Origini del ceppo Primativo e dello Zinfandel

Controversa è l’origine della coltivazione della vite nei nostri territori. Nella Relazione su Primitivo di Gioia allegata alla richiesta di riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata dei vini Gioia del Colle, si afferma che per qualche studioso il Primitivo sia originario o quanto meno sia stato coltivato per la prima volta nelle zone litoranee ove […]

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Controversa è l’origine della coltivazione della vite nei nostri territori.

Nella Relazione su Primitivo di Gioia allegata alla richiesta di riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata dei vini Gioia del Colle, si afferma che per qualche studioso il Primitivo sia originario o quanto meno sia stato coltivato per la prima volta nelle zone litoranee ove si affermarono le colonizzazioni fenicia prima e greca poi. Nei secoli successivi, in particolare nel Medio Evo, con il diffondersi degli insediamenti rupestri ad opera degli eremiti Basiliani, il vitigno sarebbe stato diffuso nel tempo dalla Terra d’Otranto, in particolare dalla zona pianeggiante dell’arco ionico, ove si erano sviluppate le più ricche e celebri colonie greche, a tutto il territorio Barese e fino alla costa adriatica, attraverso la vecchia via Taranto-Mottola-Gioia-Casamassima-Bari. L’importanza dell’opera svolta dai monaci Basiliani a favore della viticoltura pugliese è stata, senza alcun dubbio, rilevante solo se si consideri che tale opera si estrinsecava in epoca precedente a quella nella quale operarono i Benedettini in altre regioni. E che l’opera dei Basiliani nel settore vitivinicolo sia stata tale da lasciare un’impronta evidente per circa un millennio, è evidenziata dal fatto, come riferisce Ricchioni, che ‘le pratiche enologiche, nella provincia di Terra d’Otranto, erano più accurate che non altrove in Puglia’ perché, aggiungiamo noi, proprio in tale provincia l’attività dei monaci Basiliani era stata più feconda che altrove. Infatti presso molti eremi, colà esistenti, erano stati realizzati impianti, oltre che per l’oleificazione delle olive, per la vinificazione delle uve prodotte nei vigneti afferenti all’eremo e che il vino

prodotto era molto apprezzato nel Medio Oriente, ove gli stessi monaci provvedevano ad esportarlo in rilevanti quantitativi. Ma il metodo della diffusione e della valorizzazione del Primitivo va ai viticoltori di Gioia del Colle che, fin dagli inizi del 19° secolo, misero a profitto l’opera dell’Indellicati che, al pari dei Basiliani, era pur esso uomo di chiesa; i gioiesi, infatti, investirono a Primitivo tutta la proprietà privata che si estendeva intorno al centro di Gioia per un raggio di circa 2 Km.; però la grande diffusione del Primitivo, nel territorio di Gioia, si aveva nel periodo che andò dal 1868 al 1885, quando cioè le autorità locali decidevano di quotizzare il vasto demanio comunale. Questi terreni, ovviamente di origine murgiosa, venivano suddivisi in 4 zone, di cui 3, Marchesana, Terzi Castiglione e Parco Buscia, per circa 6000 ha erano interessate all’allevamento del Primitivo; l’ultima zona, a roccia affiorante, invece, veniva destinata alla zootecnia e all’insediamento umano.

Dopo il contributo tendente a favorire la viticultura da parte di numerose etnie avvicendatesi a partire dal II millennio a.C. in Puglia, una prima diffusione del Primitivo nelle province di Bari e Taranto si suppone venne promossa dai monaci basiliani nella prima metà del IV secolo, intervento di cui si possono apprezzare gli effetti grazie ad una successiva fase, avvenuta nel 1086, con l’insediamento dei monaci benedettini di Cava de’ Tirreni a Sant’Agata di Puglia, voluto dai Normanni, ed in seguito nel 1194 per volontà degli Svevi che favorirono allevamento e sperimentazione di altre varietà. La tenacia con la quale i monaci difesero le vigne ebbe anche l’appoggio di Federico II e fu favorita dalle donazioni enfiteutiche dei feudatari del tempo e dalle azioni riformatrici ecclesiastiche che, a partire dall’XI secolo, videro in papa Gregorio VII un indefesso sostenitore.

Dunque il lungo processo di stratificazione delle varietà di vite ad opera di popolazioni mediterranee quali Fenici, Greci, Histri, Illiri, Japigi, Peuceti, Dauni, Dorici, Choni e Messapi e la preservazione delle stesse per merito dei monaci basiliani, degli editti dei regnanti succedutisi e dei monaci benedettini hanno costituito una prima grande fase, il preludio fondamentale alla viticultura in Puglia.

Secondo altri studiosi il primo ceppo del vitigno che in seguito prenderà il nome di primitivo, o meglio primativo, fu introdotto ad opera dei Benedettini, nell’XI secolo, e non nei secoli XII-XIII, allorquando impiantarono i loro monasteri anche in Puglia. Il dottor Antonio Calò attribuisce il merito della venuta del Primitivo in Puglia agli stessi monaci benedettini a partire dal XVII secolo.

Secondo la loro Regola: Ora et labora, oltre a svolgere lavori manuali e campestri i Benedettini si davano anche alla coltivazione dei campi e della vite.

Che i Benedettini abbiano potuto importare nella zona di Gioia un vitigno simile al Primitivo non ci dovrebbero essere dubbi in quanto sia nel tenimento di Gioia che in quello vicino di Castellana Grotte, oltre al Primitivo vero e proprio ha dimora, sia pure limitatamente, un vitigno definito ‘Primitivo selezionato francese’, che ha tralci più sottili, mentre i grappoli non accusano il fenomeno della colatura e si presentano diversi per essere alati in maniera accentuata; inoltre matura con anticipo di circa 10 giorni e la vendemmia deve essere tempestiva per la buccia eccessivamente delicata; infine l’uva ha acini grossi e più elevato tenore glucidico.

