Il Canto V dell’Inferno di Dante

Il 28 maggio 2022 presso il Liceo Scientifico R. Canudo di Gioia del Colle si è tenuto un incontro con gli studenti  del detto Istituto, sul tema “Il V Canto dell’Inferno di Dante”, incontro che, sia pure in ritardo, potremmo inserire nella celebrazione del 7° anniversario della morte del sommo poeta. L’incontro ha avuto un […]

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Paolo e Francesca, William Dyce, 1845 National-Gallery of Scotland, dettaglio

Il 28 maggio 2022 presso il Liceo Scientifico R. Canudo di Gioia del Colle si è tenuto un incontro con gli studenti  del detto Istituto, sul tema “Il V Canto dell’Inferno di Dante”, incontro che, sia pure in ritardo, potremmo inserire nella celebrazione del 7° anniversario della morte del sommo poeta.

L’incontro ha avuto un andamento vario ed articolato, vista la partecipazione di diversi “attori”: il sig. Filippo Masi, che lo ha organizzato, ha introdotto  il tema, sintetizzando la Divina Commedia e al termine della manifestazione ha letto il V Canto, il duo musicale Pasquale Petrera alla chitarra e Marco Capodiferro al cajon, che si sono esibiti in alcuni brani musicali in sintonia con l’argomento trattato, alcuni dei quali hanno fatto da colonna musicale per due ballerini di una scuola locale di danza, Maria Franca Zibillo e Vito Antonio Vinci, che si sono esibiti in  balli di tango argentino, ed infine il sottoscritto che ha illustrato i quattro sensi di lettura dell’opera dantesca e ha offerto alcuni spunti di riflessione che affiorano da un’analisi del V Canto dell’Inferno.Riporto di seguito il mio intervento.

Tanti studiosi, molto più accreditati di me, hanno versato fiumi d’inchiostro per approfondire la conoscenza di Dante, della sua personalità e del suo pensiero, attraverso l’analisi dei numerosi scritti che lui ci ha lasciato in eredità e tra questi anche la triste vicenda di Paolo e Francesca.

È noto che Dante nel Convivio parla di 4 sensi o livelli di un testo letterario. Esaminiamoli nella Commedia. Il 1° è quello letterale, come Dante precisa: riguarda il significato principale e immediatamente percepibile, quello che non si estende più oltre che la lettura delle parole fittizie, sì come sono le favole dei poeti. L’opera narra il viaggio immaginario di Dante nei tre regni dell’oltretomba, il viaggio di un uomo che ha smarrito la retta via, perché la società in cui vive è un’epoca caratterizzata da egoismi, da lotte, da annientamento dei veri valori della vita. È un viaggio che costituisce un momento per ripensare alla propria vita, oltre che a quella dell’umanità smarrita. La Commedia è il campionario di un’umanità, nella quale sono presenti tanti personaggi appartenenti alle diverse civiltà che si sono succedute nei secoli, con esiti positivi e negativi, e che hanno lasciato un segno, anzi un insegnamento all’umanità, quella del suo tempo, quella presente e quelle future.

Il 2° senso o livello è quello allegorico, quello che Dante afferma si nasconde sotto il manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna. Significa la conversione di Dante dal suo traviamento (lo smarrimento nella selva oscura) con l’aiuto della ragione umana (Virgilio) che lo induce a pensare alla gravità del peccato attraverso l’Inferno e il Purgatorio, mentre poi Beatrice, simbolo della verità rivelata, lo conduce alla visione di Dio.

Il 3° senso o livello, come Dante afferma, è quello che i lettori deono intentamente andare appostando (a cercare, a dare la caccia) per le scritture, ad utilitade di loro e di loro discenti, sì come appostare si può nello Evangelio quando Cristo salìo lo monte per trasfigurarsi, che de li 12 apostoli menò seco li 3; in che moralmente si può intendere che le secretissime cose devono avere poca compagnia. In sintesi è un ammonimento ai cristiani perché considerino quanto sia facile cadere in peccato e difficile liberarsene, se non si meditano le pene riservate nell’eternità ai peccatori e il premio concesso ai giusti.

Il 4° senso o livello è quello anagogico, come Dante afferma, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale ancora sia vera … significa che le superne cose dell’etternal gloria, sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che nell’uscita del popolo d’Israel d’Egitto, Giudea è fatta santa e libera. Ché avvegna esser vero secondo la lettera sia manifesto, non meno è vero quello che spiritualmente si intende, cioè che nell’uscita de l’anima dal peccato essa sia fatta santa e libera in sua potestate. Anagogico, dal greco anagoghicòs, che guida verso l’alto, cioè risolve tutti i problemi nella luce della verità divina. Dimostra come tutta l’umanità dallo stato di infelicità e disordine, seguendo la guida dell’Impero (Virgilio) nelle cose temporali e della Chiesa (Beatrice) nelle cose spirituali, possa pervenire alla felicità.

