggiante con cui lo fugò e la nostra Terra fu salva. I Gioiesi allora in memoria di siffatto miracolo non solo vi costruirono una Cappella, che tutt’ora esiste, ma ancora ne introdusse la festa, che con la massima pompa e devozione del popolo si celebra in ogni anno nel giorno 16 agosto. Inoltre i Padri nostri, e noi stessi abbiamo veduti innumerevoli prodigi operati da Dio mediante la intercessione di quello inclito Santo, semprecché  lo abbiano invocato con viva fede nelle nostre traversie, soprattutto nelle emergenze coleriche del 1837, nell’atto che il morbo Asiatico mieteva in questo Paese molte vittime, cessò affatto dal giorno in cui con ardente devozione si festeggiò il lodato Santo, e perciò si osserva come di doppio precetto il giorno della sua festa, e per consuetudine si ritiene per protettore del Paese.

I Decurioni nella seduta del 28-11-1863 prendono atto che nel primo semestre sono stati vaccinati 385 fanciulli.

Lo stesso Decurionato nella seduta del 14-8-1865 prende atto che il colera Morby asiatico è apparso nella città di Ancona. La notizia viene ripresa nella seduta del 5-1-1866, nella quale si dice che nello scorso anno il colera minacciava di invadere le nostre contrade; per questo motivo le immondizie furono spostate a via Santeramo e  a Pozzo Ronco.

I Decurioni il 7-4-1867 sono invitati a prendere provvedimenti di igiene per l’invasione del colera nel Comune, in proporzioni non allarmanti, da più di venti giorni, il che fa deplorare ogni giorno 3 o 4 vittime.

Dopo quest’ultimo contagio il colera torna a  diffondersi anche nel 1886.

Al sopraggiungere di notizie che il colera ha fatto la sua presenza a Monopoli e  a Brindisi, la Giunta comunale il 18 aprile  e il 25 luglio1886 adotta i primi provvedimenti straordinari per la pubblica igiene. Il 23 giugno delibera il pagamento di un locale ad uso di Lazzaretto, per il pericolo di epidemia colerica e il 5 agosto delibera le spese per i letti forniti in occasione dell’epidemia colerica, ai primi casi verificatisi in Gioia. Il 27 agosto la Giunta delibera, dopo aver impegnato L. 12 mila di spese per l’epidemia colerica, di contrarre un mutuo, per la stessa motivazione, di L. 6000 al 5 e mezzo per cento con la Banca De Bellis & C. di Gioia.

Il 15 febbraio 1887 il Consiglio comunale è chiamato a deliberare sulla richiesta di gratificazione ai medici per servizi straordinari prestati durante l’epidemia colerica a partire dal 1° luglio 1886, data in cui si verificò il primo caso a Gioia, fino alla fine di luglio.

In occasione dell’epidemia alcuni cittadini fornirono razioni alimentari ai colpiti dalla malattia, come apprendiamo dal punto discusso dal Consiglio in data 28-2-1890: Proposta di concorso alle cucine economiche di benemeriti cittadini durante l’epidemia colerica del 1886, il cui fondo cassa fu usato quando comparve a Gioia l’influenza, e funzionavano ancora.

Il Consiglio comunale il 23-2-1904 delibera sulla richiesta dei messi comunali per ottenere un compenso straordinario per lavoro svolto durante l’epidemia vaiolosa verificatasi a Gioia per quasi un anno. Una simile richiesta, effettuata dai medici condotti per compenso di lavoro straordinario in occasione dell’epidemia vaiolosa per la durata di un anno, a partire dal 7-1-1903, viene discussa nel Consiglio del 23-6-1904.

Nella seduta della Giunta comunale del18-8-1910 si parla di minaccia di invasione colerica, comparsa in diversi Comuni della Provincia, per cui vengono nominati due vigili sanitari e alcune guardie campestri aggiunte, in occasione del servizio straordinario sanitario per l’epidemia colerica e si provvede ad alcuni locali di isolamento. Il 5 ottobre la Giunta delibera di provvedere all’imbianchimento degli edifici pubblici per ragioni sanitarie (colera) e il 16 ottobre delibera la chiusura dei pozzi pubblici per  ragioni sanitarie.