Per alcuni studiosi, invece, la coltivazione del vitigno primitivo risalirebbe al periodo dell’arrivo a Gioia degli Schiavoni nel XV secolo, periodo in cui combattono a fianco degli Aragonesi contro gli Angioini.

Secondo altri studiosi il ceppo del primitivo è stato importato in Puglia dalla Croazia.

La vocazione, costante nel tempo, del nostro territorio per il vino primitivo è attestata dall’impianto a Gioia di una Scuola enologica 1886-1893.

Ironia della sorte: proprio nel periodo in cui con l’istituzione di scuole tecniche specifiche si intensificavano gli studi per migliorare le culture vitivinicole, sull’Europa, e in Francia in particolare, si abbatte una vera e propria catastrofe: la fillossera (1899).

                                  CONTESA  PRIMITIVO – ZINFANDEL

Da circa un trentennio gli ampelografi hanno concentrato e approfondito i loro studi sulle origini del Primitivo e il dibattito è ancora in corso.

Mentre in Europa veniva coltivata la Vitis vinifera, in America esisteva la vite americana, un’altra specie del genere Vitis, una pianta selvatica. Con la scoperta dell’America la vite europea fece il suo ingresso nel Nuovo Continente, a partire dal Messico. La sua coltivazione per ottenerne vino è però cosa abbastanza recente, realizzata grazie all’operato degli emigranti provenienti dall’Europa (alcuni dei quali furono dei veri pionieri in questa attività), rilanciata attraverso la scoperta del vino da parte dell’élite californiana degli anni Sessanta, successivamente ai lunghi anni  del Proibizionismo.

Ma è soprattutto in California, dove viene coltivato da quasi centocinquant’anni, che lo Zinfandel ha accompagnato lo sviluppo della viticoltura e dell'enologia, per dare principalmente vini rossi di grande struttura, ma anche rosati: da robusto vino dei minatori, ad uva generosa destinata ai tagli; dall'uso di acquistarla in latte metalliche per la produzione casalinga di vino durante il Proibizionismo, ai leggeri White Zinfandel degli anni '60-70 fino ai rossi di grande concentrazione e struttura, provenienti da vecchi vigneti, apprezzati da consumatori più maturi ed esigenti. A causa della penuria di ferro, infatti, assorbito quasi totalmente dall'attività estrattiva durante la corsa all'oro, lo Zinfandel cominciò ad essere coltivato ad alberello senza alcun sostegno: alcuni di questi vigneti storici, vecchi non meno di 80-100 anni, offrono ancora oggi produzioni particolarmente preziose.

Lo Zinfandel, un vitigno dalle origini misteriose, viene rivendicato dai californiani come unica varietà di vite autoctona del Nord America appartenente alla specie vitis vinifera, mentre le altre uve coltivate appartengono tutte alla famiglia della vitis labrusca, se non altro perché il nome non aveva uguali nel mondo, e tanto legato alla viti-vinicoltura americana da essere stata designata “America’s wine heritage”, per l’America un vero e proprio patrimonio di storia e cultura enoica.

Le tracce dell'introduzione sulla costa Atlantica risalgono al 1820 circa, quando il materiale fu importato da una collezione di vitigni austriaca; infatti alcuni studiosi sostengono che la prima pianta arrivò negli Stati Uniti nel 1829 probabilmente dalle serre imperiali di Vienna.

Forse non è una coincidenza il fatto che il Primitivo, che corrisponde geneticamente allo Zinfandel, sia allevato, come quel vitigno, ad alberello nei vigneti tradizionali delle province di Bari e di Taranto, dove si sta trasformando da vino eccellente per il taglio a rosso importante, di notevole personalità e prestigio.

Dal 1972 cominciarono le osservazioni di controllo ed i vitigni apparvero davvero simili.
Il fatto fu quindi confermato anche da W.H. Walfe e H.P. Olmo, sempre della Università di Davis che avevano comparato Zinfandel e Primitivo anche con la tecnica degli isoenzimi.

Olmo, Goheen ed altri studiosi americani ammettono così questa similitudine, pur evidenziando alcune piccole differenze dovute sicuramente ai diversi biotipi in coltura ed alla conseguente variabilità.

Il dott. Antonio Calò, nella relazione "L 'evoluzione della viticoltura pugliese in relazione al vitigno quale fattore di qualità" (Rivista di Viticoltura e di Enologia di Conegliano, n. 9, settembre 1986), afferma: G. Froio nella ‘Relazione sugli studi ampelografici eseguiti nelle Puglie’ e A. Sannino, che la riprese e la commentò nella ‘Rivista di Ampelografia’, sostengono che trattandosi di un vitigno della specie Vitis vinifera, lo Zinfandel è giunto in California dall'Europa. Probabilmente non dalla Puglia, come qualcuno sostiene; così come certamente non è venuto in Puglia dalla California, come insinua qualche altro studioso (Wasserman S. and R, 1985). La provenienza, secondo i due studiosi, fu quasi sicuramente da qualche zona viticola dell'impero Austro-Ungarico.

Sostiene a ragione C.L. Sullivan, storico della viticoltura, sulla base di documenti, che lo Zinfandel fu portato in California intorno al 1850 da Agoston Haraszthy; proveniva dal New England, dove era usato come uva da tavola coltivata sotto serra sino dagli anni 1830 (Sullivan C.L., 1985). Nel New England era arrivato da un vivaio del Long Island e qui, si dice, era giunto probabilmente dalla collezione imperiale austriaca di Schónbrunn (Vienna).

Sullivan dice ciò sulla scorta di un remoto manoscritto che indica come lo Zinfandel venisse dalla Germania, ma aggiunge «naturalmente non vi erano paesi chiamati Germania in quegli anni. L'uso di questo termine significa che veniva da un luogo dove si parlava tedesco».

