I “Monacacìidde”

I “Monecacìidde”, che dal dialetto gioiese possiamo tradurre nella forma italiana Fraticelli, nella tradizione popolare sono i folletti che, di notte, entravano nelle stalle e facevano trecce alle criniere o alla coda dei cavalli. Nel folklore meridionale, non soltanto pugliese, ma anche quello lucano, calabrese, napoletano e siciliano, è presente questo folletto, che è rappresentato […]

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Il Monachicchio, immagine tratta da ‘Il Monacello  NoiXConTesTo ‘

I “Monecacìidde”, che dal dialetto gioiese possiamo tradurre nella forma italiana Fraticelli, nella tradizione popolare sono i folletti che, di notte, entravano nelle stalle e facevano trecce alle criniere o alla coda dei cavalli.

Nel folklore meridionale, non soltanto pugliese, ma anche quello lucano, calabrese, napoletano e siciliano, è presente questo folletto, che è rappresentato con caratteristiche demoniache e si raccontava che alcuni questi demoni erano custodi di tesori e di beni terreni.

Questo folletto, dell’altezza di circa mezzo metro, vestito con pantaloni lunghi fino alla caviglia, piedi simili a quelli del diavolo unghiuto, con un cappuccio rosso sul capo, penetrava nelle stalle attraverso il buco della serratura  o di un piccolo pertugio e si divertiva ad annodare in trecce le criniere e le code dei cavalli. Era in grado di provocare il mal di pancia alle bestie domestiche e realizzava trecce anche  alle donne dai capelli lunghi. Spesso saltava sulla pancia delle persone che dormivano e si divertiva a pressarla costringendo i malcapitati a svegliarsi col fiatone e a causa dei battiti accelerati del cuore. A volte i dispetti del folletto arrivavano al punto da  legare mani e braccia del malcapitato, fino a paralizzarlo; altre volte rompeva piatti e soprammobili, soffiava nelle orecchie dei dormienti, oppure palpeggiava le donne. Si adirava se qualcuno riusciva a togliergli il cappello, ma era in grado di consigliare di giocare dei numeri al lotto per realizzare una cospicua vincita.Riguardo al nome monacello o monachicchio, secondo una antica tradizione napoletana l’origine risale al 1445, a seguito di un amore contrastato, sorto a Napoli tra Caterinella Frezza figlia di un ricco mercante e Stefano Mariconda, un semplice garzone. Poiché il giovane Stefano durante i clandestini e notturni incontri utilizzava un percorso pericoloso camminando sui tetti della città, una notte al giovane fu teso un agguato e venne assalito e ucciso. Caterinella, che nel frattempo era rimasta incinta, diede alla luce un bambino deforme e dall’aspetto simile a quello di un nano. La madre, sperando di ottenere la grazia della guarigione, lo vestì da monacello. Il nano monaco sparì e quando successivamente in una cavità furono trovate delle ossa, queste furono attribuite al piccolo Frezza. Circolò la voce che forse erano stati i familiari del monacello ad ucciderlo, per liberarsi di quel mostriciattolo. Dopo la sua morte questo spiritello entrò nella leggenda popolare, con le sue comparse notturne, per vendicarsi della triste uccisione subita.

Secondo un’altra tradizione napoletana, questo nome risalirebbe al 1629, anno in cui un ricco signore napoletano decise di far costruire a Napoli un acquedotto sotterraneo, utilizzando i canali di tufo realizzati nel IV secolo a.C. I costruttori di questa opera, detti pozzari, quando di sera uscivano in superficie attraverso alcuni tombini spesso si introducevano in alcune case incustodite e facevano sparire alcuni oggetti, azione che, i superstiziosi del tempo attribuivano a qualche folletto.

Alcuni studiosi ritengono che questo spiritello avesse a che fare con la sessualità maschile e che il cappuccio rosso rimandava al prepuzio e alla circoncisione prevista della religiosità ebraica come segno di alleanza con la divinità e di liberazione per i neonati.