Il 20-11-1910 la Giunta delibera il pagamento di spese per l’epidemia colerica, che si era manifestata ad agosto a Bari e in altri Comuni, e che “oggi è finita”. Si afferma che, grazie alla profilassi e ai provvedimenti adottati, come il numero degli spazzini che sono passati da 20 a 28, l’acquisto di altre 4 botti per la raccolta delle acque luride in aggiunta alle 12 esistenti, Gioia è stata preservata dal contagio. Si cita che c’è stato il contributo del Governo per L. 4000 in contanti e L. 1500 per disinfettanti e altro. Si esprime, perciò, un voto di ringraziamento al Presidente del Consiglio, al Sotto Segretario di Stato all’Interno per il loro contributo, al Prefetto di Bari, all’Ufficiale Sanitario di Gioia, alle guardie campestri municipali, al personale comunale e ai volontari.

Il 24-3-1911 in Giunta  si parla di profilassi colerica, delle condizioni rassicuranti che giungono da Taranto. Si parla anche della costruzione di un Lazzaretto, visto che, in sua assenza, è stato utilizzato  a tale scopo il Ricovero di Mendicità. Il 10-5-1911 viene deliberata l’occupazione dell’ex Convento di Sant’Antonio  ad uso del Lazzaretto e il 29 maggio vengono acquistate le brande per arredamento dello stesso. Il 21 giugno la Giunta delibera la transazione della lite per l’occupazione della Chiesa e dei fondi a contrada Cinque Parieti e Le Croci, adibiti  a locali di isolamento e sull’impianto elettrico al Lazzaretto. Il 28 agosto vengono deliberate le spese sostenute fino ad agosto per servizi sanitari; infatti a causa dell’epidemia (casi di gastroenterite di natura contagiosa ed epidemica), l’Ospedale fu adibito a lazzaretto. Anticipazioni per la profilassi colerica anche per il mese di ottobre sono deliberate il 28 settembre.

Il 7-11-1911 il Consiglio comunale prende atto delle deliberazioni del Regio Commissario del l’11 febbraio fino al 27 luglio 1911 per la profilassi colerica: l’utilizzo dei locali della Madonna della Croce, per uso di lazzaretto, e il Ricovero di Mendicità, come locale di isolamento.

Il 9-12-1911 la Giunta comunale  approva le spese all’appaltatore dei trasporti funebri per aver trasportato 71 salme di colerosi durante l’ultima epidemia.

L’epidemia più nota del Novecento è certamente “la spagnola”, che interessò anche Gioia. Alla decimazione della nostra popolazione, avvenuta a causa delle perdite umane durante la Prima Guerra Mondiale, si aggiunsero i morti colpiti da quella epidemia.

Contrastanti sono i dati delle vittime che la spagnola causò. In Italia si diffuse in tre ondate successive, e secondo alcuni  provocò 400 mila decessi. In tutto il mondo sembrerebbero stati colpiti 200 milioni di persone e i morti sarebbero stati da 10 a 50 milioni di persone.

I medici Emilio Favale e Fortunato Girardi e la levatrice condotta Anna Maria Longo, nel 1918 prestarono la loro opera ininterrottamente per la cura  dei malati. Il Commissario prefettizio Domenico Margiotta concesse a loro e ai becchini, alle guardie urbane e agli impiegati comunali che a seguito dell’assistenza sanitaria o del lavoro straordinario che avevano prestato durante l’epidemia, un compenso, come era stato dagli stessi richiesto.

Il numero dei morti a Gioia a causa dell’epidemia fu il seguente: 1261 nel 1918 e 737 nel 1919. Per un facile confronto, i morti nel 1917 a Gioia furono 550.