Sulla scorta di queste informazioni ho dato il via ad una serie di ricerche delle quali si occupa ora il nostro Istituto e devo qui ricordare il contributo e l'aiuto che stanno dando il Cav. Demetrio Zaccaria della biblioteca «La Vigna» di Vicenza e due Direttori delle nostre Sezioni, i Dottori Costacurta ed Egger.

E così abbiamo cominciato a controllare tutte le liste dei vitigni ed ampelografie europee del secolo scorso, ma mai ci siamo ancora imbattuti nel nome Zinfandel. Il nome più vicino è risultato Zierfandler, che si riferisce ad un vitigno coltivato in Austria, che abbiamo controllato, ma che non ha somiglianza con lo Zinfandel o Primitivo.
Il nome Zinfandel non esiste neanche nella lista della Raccolta di 400 varietà di viti della Ungheria e degli Stati ereditari Austriaci fatta per ordine dell'Arciduca Francesco Carlo, per desiderio del Vice Re Ranieri e che nel 1825 l'Acerbi riporta integralmente.

Qui esistono oltre allo Schwarze, anche il Rothe Zirifahnler che probabilmente è lo stesso Zierfandler appena ricordato.

Inoltre, colleghi dell'Istituto di Klosterneuburg (Vienna) hanno controllato per noi con indagini approfondite la biblioteca dell'Amministrazione del giardino del Castello di Schdnbrunn e gli archivi del Castello, rilevando che effettivamente esisteva a Schónbrunn un'ampia collezione di uve da tavola; tuttavia per tutto il periodo 1820-1830 non è stato possibile rintracciare il nome Zinfandel.
Sulla scorta di questi dati siamo, allora, piuttosto propensi a ritenere che dall'Impero Austro-Ungarico siano arrivate in America viti con il nome di Zierfandler; che ci sia stato qualche possibilissimo errore di marze e che si sia quindi diffusa la varietà oggi conosciuta con il nome alterato di Zinfandel, che, comunque, doveva essere arrivata dalle stesse zone di lingua tedesca.

La cosa non deve meravigliare se si riflette sulla differenza fra scrittura e fonetica così accentuata nella lingua inglese e questo mi pare confermato anche dal seguente fatto.

Nell'antico «Treatise on the vine History from the hearliest ages to the present day» di W. R. Prince e W. Prince edito nel 1830 a New York e del quale ho potuto prendere direttamente visione a Davis, fra le varietà straniere al n. 468 è indicato un Black Zinfardel of Hungary: un nome che è già una via di passaggio fra Zierfandler e Zinfandel. È importante sottolineare questo particolare perché B.C. Ramey nella sua rara Ampelografia riporta questa notizia, ma cita il ricordato studio catalogo come se riportasse la dicitura Black Zinlandel of Hungary (Ramey B.C., 1977).

Ma allora l'origine? Sulla scorta di altre notizie e di quanto riportato anche dal citato B.C. Ramey, una via interessante e forse decisiva ci pare quella che porta ai vitigni Plavac e Plavina.

Si tratta per la Plavac di varietà che era diffusa in Jugoslavia nei distretti di Chin, Sebenico, Bencovaz, Zara, nelle isole del Quernero, che era conosciuta nelle isole di Pago ed Arbe col nome di Brajda o Brajdica e per la Plavina della varietà più diffusa lungo la costa jugoslava, conosciuta anche a Curzola col nome di Pagadebit, a Spalato di Crlienak, a Trau di Crnac Kastclianac oppure Viska a Zara vecchia come ricorda nel 1922 S. Bulic.

Varietà ancora diffuse nella costa dalmata ed ampiamente descritte in un lavoro di P. Males del 1981 che le dice, appunto, originarie della Dalmazia, dove se ne riscontrano numerosi biotipi.

E così anche questi vitigni sono stati da noi messi in coltura sia a Davis che a Conegliano in paragone con Zinfandel e Primitivo nella speranza di avere chiare indicazioni.

Se, infatti, Plavac, Zinfandel e Primitivo risultassero simili si potrebbe fare un barlume di luce sull'arrivo dello Zinfandel in America.

Dalla Dalmazia, paese dell'Impero Austro-Ungarico, negli anni intorno al 1830 (forse proprio attraverso Schònbrunn) sarebbe stato portato negli Stati Uniti.

L’episodio fondamentale risale al 1967, quando Austin Goheen, fitopatologo docente dell’Università californiana di Davis, di ritorno dalla Germania, fece tappa a Bari per incontrare il collega Giovanni Martelli.

Lo studioso statunitense ebbe modo di assaggiare un Primitivo e notò che il vino somigliava in modo impressionante allo Zinfandel, intuendo che il Primitivo pugliese e lo Zindandel californiano potevano essere geneticamente identici. Goheen chiese di poter controllare se anche il vitigno pugliese potesse avere qualcosa in comune con quello statunitense. La mattina seguente i due si recarono nei vigneti di Gioia del Colle, fu allora che il fitopatologo californiano trovò una prima conferma alla sua intuizione e diede l’avvio a una serie di ricerche ampelografiche. L’anno successivo a quell’incontro vide il Primitivo oggetto di grande interesse da parte dell’Università di Devis; si fece inviare nel 1968 viti di Primitivo che piantò in California per poterle paragonare con lo Zinfandel e creò un campo sperimentale dove le viti di primitivo crescevano accanto alle viti di Zinfadel, fu solo nel 1975 che si potè studiare le prime vinificazioni di Primitivo che confermarono le somiglianze con lo Zinfandel. Nel frattempo, sempre all’interno dell’università di Davis, iniziò il prezioso lavoro di ricostruzione del professor Sullivan, le cui indagini rintracciarono sia la presenza dello Zinfandel nel vivaio di un certo George Gibbs a Long Island, tra il 1820 e il 1829, sia la citazione del “Black Zinfardel of Hungary” nel libro intitolato “A Tretise on the Vine” pubblicato nel 1830 da William Robert Prince. Lo storico ipotizzò che l’arrivo dello zinfandel a New York potesse essere avvenuto dalla collezione imperiale esistente a Vienna presso il castello di Schonnbrunn. Dopo la seconda metà del XIX secolo, lo Zinfandel arrivò in California e, anche in questo caso grazie alle sue caratteristiche, divenne la varietà più diffusa. Rimaneva il problema del nome: il termine zirfandel, poi divenuto Zinfandel, originerebbe dalla modificazione di tzinifandliczirifandli, parola ungherese obsoleta, derivata dal termine tedesco zierfandler, una varietà a bacca bianca (gruner sylvaner) di origine austriaca. Dunque potrebbe trattarsi di un errore di compilazione.

