Monte Sannace in mostra: il volto nuovo del museo!
Pochi sanno che il Museo Nazionale Archeologico di Gioia del Colle ha cambiato fisionomia. La novità consiste nel passaggio da una dimensione regionale, che pure prediligeva la Peucezia (l’antica Puglia centrale), ad una tipicamente locale, sempre più ancorata alle radici della nostra comunità. Protagonista delle nuove esposizioni è (e sempre più sarà, una volta riallestita […]
Pochi sanno che il Museo Nazionale Archeologico di Gioia del Colle ha cambiato fisionomia. La novità consiste nel passaggio da una dimensione regionale, che pure prediligeva la Peucezia (l’antica Puglia centrale), ad una tipicamente locale, sempre più ancorata alle radici della nostra comunità. Protagonista delle nuove esposizioni è (e sempre più sarà, una volta riallestita anche la II sala) la città peucezia di Monte Sannace, sita nell’agro gioiese all’incirca 5 km a N.E. dal centro urbano moderno. Questa distanza e la mancata sovrapposizione di strutture medievali consistenti l’hanno resa, appunto, una delle città antiche meglio indagate della Puglia, prima con ritrovamenti occasionali e scavi clandestini, poi con campagne di scavo ufficiali della Soprintendenza ai Beni Archeologici e nell’ultimo ventennio anche dell’Università degli Studi di Bari.
Inizialmente (IX-VIII sec. a.C.) erano piccoli nuclei sparsi di capanne con relative sepolture, nei pressi di un corso d’acqua percorribile lungo le sponde, che sfociava nell’Adriatico, vicino al sito di Egnazia, altro villaggio peucezio, ma al confine con la Messapia. Poi (VII-VI sec. a.C.) cominciò ad emergere il villaggio sulla sommità della collina, da cui si poteva controllare tutto il territorio circostante: luogo di raccolta in casi di emergenza (guerre, calamità naturali) o punto di riferimento per la presenza di un santuario? Certo è che quel villaggio sull’altura (382 m s.l.m.) si cinse presto di mura difensive, dotandosi di edifici pubblici polifunzionali in pietra e quindi di residenze di prestigio e tombe monumentali.
Progressivamente anche tra il popolo si diffuse la maniera di costruire case in muratura, con i muri di fondazione a secco in blocchi di pietra calcarea, abbondantemente presente nel territorio, l’elevato in mattoni crudi collocati entro un’intelaiatura di legno, il tetto di travi coperte di tegole. Uno, due, tre ambienti comunicanti a pianta rettangolare, uno dei quali scoperto (il cortile per le attività produttive o per gli animali domestici), costituivano le case del ceto medio-basso.
I più ricchi abitavano, invece, in edifici a più ambienti affacciantisi su un cortile, con la parte terminale del tetto decorata da elementi di terracotta policroma (dipinta in rosso e in nero) o a rilievo, come fregi e antefisse a palmetta o “a gorgonèion” (volto terrificante, con funzione apotropaica). Le case potevano essere dotate di pozzi e cisterne. A volte la soglia tra gli ambienti (o le colonne negli edifici di pregio) erano in tufo carparo, importato dalla cava di Santo Mola (circa 2 km a S.O. di Gioia, quindi 7 km ca. in linea d’aria da Monte Sannace), dov’era un altro villaggio peucezio, di dimensioni minori, i cui abitanti forse estraevano e lavoravano il materiale, anche se lettere incise su alcuni blocchi fanno pensare a maestranze greche. Tali erano, infatti, la tecnica edilizia e le piante più articolate delle case in muratura (a pastàs, a peristilio), nonché le mura di cinta del triplice circuito di cui si munì progressivamente la città tra IV e III sec. a.C.
Il processo di ellenizzazione è evidente già nel VI sec. a.C. nei ricchi corredi funerari esposti al pianterreno del castello, in particolare nella Sala del Forno, che ospita la nuova mostra archeologica dal titolo: “Scene del mito in Peucezia. Ceramica greca da Monte Sannace”. Qui sono il cratere corinzio del Pittore di Memnon e l’olla peucezia a decorazione geometrica bicroma, rinvenuti in frammenti dieci anni fa sull’acropoli di Monte Sannace, a mo’ di segnacolo su due tombe importanti, associati ad altre ceramiche di produzione greca, importate, e di produzione locale, ad armi ed utensili per il banchetto funebre e le libagioni. Da un vecchio scavo proviene, invece, il cratere attico frammentario a figure nere, su cui sono raffigurati la dea Atena ed Eracle in lotta con le Amazzoni; i nomi greci sono dipinti accanto ai relativi personaggi.
Vivaci pannelli a fondo rosso introducono nei contesti di rinvenimento, guidando agevolmente alla comprensione dei reperti e accompagnandoci nella scoperta della città. Era forse Thuriae, menzionata dallo storico Livio? Unica eccezione, l’oinochoe a figure nere con scena di partenza di guerrieri da Santo Mola.