Secondo altri studiosi questi spiritelli o folletti non sarebbero altro che bambini morti senza aver ricevuto il battesimo e che vagavano per le case e per le stalle per molestare i relativi occupanti con diverse monellerie. Per questo motivo in passato, a causa dell’alta mortalità infantile, si era soliti battezzare il neonato entro le ventiquattro ore dalla nascita  e per  liberare un’anima dal Purgatorio.

Il Monacello, immagine tratta da ‘Il Monachello: uno spiritello burlone in Puglia-Pugliabnb’

In alcuni paesi pugliesi la nascita di questa parola sembra fosse legata ad una storia di infedeltà coniugale e alla spiegazione che la donna era costretta a dare al proprio marito per giustificare la presenza di piccoli regali o di un gruzzolo di monete che erano state lasciate sul comodino al suo amante dopo aver trascorso con lui una notte d’amore: il frutto del dono di un folletto notturno.

In alcune zone della Puglia il folletto è noto come Scazzamurrieddru e Scarcagnulu; quest’ultimo appellativo è il titolo di una canzone di Domenico Modugno, scritta nel 1972.

Anche secondo la tradizione lucana, il munacidd è la reincarnazione di un bambino morto senza battesimo o di un bambino nato morto in seguito ad una relazione amorosa extraconiugale o addirittura incestuosa.

Se casualmente si rompevano delle bottiglie, bicchieri e vetri, se spariva qualche oggetto, se si versava del vino … la colpa veniva attribuita a questi folletti.

Le donne cercavano di contrastare queste monellerie mettendo in atto alcuni stratagemmi; ad esempio preparavano per loro dei passatempi matematici, come quello di posizionare accanto alla porta d’ingresso una scopa di saggina in posizione capovolta, perché si pensava che i monacacììdde fossero attratti dal desiderio di contare i fili della saggina. Se questo stratagemma non funzionava, secondo le aspettative, si ricorreva ad utilizzare una reticella intessuta a mano, nascosta tra la coperta imbottita, perché alcuni sostenevano che i folletti erano desiderosi di conoscere il numero dei nodi della reticella. Utilizzando questi stratagemmi si pensava che i folletti si distogliessero dal proposito di compiere monellerie e scherzi.

Alcuni, però, ritenevano che questi folletti non provocassero solo scompiglio, ma portassero fortuna e che rivelassero il nascondiglio di un tesoro, a condizione che si riuscisse a strappare loro il cappuccio rosso che indossavano.

Si riteneva che questi folletti vivessero nei boschi o fossero assidui frequentatori di quei luoghi e che nascondessero i loro tesori nelle cavità dei tronchi degli alberi.

Dalla viva voce di mio nonno materno ho sentito spesso raccontare degli scherzi o dispetti che questi folletti perpretavano nei confronti dei cavalli o di persone durante il sonno notturno, giustificandoli con queste parole: Stanòtte è passate u mononecacìidde. Personalmente sono stato testimone dell’inspiegabile intreccio delle criniere dei cavalli che erano all’interno della masseria di mio nonno materno.

Per questo motivo, cioè allontanare questi fastidiosi monacelli e anche per assicurare sicurezza e tranquillità agli animali, nelle stalle era presente un’immagine di San Vito, protettore del bestiame.

Il romanzo ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ di Carlo Levi

Molti scrittori hanno parlato dei monacelli, a partire da Giambattista Basile nel Cinquecento.

La scrittrice Matilde Serao, nel volume Leggende napoletane, afferma: Chiedete ad un vecchio, ad una fanciulla, ad una madre, ad un uomo, ad un bambino se veramente questo munaciello esiste e scorazza per le case, e vi faranno un brutto volto, come lo farebbero a chi offende la fede. Se volete sentirne delle storie, ne sentirete; se volete averne dei documenti autentici, ne avrete. Di tutto è capace il munaciello.