Nel 1975 anche il vino ottenuto da alcune viti originarie della Puglia, e piantate nelle vigne sperimentali dell’ateneo californiano, risultò davvero molto simile allo Zinfandel. L’anno seguente furono presentati i risultati delle ricerche condotte con metodiche iso-enzimatiche, queste dimostravano che Zinfandel e primitivo erano probabilmente la stessa varietà. Nel 1994 Carole Meredith, importante ricercatrice di Davis, fu in grado di confermare che Zinfandel e primitivo sono due cloni della stessa varietà. La scoperta rimise in discussione l’origine del vitigno e riaccese l’interesse per la ricerca storica, ampelografica e genetica. Come già detto, la somiglianza tra primitivo e Zinfandel con la varietà croata Plavac Mali, e dei vini che se ne ottengono, aveva fatto pensare che si trattasse di un unico vitigno. Già nel 1982 Goheen concluse che fossero varietà simili ma non identiche. All’inizio degli anni novanta Miljenko Grgich, produttore di vino di origine croata, assicurò a Carole Meredith il supporto per ulteriori ricerche con le nuove tecniche dell’esame del DNA.

Nel 1998 la studiosa, con un’equipe dell’università di Zagabria, raccolse da vigneti lungo la costa croata e su alcune isole 150 campioni di Plavac mali, era chiaro che questo e lo Zinfandel non erano la stessa varietà ma erano imparentati tra di loro. La ricerca continuò, in particolare nelle isole e si rafforzò l’idea che lo Zinfandel traesse le origini da un vitigno croato scomparso in seguito alle devastazioni fillosseriche. Nel 2000 i ricercatori croati inviarono a Davis nuovi campioni, tra i quali uno particolarmente interessante. Si trattava di una varietà molto antica chiamata Dobricic, coltivata sull’isola di Solta, vicino a Spalato.

Il mistero venne risolto nel 2001 dalla dottoressa Meredith, aiutata dai colleghi Ivan Pejic e Edi Maletic dell'Università di Zagabria e da una sua ex-studentessa croata, Jasenka Piljac, che eseguirono dei test genetici su ben 150 campioni di piante diverse raccolte sulla costa della Dalmazia confrontate con il binomio P-Z (Primitivo, Zinfandel). Essi trovarono in un vigneto nella città dalmata Kaštel Novi viti abbandonate, per l’esattezza nove, di un vitigno autoctono di nome Crljenak kaštekanski (Rosso di Kastel), non più vinificato da tempo. Gli esami genetici sul DNA condotti dalla stessa Meredith portarono al risultato che il Primitivo-Zinfandel altro non è che lo stesso Crljenak kaštekanski, ampiamente coltivato in Croazia e di lì portato da qualche emigrato, forse un monaco, in Puglia ma non prima che avvenisse una impollinazione casuale tra questo vitigno e il Dobricic (altro vitigno molto diffuso in quella zona), generando il Plavac Mali che lo ha sostituito nelle coltivazioni poiché più resistente alla malattia.

Inoltre apparve chiara l’origine del vitigno nell’area mitteleuropea e balcanica, corrispondente a quella che un tempo faceva parte dell’impero austro-ungarico.

Ma la diffusione in Puglia e l'origine? Ecco che torna importante il controllo con Plavac e Plavina. Non è infatti fuori luogo pensare che la stessa mescolanza di vitigni fosse diffusa lungo le due sponde dell'Adriatico, dato il possibile scambio esistente di materiale viticolo.

Non dimentichiamo in proposito, per esempio e tra parentesi, che fra i vitigni coltivati nelle Marche nel 1880 è ricordata un' Uva di Dalmazia e che nell'isola di Lesina, come scriveva nel 1924 S. Bulic la Turchesca era chiamata Puljiska (Pugliese).

Ma nel caso di una verifica di identità fra Plavac o Plavina e Primitivo l'origine più antica dovrebbe essere quella verso est … se da là viene la vite.

La costa dalmata è antistante la Puglia. Forse il Plavac Mali aveva attraversato il mar Adriatico per approdare in Puglia.

Certo per tornare a tempi recenti è strano che nel 1883 D. Froio non ricordi il Primitivo fra le «antiche uve» delle contrade baresi e che il vigneto della contrada Liponti citato da Musci, costituito a fine 1700, potesse essere in piedi nel 1913. Tutto ciò avvolge del giusto mistero l'origine del vitigno e può dare libero sfogo alle «fantasie» che vogliono andare lontano.

In concreto può stare in piedi l'ipotesi che il Primitivo sia per la Puglia vitigno di importazione. È certo che fu coltivato fino agli ultimi anni del 1800 esclusivamente in provincia di Bari e che solo più tardi fu introdotto nei territori (ora anche classici) delle province di Taranto, Brindisi e Lecce.

Sul come il Primitivo fosse finito in USA si sono cimentati altri studiosi.