Ed ora veniamo ad alcune riflessioni sul V Canto dell’Inferno.

Il Canto V dell’Inferno è quello dei lussuriosi o dei peccator carnali, quelli che si danno al vizio di lussuria, coloro che, come in vita furono travolti dalla passione, per la legge del contrappasso, in morte sono trascinati e travolti da una incessante bufera.

È più noto come il Canto di Paolo (della famiglia Malatesta) e di Francesca (della famiglia da Polenta di Ravenna).

La lussuria ai tempi di Dante era un peccato abbastanza in voga tanto che nel 1° Canto dell’Inferno il viaggio del poeta è ostacolato da tre fiere: la lonza, il leone e la lupa. Diverse sono le interpretazioni delle tre fiere, pur essendo concordi gli studiosi sul fatto che esse sono la raffigurazione dei vizi degli uomini del tempo di Dante: alcuni commentatori del ‘300 hanno visto nelle tre fiere i vizi di Dante o di Firenze. In particolare alcuni di loro vedono nella lonza proprio la rappresentazione della lussuria o dell’incontinenza oppure dell’invidia.

Gli uomini del tempo di Dante consideravano la lussuria uno dei peccati più gravi e anche Dante la ritiene tale, al punto che tali peccatori vengono puniti più severamente degli altri e sono i primi che Dante condanna, mettendoli nel 2° Cerchio dell’Inferno, che è angusto e racchiude i maggiori dolori. Per Paolo e Francesca, più che peccatori di lussuria sarebbe più giusto parlare di adulterio, essendo Paolo sposato con Orabile Beatrice e padre di due figli e Francesca già sposata con Giovanni Malatesta da Rimini, fratello maggiore di Paolo.      Dicevo che volevo offrire alcuni spunti di riflessione.

Dante effettua il suo pellegrinaggio, un viaggio che ogni uomo dovrebbe compiere nel mezzo del cammino di sua vita, per trarne un bilancio, dopo aver attraversato momenti lieti alternati a momenti bui, di sconforto, di disorientamento, alla ricerca o riscoperta del senso della vita.

E Dante, sommo poeta, questo sua viaggio immagina di compierlo mettendo in pratica il messaggio del sommo Maestro, Gesù, il quale era accusato di frequentare i peccatori, le prostitute, e seguendo le orme del Maestro, anticipando quello che sei, sette secoli dopo faranno gli ultimi papi, a cominciare da  S. Giovanni XXIII, a S. Paolo VI, a S. Giovanni Paolo II, per finire a papa Francesco, che hanno visitato i carcerati, i peccatori, perché a loro che si sono perduti, va portata la buona novella e  la riconciliazione, il ravvedimento e l’uscita dalla selva oscura.

Da sottolineare che Dante incontra le anime peccatrici lussuriose il Venerdì Santo, giorno in cui per i cristiani Gesù muore e così facendo porta con sé sulla Croce i peccati degli uomini e ci perdona con il Padre, riporta nel mondo l’amore e ridona all’umanità una vita nuova, la Resurrezione dalla morte del peccato.

Attraverso l’incontro con le diverse categorie di peccatori Dante prende coscienza e riflette sui propri peccati e, attraverso il pianto, la pietà e la condivisione delle sofferenze dei peccatori in lui si genera una sorta di catarsi, di purificazione.

Dante nel momento in cui osserva le anime peccatrici osserva anche se stesso, medita sulle sue colpe, ma senza giudicare i peccatori, senza condannare, altrimenti avrebbe condannato se stesso; è preso invece da pietà per le debolezze umane.