Lo scrittore Carlo Levi nel suo libro Cristo si è fermato ad Eboli ci ha lasciato una dettagliata descrizione della figura e delle azioni del monachicchio, della cui figura è venuto a conoscenza dalla popolazione lucana durante il suo forzato esilio in Basilicata.

I tesori non compaiono che a colui che deve trovarli. E per sapere dove sono, non ci sono che le ispirazioni dei sogni, se non si ha avuto la fortuna di essere guidati da uno degli spiriti della terra che li custodiscono, da un monachicchio.  Il tesoro appare in sogno al contadino addormentato….

I monachicchi sono gli spiriti dei bambini morti senza battesimo… I monachicchi sono esseri piccolissimi, allegri, aerei; corrono veloci  qua e là, e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti: fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola di letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d’aria e fanno volare le carte, e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono la sedia di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei posti più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano capelli, pungono e fischiano come zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave. Il loro carattere è una saltellante e giocosa bizzarria, e sono quasi inafferrabili.

Portano in capo un cappuccio rosso, più grande di loro: e guai se lo perdono; tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e di desolarsi finché non l’abbiano ritrovato.
Il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto di cercare di afferrarli per il cappuccio: se tu riesci a prenderglielo, il povero monachicchio scappucciato ti si butterà ai piedi, in lagrime, scongiurandoti di restituirglielo.

Ora, i monachicchi, sotto i loro estri e la loro giocondità infantile, nascondono una grande sapienza: essi conoscono tutto quello che c’è sotterra, sanno il luogo nascosto dei tesori. Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accompagnato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà, ma appena riavrà il prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e folli salti di gioia, e non manterrà la sua promessa.

Questa specie di gnomi o di folletti si vedono frequentemente, ma acchiapparli è difficilissimo….

Nella grotta c’era un monachicchio … appena si erano appisolati, mezzi morti di fatica e di caldo, li tirava pel naso, li solleticava con delle pagliuzze, buttava dei sassi, li spuzzava con dell’acqua fredda, nascondeva le loro giacche o le loro scarpe, non li lasciava dormire, fischiava, saltellava dappertutto: era un tormento. Gli operai lo vedevano comparire fulmineo qu e là per la grotta, col suo grande cappuccio rosso, e cercavano in tutti i modi di prenderlo: ma quello era più svelto di un gatto e più furbo di una volpe: si persuasero presto che rubargli il cappello era cosa impossibile….

L’aria, in queste terre deserte, e fra queste capanne, è tutta piena di spiriti. Ma non sono tutti maligni e bizzarri come i monachini, né malvagi come i demoni. Ci sono anche degli spiriti buoni e protettori, degli angeli.

Di seguito riporto una testimonianza del nostro concittadino, l’insegnante Giuseppe Montanarelli.

 “I Moncacid”, i Monacelli o Monacacelli nella tradizione gioiese.

Secondo la tradizione contadina, religiosa e popolare di Gioia del Colle, “i Moncacid”, Monacelli o i Monacacelli sarebbero le anime dei bambini Gioiesi morti non battezzati e quindi non redenti perché non divenuti Cristiani, destinati a vivere nel Limbo, avendo la possibilità di venire sulla Terra per aiutare i bambini in difficoltà.

I Monacelli sono risentiti nei confronti degli adulti che non li hanno subito battezzati e sono responsabili di burle, scherzi, incidenti, imprevisti, malesseri, fortune insperate, sparizioni di oggetti, rumori dei mobili in legno e delle curiose treccine presenti sulle criniere e sulle code dei cavalli.

I Monacacelli sarebbero custodi del tesoro di San Pietro, seppellito dall’Apostolo nella Contrada omonima, quando soggiornò nel territorio Gioiese.