Una gigantografia nell’androne secondario ci immette direttamente nella città bassa, dandoci l’illusione di percorrere la strada delle mura, il cui accesso era riservato ai militari per motivi di sicurezza. Nell’adiacente sala I del museo un’altra foto accattivante di grande formato ci offre l’ampio scorcio di un quartiere residenziale, sempre in pianura, con le mura di cinta sullo sfondo ed in primo piano un sarcofago in tufo.
Qui sono concentrati i corredi e i singoli reperti, perlopiù da Monte Sannace, che costituiscono l’ultima propaggine della mostra “Battiti d’ali. Storie di bambini nella Puglia antica”, fortemente voluta dalla direttrice, Angela Ciancio, per preservarne la memoria ed assicurare la fruizione seppure parziale del museo, in attesa che ne venga completato il riallestimento.
Accanto all’ingresso è ancora la vetrina con i vasetti, i biberon a vernice nera, il sonaglietto fittile ed il guscio d’uovo della bambina di otto anni, morta di meningite fulminante nella metà del IV sec. a.C., alla quale pare che augurassero di rinascere e di incontrare l’amore in un’altra vita, come la fanciulla colpita dalla freccia di Eros disegnata sul suo piccolo cratere a campana. Ora, però, le fa compagnia forse un’altra bambina vissuta nel V sec. a.C., con il suo corredo fatto di oinochoai (brocchette), cantari a vernice nera e sovraddipinti, anche in formato miniaturistico, e gli immancabili giocattoli di terracotta a forma di animali.
Una gradevole novità in una vetrinetta a parte è il crotalo in osso, con decorazione incisa, un piccolo strumento musicale trovato in una tomba del IV sec. a.C., presso una casa della città in pianura. Accanto è il maialino-tintinnabulum col bambino guerriero sul dorso, che prima era esposto nella II sala, nella vetrina dei giocattoli per neonati.
E che dire dello skyphos (bicchiere) in pasta grigia con occhi, naso, bocca e orecchie a rilevo, simile alle tazzine decorate dei nostri bambini? Era in un corredo del II-I sec. a.C., insieme ad altri oggetti tra cui un unguentario, appartenuti ad un maschietto di quattro anni, il cui gioco preferito, come si legge nella simpatica didascalia, erano gli astragali, anch’essi in bella mostra.
Non si finirebbe mai di ammirare l’allegra decorazione geometrica dei biberon nostrani, monocromi o bicromi nei colori rosso e bruno, con motivi a scacchiera, a meandro, a pettini e svastiche. Mentre dal villaggio di Santo Mola continuano ad attrarci i gioielli della quindicenne (i due fermatrecce a spirale sottile in argento, la collana di ambra, il bracciale e le spille di bronzo) ed il corredo completo del “principino” di soli sette anni, con le sue ceramiche geometriche bicrome, che sorprendono per la loro modernità, pur essendo del VI sec. a.C., le lucenti coppe ioniche, le spille in bronzo satinate, la collanina di pasta vitrea ed il braccialetto di pietre dure.
Dalla vetrina accanto, al posto del corredo della ragazza daunia di Ascoli Satriano, che ci incantava con i suoi cerchi d’oro per capelli e i vasi dai manici antropomorfi di V sec. a.C., ci osservano impassibili ma rassicuranti le statuette fittili della dea degli inferi, seduta in trono, e dell’adolescente defunta, in piedi, con la corona d’edera sulla fronte, i capelli raccolti, e gli accessori di metallo – un vassoietto ed un cilindretto – per il makeup, mentre fanno tenerezza gli anellini ed i pesetti da telaio della bambina di cinque anni, entrambe vissute a Monte Sannace nel IV sec. a.C.
Alcuni ospiti forestieri ci onorano ancora della loro presenza: da Canosa, la statuetta fittile di divinità che allatta un bimbo in fasce, una sorta di ex voto offerto da una mamma al santuario per implorare la protezione divina sul proprio figlioletto; da Gravina, il sarcofago ricavato nel blocco di calcare che raccoglie come in una culla di pietra lo scheletro calcificato di un bambino, deposto in posizione fetale con il suo corredo, e da Gravina e Conversano due pithoi (vasi domestici per la cottura o la conservazione dei cibi) con sepolture di neonati ad enchythrismòs, accanto ad altre analoghe di Monte Sannace.
Una visita al Museo Archeologico di Gioia del Colle, in realtà, ne vale almeno tre: per lo straordinario contenitore che lo ospita, per i gioielli che vi sono racchiusi e per la novità degli allestimenti, che con i testi e le immagini dei pannelli richiamano continuamente la città peucezia di Monte Sannace. L’esperienza, sempre gratificante, può essere vissuta infatti in molteplici modi: come momento a sé stante, di svago o di arricchimento personale, ma anche per preparare o per completare e perfezionare o, in un certo senso, per sostituire, ad esempio in periodi di freddo intenso, la visita del parco archeologico, che è comunque aperto tutto l’anno.
Appuntamento, dunque, per tutti in Piazza dei Martiri, n° 1, in un qualunque giorno, anche festivo, e in un orario di vostra libera scelta, tra le 8.30 e le 19.15, per varcare la soglia del castello e lasciarsi incantare dai suoi tesori!
12 Dicembre 2012