La famiglia Palmieri

  Il cognome Palmieri deriva dal termine medioevale palmerius, attribuito a quanti avevano effettuato il pellegrinaggio in Terra Santa e ritornavano portando con sè un ramoscello di palma. Da ricordare il marchese Giuseppe Palmieri di Martignano (LE) famoso economista del 1700. I marchesi Palmieri di Monferrato appartengono ad una  famiglia di origine francese che aveva un feudo […]

Print Friendly, PDF & Email

 

Il palazzo Palmieri nel Largo Cisterna

Il cognome Palmieri deriva dal termine medioevale palmerius, attribuito a quanti avevano effettuato il pellegrinaggio in Terra Santa e ritornavano portando con sè un ramoscello di palma. Da ricordare il marchese Giuseppe Palmieri di Martignano (LE) famoso economista del 1700.

I marchesi Palmieri di Monferrato appartengono ad una  famiglia di origine francese che aveva un feudo in provincia di Bari e stabilitasi per qualche tempo a Gioia.

Nonostante  le abitazioni signorili scarseggiassero alla fine del  Settecento, a pochi passi dalla Chiesa Matrice faceva bella mostra di sé il palazzo cinquecentesco del marchese Bernardo  Palmieri. Bernardo Palmieri partecipò al banchetto tenutosi il 26 maggio 1793 nella casa di donna Innocenza Sala-Buttiglione, durante il quale Emanuele De Deo, dopo aver parlato del sistema politico-sociale attuato in Francia a seguito della Rivoluzione francese, affermò il diritto dei popoli a detronizzare e condannare i sovrani quando questi da garanti di libertà  e giustizia, da promotori di benessere e di cultura diventavano despoti ed oppressori dei loro sudditi e che la sorte del re Ferdinando IV e di sua moglie Maria Carolina era segnata.  Si dice che De Deo, preso dalla eccitazione del discorso, dopo aver brandito un coltello da tavola, si sia avventato contro il ritratto del Re, in atto di volerlo trafiggere. Il  Palmieri fu  interrogato dall’Uditore Massimi, in qualità di testimone oculare di quell’avvenimento.

Alla famiglia Palmieri era stato intitolato un Arco, presente nel largo ove avevano la loro abitazione, spiazzo che collegava l’attuale Largo Cisterna con via Mastandrea, e quindi il palazzo Palmieri posto nell’omonimo Arco,  con la strada denominata del Campanile.

Oggi di quell’Arco non resta più alcuna memoria.

A Gioia si incomincia a parlare di illuminazione pubblica il 6 aprile 1826, allorquando il Signor Intendente della Provincia, durante la riunione del Decurionato da lui stessa indetta, afferma: Essendo Gioia un Paese rispettabile per la sua situazione, e pel numero degli abitanti, non conduce che le strade siano all’oscuro nella notte, tanto più, ch’essendovi la Strada Consolare, molti sono i passeggieri; è d’uopo quindi che le strade abbiano de’ riverberi.

Il suggerimento dell’Intendente non trova seguito perché i Decurioni nella seduta del 6 agosto seguente  riconoscono lo stato deplorevole del Comune a causa dell’inclemenza delle stagioni e richiede alle Autorità Superiori la sospensione delle pubbliche imposte.

L’illuminazione serale e notturna di una città oltre a permettere di svolgere regolarmente e con discreta sicurezza alcune attività era dettata anche da motivi di ordine pubblico; infatti una ordinanza del Ministero di Polizia del 1829 imponeva, per coloro che circolavano in paese durante le ore notturne specialmente nella stagione invernale, l’obbligo di portare con sé delle lanterne per evitare furti o altri inconvenienti che sogliono verificarsi nelle tenebre.

 

Il palazzo Palmieri alla fine degli anni ’90

Probabilmente a seguito di tale disposizione nel nostro Comune si torna a parlare di illuminazione nel 1830, anno in cui vengono installati i primi 16 fanali per illuminare le zone centrali del paese. Si trattava di fanali a riverbero ad olio, simili a lanterne (forniti del disco concavo atto a riverberare la luce), posti in cima ad alcune colonne metalliche o sorretti da braccioli in ferro spesso poggiati agli spigoli delle abitazioni, che venivano accesi al calare de sole da un fanalista, operaio addetto a tale operazione, e dallo stesso erano spenti alle prime luci del giorno.