Il Munaciello, secondo l’immaginario popolare. Illustrazione di Daniela Matarazzo 

I Moncacid sono scalzi, indossano una tunica bianca simbolo di purezza, un mantello ed un cappello rosso, simbolo della Carità. All’interno del cappello di forma simile a quello vescovile cinquecentesco, è scritto il nome ed il cognome del bambino.

Pertanto chi aveva la possibilità di incontrare un Monacello doveva sottrargli il cappello rosso che celava l’identità del bambino che doveva rimanere anonima.

Il Monacacello scoperto, per non rivelare la propria identità a San Michele Arcangelo, traghettatore delle Anime, e perdere l’immortalità reincarnandosi in esseri inferiori, poteva essere ricattato in modo da rivelare al nuovo padrone il luogo dove era sepolto il tesoro di San Pietro e diventare ricco per sempre.

Tutti i Fedeli che avrebbero trovato il tesoro dovevano restituirlo alla Chiesa, in caso contrario sarebbe stato causa di discordie e sventure.

I Moncacid maschietti al collo avevano un fiocco celeste, mentre i Moncacid femminucce indossavano al collo un fiocco rosa.

Secondo altre versioni popolari i Monacelli scoperti diventavano dei piccoli geni che esaudivano i desideri dei loro padroni.

I Monacacelli operavano di notte visitando le case e le scuderie, in quanto il cavallo era simbolo di libertà ed erano responsabili delle fughe degli animali che in questo modo trasportavano verso le stelle dello Zodiaco le anime limbiche per ottenere la Luce eterna, tesoro di Sapienza.

Il numero delle trecce corrispondeva agli anni che i Moncacid avrebbero dovuto trascorrere nel Limbo, pertanto non bisognava disturbarli durante il loro lavoro notturno, in quanto, se perdevano il conto, potevano scatenare maledizioni, sfortuna ed eventi spiacevoli.

I Monacelli erano responsabili della “gora” notturna o della pesantezza gastrica, quando si sedevano sul ventre dei dormienti, diventando pesantissimi.

I Monacacelli, essendo spiritelli bambini, preferiscono vivere liberi nel Limbo e continuare a fare gli scherzi ai viventi, i quali però, dopo averli scoperti, possono rendere loro la vera libertà facendoli ascendere finalmente in Paradiso.

Infatti tutti coloro che avevano scoperto un Moncacid, dopo aver appreso la loro identità, recitavano una formula antica di affidamento alla Madonna del Carmine, Regina delle Anime Sante del Purgatorio, con la conseguente celebrazione della Santa Messa in cui l’anima limbica, rappresentata da un giglio bianco per i maschietti e da una rosa bianca pe le femminucce, veniva evocata, chiamata e battezzata con tre gocce di acqua santa.  Il fiore poi veniva sepolto in terra consacrata.

Per tali motivi anticamente a Gioia del Colle i bambini venivano battezzati entro otto ore, simbolo di immortalità, dal parto ed affidati alla celeste protezione delle tre Sante Figlie della venerata Patrona Sofia, Fede, Speranza e Carità.

Anche i bambini nati morti venivano ugualmente battezzati, affinché non diventassero Monacelli.

Nel passato a Gioia del Colle le prime Sante Messe celebrate il 02 Novembre, Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti ed il 16 Luglio festa liturgica di Maria Santissima del Monte Carmelo e delle Anime Sante del Purgatorio, venivano officiate in suffragio delle Anime dei bambini non battezzate, con il rito del battesimo dei fiori, anche di stoffa, per far ascendere direttamente in Paradiso le Anime limbiche, attraverso l’invocazione di San Michele Arcangelo psicopompo, Santa Sofia Vedova e San Filippo Neri, celesti avvocati difensori dei cittadini di Gioia del Colle, presso il Tribunale Divino.

Tra i Gioiesi interpellati, tanti hanno visto i Monicacelli o le loro opere e tracce, ma pochissimi sono riusciti a svelare la loro identità ed i loro misteriosi segreti.

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16 Agosto 2021

  • Scuola di Politica

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