L’amore che Dante ci descrive tra Paolo e Francesca non è un amore platonico, ma non è neppure un amore forzatamente voluttuoso e carnale; infatti è descritto con verecondia, con un pudore tale che di fronte agli uomini, e a lui per primo, suscita pietà ed in quel modo i due amanti sembra ottengano il perdono sia dal poeta che dagli uomini, anche se non dalla giustizia divina, che perché tale, assegna loro la punizione riservata ai peccatori. Dante, collocando i due amanti nell’Inferno, resta fedele a quella legge umana e cristiana. Infatti giunti davanti a Minosse i peccatori si confessano e subito dopo vengono puniti per le loro colpe. Sembra che anche Dante durante il suo viaggio nell’oltretomba, in presenza dei peccatori e delle loro pene, si confessi, come dimostra in particolare il suo prendere parte al loro dolore e alle sofferenze dei lussuriosi. Sembrerebbe che Dante, a differenza delle anime perdute, le sue pene voglia scontarle in vita, o meglio nel cammino che effettua nell’oltretomba e che compie da vivo, attraverso l’immedesimazione nelle sofferenze delle anime condannate nell’Inferno. Si attua dunque in lui la catarsi, la purificazione, il ravvedimento, attraverso il pianto, la pietà, come avveniva per i greci attraverso la visione delle tragedie: Ecco perché è in grado, una volta purificato dalle sue colpe, di salire in Paradiso e di godere la beatitudine eterna, l’Amore che move il sole e le altre stelle.

Un momento dell’incontro

Il canto V è anche quello del matrimonio infranto. Il matrimonio secondo la tradizione cristiana dura tutta la vita è indissolubile (Genesi 2, 24 L’uomo non separi ciò che Dio ha unito). Con la morte ha termine questa unione, intesa come possesso, anzi comunione tra i due coniugi, (Matteo, 19,6 Poi nella Resurrezione dei morti non vi sarà chi sposa né chi si marita, ma saranno come gli Angeli nei cieli). Dante, però, a differenza della Sacra Scrittura, dopo la morte dei due amanti tiene ancora uniti Paolo e Francesca, come due Angeli, perché il loro è un amore sublimato, sono due amanti sì, ma, due persone che si amano di un amore profondo al punto da accettare la morte, che li fa passare da amanti peccatori ad accusatori. Dante nel Canto appare come un accusatore, fa confessare a Francesca il suo peccato, ma anche un giustiziere; però la sua giustizia non è quella umana, eccessivamente severa, perché è mitigata alla luce dell’amore che è disposto a perdonare; infatti invece di tener separati i due amanti, consente loro di rimanere uniti anche in morte, assegnando al loro amore la forza di un legame indissolubile e quasi derubricando il loro peccato, non solo per la sua compartecipazione a questa vicenda, (anche Dante peccatore, per aver amato Beatrice e quindi passibile di  punizione), ma perché vede nella vicenda amorosa di Paolo e Francesca una forma di riscatto dal peccato e il trionfo del vero amore, quello che muove il sole e l’altre stelle.

Nella Genesi è una donna, Eva, che viene  indicata come prima peccatrice e che confessa la sua colpa, seppur scaricandola sul serpente, Nel Canto V è ancora una volta la donna la protagonista della vicenda amorosa, è Francesca che si confessa e parla con Dante, cercando di discolparsi anch’ella e scaricando la colpa del loro operato sul libro in cui si parla dell’amore di Lancillotto e di Ginevra, cercando di far capire che il loro amore, condannato dagli uomini, è un amore puro, sincero, vero, profondo, anche tra le pene dell’Inferno; è un amore sublimato che assume una funzione di donazione reciproca, un amore che supera i confini della vita terrena a tal punto che continua a tenerli uniti per l’eternità. Parla Francesca, ma attraverso le sue parole parla anche Paolo, come ci fa capire il verbo utilizzato nella forma plurale, Queste parole da lor ci fuor porte, segno di un rapporto che nell’Inferno, anche a dispetto delle leggi civili e religiose, i due amanti sono uniti per l’eternità. Quella che Dante, secondo la legge umana, assegna ai due amanti, è una punizione amara, ma è meno pesante perché è condivisa tra di loro, essi restano uniti anche in morte ed è la forza dell’amore che mitiga la loro sofferenza, in aderenza al motto: Aver compagno al duol scema la pena.

Quando Francesca dice: Mi prese del costui piacer sì forte, sta ad indicare che fu presa dal piacere di Paolo, cioè dall’aspetto fisico, ma soprattutto morale della bellezza, cioè dalla bellezza stessa in quanto armonia dell’insieme, dell’umanità e dell’universo.

Anche Dante, sposato, ha amato Beatrice, rientrando idealmente nella schiera dei peccatori lussuriosi, anche se in definitiva la donna, e Beatrice nel suo caso, è la donna angelo, quella che dopo che lui ha superato la selva oscura con l’aiuto della ragione (Virgilio) lo conduce alla vera gioia, al vero amore, a Dio, depurandolo dalle scorie del peccato e rendendolo degno della visione beatifica del sommo Amore, di Dio.