Vengono avviate ulteriori ricerche per andare ancora più a fondo, dal punto di vista storico e geografico, fino a scoprire che i primi documenti sulla presenza del vitigno negli Stati Uniti risalgono al 1830, dove il nome riportato è “Black Zinfandel of Hungary”. A dispetto di questo appellativo, in Ungheria e in Austria – nell’Ottocento unite in un unico impero – non risulta traccia dello Zinfandel, che invece viene trovato lungo le coste della Dalmazia, anch’essa un tempo parte dell’Impero asburgico.

Ritorna presso alcuni la teoria che il Primitivo e lo Zinfandel fossero a sua volta cloni di una varietà presente in Croazia, il Plavac Mali, la più importante uva rossa da vino della Croazia.

Probabilmente questo vitigno, molto coltivato in Croazia, era partito da lì e, attraverso la collezione di Vienna, aveva spiccato il volo per l’avventura americana. In Croazia, invece, lì dove era sempre stato coltivato, una malattia, quasi sicuramente la terribile fillossera, aveva distrutto tutte –o quasi- le piante, lasciandone però sopravvivere qualcuna che ha permesso di capire che Zinfandel e Primitivo sono la stessa cosa.

Grazie alla collaborazione dell’Istituto sperimentale per la viticoltura di Conegliano, viene dimostrata l’identità genetica dei due vitigni: Primitivo di Gioia e Zinfandel californiano. Studi ampelografici e più recentemente l'analisi del DNA hanno confermato la corrispondenza Zinfandel-Primitivo.

Non è stato certo facile per i viticoltori californiani, ma davanti ai risultati della ricercatrice Carole Meredith dell' Università di Davis, anche i più scettici hanno dovuto arrendersi e ammetterlo: lo Zinfandel, uno dei più importanti e prolifici vitigni della California, ha lo steso Dna del Primitivo made in Puglia.

La ricerca, che ha supportato scientificamente quanto da tempo sostenuto dai produttori pugliesi ed in particolare negli ultimi anni da Gregory Perrucci, presidente dell'Accademia dei Racemi, ha definitivamente sancito che Zinfandel Californiano e Primitivo di Manduria e di Gioia hanno la stessa provenienza genetica e tutto quindi lascia supporre che la vite sia stata importata dalla Puglia.

Nel 2000 proprio l'Accademia dei Racemi fu invitata al prestigioso festival dello Zinfandel e l' invito è stato rinnovato anche in seguito. L' Azienda pugliese, unica azienda non americana ammessa nell' Associazione dello Zap (Zinfandel advocates and producers), ha testimoniato la propria partecipazione con due vini: Sinfarosa Zinfandel ' 99 e Dunico ' 99.  

Secondo tutti i parametri enologici, il Primitivo è risultato essere la versione migliore, superiore a quello d’origine e superiore allo Zinfandel californiano.

Indagini condotte da Charles Sullivan dell’Università di Devis risalenti al 2003 rintracciarono la presenza dello Zinfandel in un vivaio di Long Island, New York, tra il 1820 e il 1829; lo storico statunitense ipotizzava che l’arrivo dello Zinfandel a New York fosse avvenuto attraverso la collezione imperiale del Castello Schonbrunn, ipotesi plausibile considerato che all’epoca l’Austria e la Dalmazia facevano entrambe parti dell’impero Austro ungarico. Una volta giunto negli Stati Uniti fu il vivaista Gibbs che diffuse lo Zinfandel cedendolo a un vivaista di Boston che lo propose come uva da tavola a maturazione precoce. Solo nel 1850 la partecipazione alla corsa all’oro da parte di alcuni vivaisti consentì l’arrivò dello Zinfandel in California. A metà dell’800, ci fu una diffusione del vitigno tale da farlo diventare la varietà più comune. Per molto tempo alcuni autori statunitensi descrissero lo Zinfandel come un’uva originaria della California e non coltivata in nessun’altra zona. Anche il Primitivo pugliese trae origine da vitigni originari della Penisola balcanica, analisi del Dna svolte dal gruppo di Conegliano, hanno evidenziato che il Primitivo è legato sia a Plavac che a Plavinia, molto diffusi nella ex Jugoslavia da un legame di parentela genitore- figli.

Anche il Primitivo conosciuto in Italia, in sostanza, proviene dall’altra sponda dell’Adriatico, sebbene non ci siano certezze sull’epoca e sulla modalità dell’arrivo in Puglia. Le ipotesi spaziano dai commerci dei mercanti veneziani a un’importazione – ben più antica – attribuita agli Illiri, popolo che al tempo dei Romani abitava la penisola balcanica.

Oggi i gemelli del Primitivo continuano a essere coltivati in California, dove lo Zinfandel è uno dei vitigni a bacca rossa più diffusi in Croazia e soprattutto in Dalmazia e in Istria.

Ai californiani va però il merito di averne saputo esaltare le caratteristiche e le doti attraverso un minuzioso lavoro, cose, che con il Primitivo dovremo ancora raggiungere.

Molti scienziati cominciano a chiamare questo vitigno ZPC, prendendo le iniziali dei tre nomi.

Una volta scoperto che, per quanto portato in America molto presto, lo Zinfandel non è altro che una variante del primitivo, gli studi sono proseguiti per capire da dove venissero entrambi.

Gli ultimi studi hanno dimostrato che i due vitigni fratelli sono migrati da terre differenti ma vicine. ‘Il Primitivo dai Balcani, lo Zinfandel dalla Dalmazia’, sostiene Antonio Calò, presidente dell’Accademia della vite e del vino.

È probabile sia dunque da qui che, attraverso la collezione austro-ungarica di Vienna, lo Zinfandel iniziò la sua avventura americana.