Il fanalista  utilizzava  una  scala di legno o  un attrezzo simile ad una canna, che fungeva da lucignolo e da spegnitoio.

A Gioia il Largo Palmieri, la piazzetta che, attraverso l’arco, comunicava con la strada per la Chiesa Madre, fu il luogo di più intenso traffico serale in cui  anche le vedove maritate, immerse in laidissime oscenità, erano giunte alla sfacciata impudenza di svelare nelle pubbliche strade le loro vergogne di pieno giorno per invitarli a giacersi con esse.

Accanto a questa pratica di prostituzione è da ricordare che le ragazze che andavano a servizio in casa o a lavorare nella campagna di qualche benestante dovevano spesso soggiacere alle sue voglie. Spesso rimanevano incinte e quindi erano licenziate, magari con qualche regalino.
Le famiglie, per il disonore, non le riaccoglievano e quindi la prostituzione era necessaria per il mantenimento di madre e figli.

Altri luoghi di prostituzione erano le strade strette del Centro storico.

Nonostante l’installazione dei primi fanali di illuminazione, nel 1831  i cittadini presentano reclamo al sindaco perché  sotto l’Arco erano ammucchiate le immondizie nocive alla salute, si commettevano atti turpi ed indecenti, cosicché era disagevole, per gli abitanti del luogo,  attraversarlo di notte.

I Decurioni  il 31-7-1831, avendo trovato tutto vero e senza esagerazione alcuna, poiché i cittadini in precedenza avevano provveduto a proprie spese a sistemare e risarcire largo Palmieri e strada della Palude, per facilitare il declivio delle acque piovane, con l’intento di evitarne il ristagno e tenerle lustre a dovere e le acque  da via Palude defluivano agevolmente lungo quest’ultima strada, anziché  per quella del Campanile, come in passato, deliberò di far serrare con fabbriche l’Arco dello scandalo, a spese dei tre proprietari delle cantine sottostanti: uno di questi era proprio il sindaco Favale.

Per evitare gli sconci segnalati nel 1830, però, bisognerà attendere il 1833, quando per le rinnovate rimostranze dei cittadini, il sindaco dott. Pietro Nicola Favale, decise la chiusura dell’Arco Palmieri.A sx. casa e stemma di Bernardo Palmieri in Largo Cisterna.

Oggi, quindi,  in Largo Cisterna l’Arco  (noto col nome Palmieri) che lo collegava a Via Mastandrea è scomparso, inghiottito da altre murature.

I Borghi di Gioia. In alto il Borgo Palmieri

Rimane, però,  bene in vista in quello che oggi è il Largo Cisterna, uno spiazzo chiuso,  la facciata del palazzo seicentesco edificato dai marchesi Palmieri.

Un ramo di questa famiglia si era in seguito trasferito a Monopoli.

Un componente della famiglia Palmieri, Giambattista, è stato sindaco di Gioia dal 1794 al 1795.

Una strada che dalla via di Noci si collegava con la via consolare Bari Taranto era denominata Strada Palmieri, probabilmente perché in quella zona vi erano possedimenti di detta famiglia.

Poiché il paese di Gioia  era in aumento, per una visione più ordinata della popolazione nel 1836 fu fatta la numerazione delle case ed una statistica delle stesse.
Nei registri del catasto, infatti, le strade  non erano indicate con denominazione e numero civico, ma facendo riferimento al nome dei proprietari di riguardo della zona.

Un quartiere cittadino, sito a nord di Gioia, prendeva nome di Borgo Palmieri.

© E’ consentito l’utilizzo del contenuto del presente articolo, per soli fini non commerciali, citando la fonte ed il nome dell’autore.

Print Friendly, PDF & Email

10 Aprile 2020

  • Scuola di Politica

Inserisci qui il tuo Commento

Fai conoscere alla comunità la tua opinione per il post appena letto...

Per inserire un nuovo commento devi effettuare il Connettiti

- Attenzione : Per inserire commenti devi necessariamente essere registrato, se non lo sei la procedura di LOGIN ti consente di poter effettuare la registrazione istantanea.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.