Oltre ad essere il canto dei lussuriosi, di Francesca, del matrimonio infranto, della donna, il Canto V è anche l’inno  all’amore e alla pietà.  Ombre mostrommi ch’amor di nostra vita dipartille… L’altra è colei che s’ancise amorosa… Prega quelle anime per quell’amor che ei mena ed ei verranno… Amor che al cor gentile ratto s’apprende… Amor che a nullo amato amar perdonaAmor condusse noi ad una morte… Di conoscer la radice del nostro amore tu ha cotanto affetto… Leggevamo di Lanciallotto come amor lo strinse,… Esser baciato da cotanto amore… E che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi desiri?

Il Canto oltre all’amore è improntato alla pietà. Dopo aver sentito da Virgilio i nomi dei personaggi puniti nel 2° girone dell’Inferno: Semiramide, Didone, Elena, Paride, Tristano e altre donne antiche e cavalieri Dante dice: Pietà mi giunse e fui quasi smarrito.

Dopo aver ascoltato la narrazione di Francesca Dante china il capo e lo tenne tanto basso (come colui che vuol riflettere e meditare) finché Virgilio gli chiede: Che pense ?  Pensa anche lui alle sue colpe, alla sua punizione, se non si ravvederà, e prova pietà per sé stesso?

Dante ha pietà per le anime infernali, ma è una pietà anche verso se stesso, per i suoi peccati. Francesca dice a Dante: Noi pregheremmo Lui de la tua pace (Dante stesso è travolto dalla passione che non gli dà pace), poiché hai pietà del nostro mal perverso.

Dante, rivolto a Francesca, dice: I tuoi martiri a lagrimar mi fanno triste e pio, come a farci capire anche i suoi martiri e le sue colpe.

Mentre Francesca parla Paolo piange, sicché Dante dice di pietade venni meno così come morissi e caddi come corpo morto cade. Dante si riconosce peccatore, caduto nel peccato, come se morisse, perché il peccato porta alla morte spirituale; lui, pentito e purificato, poi si risolleva e  per questo può proseguire il suo cammino attraverso l’oltretomba per giungere al Paradiso.

Forse Dante avrebbe dovuto condannare Francesca come adultera, ma la inserisce nel girone dei lussuriosi, per sottolineare la forte passione d’amore che era in lei. I lussuriosi, infatti, sono peccatori, sono colpevoli di amare, Amor condusse noi ad una morte, ma l’amore li trasforma da colpevoli ad accusatori, non vendicativi nei confronti di coloro che li hanno uccisi, Caina attende chi a vita ci spense’, perché è la stessa legge che lo richiede come è successo per loro. E l’amore, la dolcezza che questo amore sprigiona, che è un eccesso di amore, porta con sé il riconoscimento di questo eccesso (il mal perverso), e ad esercitare la funzione catartica e rigeneratrice che deve ispirare il comportamento di un vero cristiano, che non è di odio verso chi ci fa del male, ma di pietà.

Il Canto V è un dipinto realistico, in cui sono chiaramente raffigurati i vari personaggi, che sono offerti al nostro sguardo, e perché ne avessimo un quadro preciso come i personaggi di una pellicola cinematografica che scorre davanti ai nostri occhi, Dante fa ricorso a bellissimi paragoni o similitudini e confronti con la realtà quotidiana terrena. Ne cito alcune Io venni in loco d’ogni luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta… E come  li stornei ne portan l’ali… così quel fiato … li spiriti mali di qua, di là, di giù, di su li mena, E come i gru van cantando lor lai… così vid’io venir.. ombre portate da la detta briga… Quali colombe da disio chiamate… cotali uscir dalla schiera… Dirò come colui che piange e dice.

Dante soffermandosi a parlare con Paolo e Francesca e presentandoci la vicenda dei due personaggi non solo si immedesima nei loro sentimenti e si ravvede, ma consegna all’umanità e quindi anche a noi una storia ricca di amore, di pathos, che invita alla riflessione, al ravvedimento, a cambiare atteggiamento quando siamo ancora in tempo, cioè in vita. Ci invita ad esercitare il perdono, la pietà (di cui lui non ha potuto godere in vita, essendo stato un pellegrin fuggiasco, lontano dalla sua amata Firenze), sentimenti che non sono sintomo di debolezza, ma atteggiamento coraggioso di individui coscienti dei propri errori, desiderosi di ravvedersi e di interpretare il proprio ruolo di uomini che sanno vivere in armonia con gli altri esseri umani e con il creato tutto.

Mai come oggi, in questo mondo caratterizzato da tristi eventi  causati dall’uomo, questo messaggio è attuale e andrebbe indirizzato ai cosiddetti “grandi”, a coloro che reggono le sorti dell’umanità.

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20 Giugno 2022

  • Scuola di Politica

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