La sfida tra i due vini Primativo e Zinfandel ha tenuto banco al congresso numero 70 dell’Associazione enologi a Castellaneta Marina (TA) nel 2015. Durante il congresso Riccardo Cotarella, il presidente che guida anche il comitato scientifico del Padiglione all’Expo, ha invitato gli enologi d’Italia ad acculturarsi. La partita tra Primitivo e Zinfandel ha avuto anche questo significato. In tale congresso è stato organizzato un dibattito con Luigi Moio, ordinario di Enologia alla Federico II di Napoli, e Tegan Passalacqua, dell’azienda Turley, che produce in California uno Zinfandel da vecchie vigne. I vini sono stati degustati alla cieca, ovvero con le etichette coperte: un Primitivo di Manduria Doc 2013 e uno Zinfandel 2013 di Turley Wine Cellars.

Alla fine il risultato del test condotto dal giornalista Luciano Pignataro è stato un pareggio. Entrambi i vini sono stati giudicati eleganti e potenti. Lo Zinfandel: color rosso rubino, profumi di frutta rossa, spezie e piacevolezza al palato. Il Primitivo: identico colore, profumi di more, carattere più austero, freschezza e sapidità.

Il percorso dei due vini fratelli ora è stato ricostruito.

“Vini morbidi e rotondi anche da giovani, spiega. Le differenze vengono dall’ambiente. Negli Stati Uniti c’è una maggiore uniformità tra le zone di produzione, rispetto alla nostra ricchezza di microclimi”.

Diversi i territori, ma anche il modo di vinificare:”In California hanno seguito lo stile francese, noi quello tradizionale. Due fratelli differenti anche per i mondi in cui sono cresciuti.

«Il Primitivo dal Balcani, lo Zinfandel dalla Dalmazia», ha chiarito Antonio Calò, presidente dell’Accademia della vite e del vino.

.Probabilmente, quindi, il Primitivo sarebbe stato importato da qualche emigrato croato nel periodo antecedente alla quasi totale estinzione di questa specie nelle terre colpite dalla filossera.

Se questo sia attendibile al 100% o se il Primitivo sia davvero stato portato in Puglia migliaia di anni fa dai Fenici, probabilmente non ci è dato saperlo, ma ciò che conta a mio parere è la meraviglia di un’uva che, in zone così differenti del mondo, produce Vini di grande pregio, capaci di regalare grandi emozioni.

C'è chi sostiene che solo in California si sia riusciti ad esaltare al massimo le potenzialità di questo vitigno e che in Puglia, seguendo un pensiero legato ad un passato ormai anacronistico ed irrispettoso degli sforzi portati avanti dai vignaioli pugliesi, non si riesca a fare qualità, in quanto si pensi solo alla quantità, ma questo oltre a non essere vero ed a risultare denigratorio, è potenzialmente impossibile, quando parliamo di eccellenza e soprattutto di allevamento ad alberello.

Qualche anno dopo la catastrofe. La Fillossera giunge in Puglia e fa strage della Vitis Vinifera.

Dall’America, dove la fillossera aveva fatto la sua prima comparsa, la malattia si propagò nel nostro continente alla fine dell’800. Questa malattia della vite era stata introdotta in Europa, in particolar modo nella Francia meridionale, a seguito della importazione di barbatelle di viti infette.  Tale importazione era motivata dalla necessità di introdurre alcune varietà più resistenti alle infezioni di oidio che avevano distrutto i vigneti francesi verso la metà dell’Ottocento. Quella scelta si dimostrò infelice poiché con le ‘ mazze ‘ provenienti dal continente americano giunse in Europa il pericoloso parassita della fillossera, che portò alla distruzione della viticoltura europee.

Anche in Puglia la fillossera fece la sua comparsa nel 1899 e causò la completa distruzione di vigneti in numerosi Comuni a noi viciniori. Uno dei paesi più colpiti fu Santeramo in Colle, come testimonia il passaggio dalla stazione ferroviaria di Gioia dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, l’on. Antonio Salandra, che si recava a Santeramo per constatare di persona quella prima invasione fillosserica.

La fillossera della vite (Daktulosphaira vitifoliae) è un insetto della famiglia dei Phylloxeridae (Rhynchota Homoptera, superfamiglia Aphidoidea).

È un fitofago (insetto che si nutre di cibo vegetale) associato alle specie del genere Vitis che attacca le radici delle specie europee (Vitis vinifera) e l’apparato aereo di quelle americane (Vitis rupestris, Vitis Berlandieri e Vitis Riparia). Questo dannoso fitofago della vite, originario del Nordamerica, è comparso in Europa nella seconda metà dell’Ottocento e oggi è diffuso in tutti i paesi viticoli del mondo. Provoca in breve tempo gravi danni alle radici e la conseguente morte della pianta attaccata, con l’eccezione di alcuni vitigni americani. I metodi di lotta diretta (iniezione di solfuro di carbonio nel terreno, inondazione) possono provocare la morte della vite e hanno scarsa possibilità di applicazione. L’unico metodo efficace e applicabile su vasta scala, che ha mantenuto in vita i vigneti europei, consiste nell’innesto delle viti europee su radici (portinnesti) di viti americane: queste hanno sviluppato una resistenza che impedisce agli insetti di attaccare le radici.

Sembra che per rinnovare gli impianti andati in rovina si ricorse al recupero delle ‘  marze ‘ originarie di primitivo esportate in America, per reimpiantarle in Puglia.

Infatti nel 1900 per il pericolo della diffusione della fillossera viene concesso, anche dalla Giunta comunale di Gioia, il consenso per un vivaio per le viti americane.

Bisogna attendere il 1908 per cominciare a ripristinare la vite con il piede americano. 

Da Gioia il Primitivo si diffonde successivamente verso Sud, nella zona di Manduria, in provincia di Taranto, trovando condizioni ambientali particolarmente favorevoli.