A proposito della spagnola, due medici: Sergio Sabbatani , Unità Operativa di Malattie Infettive, Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, e Sirio Fiorino, Unità Operativa di Medicina Interna, Ospedale di Budrio, in un articolo La pandemia influenzale “spagnola” The “Spanish influenza” pandemic, scrivono: La pandemia di influenza, che colpì il mondo nel 1918, è ritenuto uno dei maggiori disastri sanitari, per morbilità e per mortalità, che abbia flagellato l’umanità negli ultimi secoli. Si stima che abbia contagiato circa un miliardo di persone, uccidendone tra i 21e i 25 milioni. Altri autori si spingono a 40 milioni di vittime, considerando che le statistiche in continenti come Asia, Africa e il Sud America non erano affidabili e che le condizioni sanitarie generali risultavano particolarmente precarie. Aggravò tale evento il fatto che il flagello si scatenò in un lasso di tempo limitato e al termine della 1ª guerra mondiale, quando i paesi belligeranti erano stremati e le organizzazioni sanitarie militari e civili versavano in condizioni disastrose. L’epidemia fu chiamata all’epoca spagnola per un motivo preciso. La Spagna era immune dalla censura militare, in quanto in Europa era uno dei pochi paesi non coinvolto nel conflitto bellico, pertanto le notizie sanitarie, rispetto all’evoluzione dell’epidemia nel paese iberico, venivano fornite dalla stampa tempestivamente nella cruda e drammatica realtà. Tale trasparenza, nella diffusione delle informazioni sanitarie, costò alla Spagna la fama di nazione ove l’epidemia era particolarmente virulenta e il titolo immeritato di paese fonte del contagio: cosa che non corrispondeva a verità….

Diversi epidemiologi hanno ipotizzato che il virus della spagnola si sia diffuso originando dalla provincia del Kwangtung che in origine questo virus albergasse negli uccelli e che, grazie a modificazioni genetiche, si sia trasmesso ai maiali determinando un’influenza suina e poi si sia trasferito all’uomo. È stato ipotizzato che ci sia voluto circa mezzo secolo per la trasformazione del virus da aviario in umano e che, al termine di questa mutazione, sia diventato un ceppo letale per gli esseri umani. Questa ipotesi vedrebbe appunto nella Cina meridionale l’origine del virus della spagnola ove in effetti la popolazione, a differenza di quanto era accaduto in tutte le altre regioni del globo, non sembra sia stata colpita nel 1918 da un’epidemia particolarmente letale. Secondo questa tesi, tale evoluzione benigna sarebbe spiegata dal fatto che in quella zona remota e isolata la popolazione si sia lentamente immunizzata nei confronti di questa variante di virus aviario. Rimane non spiegato il fatto che per diversi anni questo ceppo virale sia rimasto in questa area geografica senza dare segno di sé in Asia o in altri continenti…. Secondo Kennedy Shortridge, l’Asia, e in particolare la Cina meridionale, sarebbe l’epicentro delle epidemie influenzali. Il virus viene ospitato nei volatili, le anatre principalmente, allevate in gran numero in questa regione. Si creerebbe un circuito ove entrano in gioco le anatre, i maiali e l’uomo. Fin dal secolo XVII i contadini cinesi trovano l’opportunità di tenere le risaie libere da erbacce e insetti grazie all’utilizzo delle anatre. Mentre il riso cresce, lasciano nelle risaie sommerse le anatre, che mangiano gli insetti e le erbacce, ma non toccano il riso. Quando questo comincia a maturare, tolgono le anatre dalle risaie e le spostano nei canali e negli stagni. Dopo il raccolto, riposizionano le anatre nelle risaie ora secche. Qui i volatili si cibano dei grani di riso caduti a terra, ingrassando considerevolmente. La zootecnia dei suini viene svolta in contiguità con i volatili, così si realizzerebbe il passaggio del virus influenzale ai suini e da questi l’adattamento del virus nei confronti dell’uomo si realizzerebbe attraverso modificazioni genetiche. A sostegno di questa tesi ci sarebbe l’evidenza che le epidemie influenzali sembrano cominciare sempre in quella regione dell’Asia corrispondente alla Cina meridionale.