Alla fine dell’Ottocento, infatti, nel 1881, la contessina Sabini di Altamura sposò Don Tommaso Schiavoni Tafuri, signorotto di Manduria, portando in dote, dalla sua città natale, alcune barbatelle scelte di primitivo, che il marito manduriano seppe sfruttare molto bene e che dette i suoi frutti. Ebbe rapidamente  larghissima diffusione in tutta l’ampia zona circostante la città e dando vita ai primi esempi di quel vino che, oggi, è denominato Primitivo di Manduria.  Infatti il Primitivo di Manduria è un vino rosso intenso dalle sfumature violacee in gioventù che, col tempo, volgono al granato, ampio di profumi con forti sentori di frutti rossi, potente ma morbido, caldo e asciutto.                       

Per tanti anni Il Primitivo è stato considerato un vino da taglio. E’ stato il contributo di produttori ed enologi avveduti che ha permesso a questo vino di sedere alla tavola dei grandi vini italiani. Con le moderne tecniche di vinificazione si è scoperto che il Primitivo si presta, grazie alla sua versatilità, a essere vinificato in diversi modi dando origine a vini rosati, a rossi secchi di corpo e struttura e a super Primitivi. La valorizzazione delle uve di vecchi alberelli ha permesso di ottenere dei vini eccezionali con gradazioni alcoliche importanti senza mai mostrare sensazioni brucianti date dalla presenza dell’alcool, sempre pronti a regalare forti emozioni.

Il vino ‘Primitivo di Gioia’ è stato sempre inserito nei trattati commerciali, in quanto oggetto di notevoli scambi internazionali, avvenuti in special modo con la Francia e gli altri Paesi del centro Europa. E’ quotato nel listino della Borsa-mercato della Camera di Commercio di Bari. Il suo elevato grado alcolico ha permesso altresì una buona commercializzazione del primitivo gioiese, che è stato esportato sia nell’Italia settentrionale che in Francia e in altre nazioni per essere utilizzato come vino da taglio di quegli industriali vinicoli per poter alzare il valore alcolico del loro prodotto o per produrre varianti come spumanti e champagne.

Con decreto del Presidente della Repubblica dell’11-5-1987, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23-10- 1987 n. 248, il Primitivo di Gioia del Colle ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata (DOC).

E’ stato anche creato un Consorzio volontario per la tutela e valorizzazione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Gioia del Colle” che partecipa con proprio stand alle principali manifestazioni del settore, conseguendo brillanti riconoscimenti a livello internazionale. 

A proposito del primitivo il poeta Aldo Morelli così scrive:

E il precoce Primitivo

che ci dà Gioia del Colle

dentro muscoli ribolle

sì che pare argento vivo.

E visto che il Primitivo di Manduria veniva più alcolico, corposo e più rosso violaceo di quello di Gioia i francesi vollero proprio questo vino quando alla fine degli anni ’80, la fillossera distrusse tutti i vigneti del Roussillon, la regione che forniva vino da taglio a tutta la Francia. Nacque così la vocazione al taglio del Primitivo di Manduria, anche se più che una vocazione, lo si dovrebbe definire un matrimonio d’interesse, dato che i nuovi acquirenti d’oltralpe consentivano di incamerare lauti guadagni. Così il famoso vino rosso tarantino non fu solo bevuto e consumato in loco, ma riprese alla grande le vie del commercio internazionale.

Geografie del Primitivo

La Puglia può essere suddivisa in diverse macrozone, in base ai caratteri geomorfologici e idrogeologici.

Da nord a sud abbiamo il Gargano, il Tavoliere, l’altopiano delle Murge suddiviso in Alta Murgia, Murgia barese, tarantina e, infine, il Salento.

Una regione piana, priva o quasi di zone montuose, eccezion fatta per la Daunia (qui e sul promontorio del Gargano si superano i mille metri). Gran parte della superficie è costituita da un altipiano pianeggiante che scende gradualmente dall’Alta Murgia, sui 700 metri di altitudine, ai 350 circa delle Murge baresi. In tutto il territorio la roccia è solida, costituita da calcari bianchi, coperta da pochi centimetri di terreno eluviale, disgregato e rimasto sul posto. La Puglia è sprovvista di corsi d’acqua, dunque non vi sono depositi alluvionali; inoltre, è priva di vulcani. La circolazione idrica è sotterranea, carsica, con innumerevoli condotti, grotte, gravine, doline.

Nel 2010 la superficie complessiva coltivata a primitivo ammontava a 10.700 ettari per circa 500.000 ettolitri di vino.

                VINO PRIMITIVO: CARATTERISTICHE E PRODUZIONE

VITIGNO E COLTIVAZIONE

Dopo averne ricostruito l’identità genetica, possiamo occuparci delle peculiarità della pianta, peraltro sensibile al variare delle condizioni del terreno e del clima. Questo vitigno, abbastanza delicato e non semplice da coltivare, soffre la siccità troppo prolungata e l’eccesso di umidità, oltre alle gelate primaverili. La forma compatta del grappolo, inoltre, può facilitare lo sviluppo di muffe dannose sugli acini. In Puglia e nell’alto Salento, però, il Primitivo ha trovato un habitat pressoché perfetto, per crescere correttamente e produrre uve sane e di qualità eccellente per la vinificazione.

Tra le caratteristiche principali del Primitivo, innanzitutto, va citata la grande quantità di zucchero contenuta negli acini – sferici e di dimensioni medie, dalla buccia di colore bluastro e ricca di pruina – che di conseguenza potranno produrre vini con un titolo alcolometrico elevato, peculiarità abbinata a un rilevante contenuto di antociani nelle bucce, sostanze che conferiscono colore. Questi due aspetti motivano il tradizionale utilizzo del vitigno, che fino a poco tempo fa era impiegato soprattutto per tagliare – irrobustendole – diverse produzioni vinicole del Nord.

In Italia la coltivazione del Primitivo è autorizzata in Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata e Sardegna, anche se è in Puglia che il vitigno offre i risultati migliori, specialmente nelle zone di Manduria e Gioia del Colle. Qui le vigne sono tipicamente coltivate ad alberello, una forma di allevamento antichissima, che risalirebbe ai Greci.