…Jeffery Taubenberger, importante patologo molecolare che ha studiato materiale biologico proveniente da soggetti deceduti di spagnola e che ha sequenziato parti di RNA virale provenienti da tessuto polmonare di questi malati, considera con scetticismo la teoria che vede l’origine cinese della pandemia del ’18.

…Nel nostro paese l’epidemia fu particolarmente grave. Al termine dell’epidemia, dopo 10-11 mesi di flagello, 600.000 persone erano scomparse, accusando uno dei tassi di mortalità più alti d’Europa. Anche in Italia la censura, instaurata all’inizio del conflitto bellico, fu particolarmente severa e furono gli stessi giornali che, praticando un’attenta autocensura, contribuirono all’oscuramento del problema. Ma la censura non basta per giustificare quanto poco si parlò della Spagnola anche quando l’epidemia continuò ad imperversare nei mesi successivi alla chiusura del conflitto bellico.

Nel 1925 la Giunta comunale, sulla scorta delle precedenti epidemie prende in fitto dei locali ad uso di lazzaretto.

Epidemie di colera non sono mancate in Italia nel corso del secolo scorso, tra cui quella del 1973, che colpì maggiormente la città di Napoli e fece sentire i suoi effetti anche in Puglia. Nel 1995 registriamo un’altra presenza di colera in Puglia, che portò allo stanziamento di L. 5 miliardi da parte del Prefetto di Bari, per migliorare le condizioni igienico-sanitarie anche a Gioia.

Oggi stiamo vivendo drammaticamente una nuova epidemia: il COVID-19 e i dubbi che espressero gli studiosi per quanto riguarda l’origine della “spagnola” sono gli stessi che circolano oggi intorno alla pandemia che stiamo subendo.
Sul piano demografico l’impatto di questi diversi morbi fu devastante, più nelle città che nelle campagne. Ciò è facilmente spiegabile con il fatto che le concentrazioni urbane favorivano il contagio.

Queste epidemie, per il loro continuo succedersi ed il loro andamento, convinsero medici e profani come se esse fossero dovute a morbi che si trasmettevano direttamente da uomo malato a uomo sano o, indirettamente, per mezzo delle cose toccate dagli ammalati e venute a contatto con gli indenni.

Per difendersi dalle epidemie venivano isolati gli ammalati, in particolar modo i lebbrosi, e si proibiva l’ingresso nelle città agli uomini ed alle merci sospette.

Su alcune abitazioni di Gioia possiamo scorgere delle maschere apotropaiche (derivato dal gr. ἀποτρόπαιος, che allontana, derivato di ἀποτρέπω, allontanare). Secondo alcuni studiosi avrebbero lo scopo di allontanare l’invidia, la iettatura, gli influssi e gli spiriti avversi anche il malocchio, causa di malattie.

Più che affidarsi a questi simboli, però, la comunità gioiese, nei tempi passati e ancora oggi si rivolge al compatrono, San Rocco, invocato spesso in passato, e non solo a Gioia ed in Italia, ma in molte altre nazioni, come protettore da tutte le malattie infettive, in particolare dalla peste, dalla quale lui stesso fu contagiato.

Per ringraziarlo della protezione ottenuta da San Rocco durante alcune epidemie, quella della peste del 1656, e quella colerica del 1837 i gioiesi  al cessare dei contagi non solo costruirono in Suo nore due edifici sacri; il primo consistente in una Cappella, e il secondo  nell’attuale Chiesa, edificata sulla vecchia Cappella, ma chiesero alle Autorità ecclesistiche l’autorizzazione canonica a venerare il Santo come Compatrono.