Per ottenere mosti e vini di qualità dai vigneti – che spesso si distinguono per la loro longevità, talvolta superiore agli ottant’anni – l’elevata produttività naturale delle piante viene quantitativamente limitata. Com’è facile capire, un vigneto ad alberello di Primitivo con queste caratteristiche ha rese molto basse.

Le piante, inoltre, spesso sono a piede franco, ovvero non sono innestate su viti americane per evitare la fillossera, a differenza della maggior parte dei vigneti europei. Quando il terreno è in gran parte sabbioso, infatti, il temuto afide non può attaccare le radici. La precocità del vitigno, infine, è testimoniata dall’epoca della vendemmia, che in Puglia generalmente avviene nella prima decade di settembre, spesso anche prima.

PRIMITIVO DI MANDURIA E DI GIOIA DEL COLLE: LE DIFFERENZE TRA LE DOP

La Puglia può vantare due Denominazioni di origine protetta che si basano sull’impiego delle uve di questo vitigno: si tratta del Primitivo di Manduria, più noto al grande pubblico, e del Primitivo di Gioia del Colle, fra il quale rientra il vino arrivato sulle tavole di Donald Trump. Queste due aree, pur essendo poco distanti fra loro, producono vini con sfumature diverse, a causa di condizioni pedo-climatiche distinte.

                                             LA PRODUZIONE DI GIOIA DEL COLLE

Nella Dop Gioia del Colle rientrano sedici Comuni della provincia di Bari, con terreni rossi, calcarei e argillosi, a un’altitudine compresa tra i 200 e i 450 metri. Le pendenze non sono aspre, la piovosità è scarsa, concentrata in autunno e in inverno, mentre i picchi delle temperature sono compresi fra 0 e 35 gradi. Il Primitivo di questa zona ha caratteristiche specifiche, sulle quali spicca la mineralità, abbinata alla tipica intensità e a una buona longevità in cantina. Il Primitivo di Gioia del Colle prevede l’utilizzo in purezza del vitigno, con un titolo alcolometrico minimo non inferiore al 13,00%, mentre la temperatura di servizio ideale è di 18 gradi centigradi.

                                                           IL PRIMITIVO DI MANDURIA                                               

La DOP Prrimitivo di Manduria  comprende numerosi Comuni delle province di Taranto e di Brindisi, distinguibili fra quelli dell’Arco jonico e quelli salentini. Lungo le cose dell’Arco jonico il clima è mediterraneo, con estati calde e inverni miti, mentre la scarsa piovosità si concentra soprattutto in inverno. Nel Salento il clima è più umido, ma ugualmente poco piovoso, mentre dal punto di vista dei terreni le due zone presentano caratteristiche diverse.

Il Primitivo di Manduria ha ottenuto la Denominazione d’origine controllata nel 1974 e il Consorzio di Tutela, invece, è stato riconosciuto nel 2002. Generalmente, questi vini si distinguono per la loro alcolicità e morbidezza, che bilancia una tannicità marcata, con una potenza superiore rispetto alle produzioni di Gioia del Colle, più minerali e fini. Risulta notevole anche la capacità d’invecchiamento, anche grazie anche all’elevato contenuto di polifenoli.

                                      GLI ABBINAMENTI A TAVOLA

Il Primitivo, con le caratteristiche sopra citate, richiede portate in grado di bilanciarne la tannicità e la potenza. Gli abbinamenti ideali, quindi, sono le carni rosse – arrostite, alla brace o con sughi speziati – ma anche la selvaggina, i brasati e gli umidi a lunga cottura. Le versioni giovani, più versatili, possono accompagnare bene anche le zuppe di legumi e i primi con sughi di carne. Quelle più invecchiate, invece, si abbinano molto bene coi pecorini stagionati, ma la struttura e la rotondità li rendono anche apprezzabili vini da meditazione, caratteristica più marcata nel caso del Primitivo di Manduria dolce naturale, che si presta per abbinamenti raffinati, con la pasticceria secca, le mandorle tostate e i formaggi dal gusto più deciso. Il disciplinare della Dop Primitivo di Manduria dolce naturale prevede l’utilizzo di sole uve di Primitivo. Il residuo zuccherino, tipico di questa variante, non deve essere inferiore ai 50 grammi per litro, mentre il titolo alcolometrico volumico totale deve corrispondere almeno al 16%, con il13% effettivo, mentre per la versione “Riserva” il limite minimo sale al 14,00%, con 24 mesi di affinamento, di cui nove in botti di legno. La temperatura ideale per la degustazione si attesta fra i 12 e i 16 gradi.

                            IL VINO PRIMITIVO ALLA CASA BIANCA       

L'interesse crescente sul mercato internazionale per la bontà del nostro vino primitivo è avvolarato da un evento di particolare portata. Infatti a gennaio del 2018 la Casa Bianca ha fatto pervenire ad un produttore locale un ordinativo di 720 casse di bottiglie di Primitivo di Gioia del Colle, per un totale di 4320 bottiglie ed un valore complessivo di circa € 50.000,00.

Al diffondersi della notizia non si sono fatte attendere le reazioni entusiastiche da parte dei produttori e di alcuni esponenti di spicco del territorio pugliese e dell'agroalimentare italiano. Il parlamentare pugliese Dario Stefàno, nella sua veste di capogruppo al Senato della Commissione Agricoltura e primo firmatario delle legge sull'enoturismo, ha dichiarato che questo traguardo rappresenta il premio per quanto si è fatto negli scorsi anni in Puglia, dopo la scelta di scommettere sul recupero e sulla valorizzazione dei vitigni tradizionali e sulla vinificazione di qualità.

 

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8 Aprile 2020

  • Scuola di Politica

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