A Gioia è molto venerato San Francesco da Paola, il quale oltre ad essere considerato  protettore  dagli incendi, dei naviganti, dei pescatori, e della sterilità, viene ricordato anche come protettore dalle epidemie. Il suo sentito culto a Gioia  è attestato dalla presenza di una pala nella Chiesa Madre, che lo raffigura mentre attraversa lo Stretto di Messina su un saio in compagnia di due frati, miracolo che lo renderà Santo protettore dei mari, da una statua in pietra nella chiesa di San Domenico, restaurata nel 2012, da una sua raffigurazione sulla icona presente nella sala delle udienze del Consiglio comunale di Gioia, che rappresenta la Madonna, Regina dei Patriarchi, insieme al Bambino Gesù, a San Giuseppe, a Santa Sofia e San Filippo, originariamente presente sull’Arco Nardulli.

All’età di 67 anni San Francesco, su richiesta di Papa Sisto IV, sia pure a malincuore,  accetta  la richiesta, che a Lui era stata rivolta dal re di Francia Luigi XI, gravemente malato, il quale era venuto a conoscenza dei suoi poteri taumaturgici, di incontrarlo. San Francesco  nel maggio del 1489 si reca dal re e li resterà per 25 anni, fino alla sua morte. Convincerà il re ad accettare la sua malattia e a comporre i contrasti con la Chiesa, consiglierà luminari e potenti affinché difendessero i diritti dei più deboli, rifiuterà persino gli agi della corte preferendo dormire nei boschi, che erano ubicati  a ridosso della reggia.

Historia docet. Come ci hanno tramandato e insegnato le esperienze del passato e i nostri progenitori, meno tecnologici di noi e per questo costretti ad aguzzare maggiormente l’ingegno ( mi riferisco alla peste di Venezia del 1576, alla Spagnola del 1918, all’influenza Asiatica del 1957, a quella di Hong Kong del 1968), per superare queste emergenze sanitarie, occorre mettere subito in campo misure atte a ridurre i contagi, quali l’isolamento degli ammalati e l’interruzione di qualsiasi tipo di rapporto sociale all’interno e all’esterno della popolazione. Non bisogna correre lo stesso errore di Venezia, che,  in presenza dell’epidemia di peste del 1576, esitò a prendere decisioni forti. Solo quando i Veneziani compresero che l’epidemia aveva raggiunto ampia diffusione tra la popolazione, corsero ai ripari promulgando senza ulteriore esitazione le leggi di quarantena per arginarla, senza nutrire più timori di ripercussioni sull’economia di una città, che allora aveva il monopolio dei commerci marittimi.

Differente, ma fruttuosa fu la la risposta che gli Amministratori gioiesi dettero nei secoli scorsi in presenza di epidemie di peste, di vaiolo e di colera: scelta di incrementare la profilassi e contenere la diffusione delle malattie, allestendo locali di isolamento, anche in mancaza di contagi per prevenire più che per curare gli effetti di tali eventi infettivi.

Certo può essere una scelta forte con  un costo economico molto elevato, ma in quei casi, come nel nostro, oggi, è indispensabile  introdurre anche delle forme di contenimento dei danni e mettere in campo forme di sostegno per lavoratori, famiglie ed attività economiche.

Rinunciare per poco alla propria voglia di libertà di movimento, ai consueti ritmi di vita, a consolidate forme di socializzazione e associazionismo, osservare misure volte al contrasto alla diffusione della pandemia, essere sostenuti dal punto di vista economico, possono essere gli elementi in grado di permetterci di godere più in fretta i vantaggi di un ritorno ad una normale vita sociale, dopo una forzata e pesante restrizione.

Se i nostri predecessori ce l’hanno fatta …

© E’ consentito l’utilizzo del contenuto di questo articolo per soli fini non commerciali, citando la fonte ed il nome dell’autore.

Print Friendly, PDF & Email

22 Aprile 2020

  • Scuola di Politica

Inserisci qui il tuo Commento

Fai conoscere alla comunità la tua opinione per il post appena letto...

Per inserire un nuovo commento devi effettuare il Connettiti

- Attenzione : Per inserire commenti devi necessariamente essere registrato, se non lo sei la procedura di LOGIN ti consente di poter effettuare la registrazione istantanea.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.