I Cimiteri prima della riforma di Napoleone

Prima della pubblicazione dell’editto di Saint-Cloud, voluto da  Napoleone Bonaparte nel 1804, esteso all’Italia nel 1806,  si era soliti seppellire i defunti, specie quelli  di ceto elevato e  quelli religiosi, all’ interno delle Chiese o nelle immediate vicinanze, quasi a voler impetrare la protezione divina sui morti. La motivazione di tale decisione era duplice: in […]

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L’Editto di Saint-Cloud emanato da Napoleone Bonaparte

Prima della pubblicazione dell’editto di Saint-Cloud, voluto da  Napoleone Bonaparte nel 1804, esteso all’Italia nel 1806,  si era soliti seppellire i defunti, specie quelli  di ceto elevato e  quelli religiosi, all’ interno delle Chiese o nelle immediate vicinanze, quasi a voler impetrare la protezione divina sui morti.

La motivazione di tale decisione era duplice: in primo luogo era dettata da motivi igienico e sanitari e di salute pubblica, in quanto il continuo seppellimento dei defunti nelle chiese, spesso in tombe non ben tenute, come vedremo nella successiva documentazione,  procurava dei problemi di olezzo, di effluvi contagiosi e possibilità di contrarre malattie. In secondo luogo era dettata da una finalità ideologico-politica, quella del rispetto di quell’ uguaglianza dei cittadini, obiettivo conseguito a seguito della Rivoluzione francese.Quasi tutte le Chiese disponevano al loro interno di numerosi altari gentilizi o piccole cappelle, nelle quali erano sepolti i componenti di quella famiglia.

Napoleone, dunque, dispose il divieto di seppellire i defunti non solo all’ interno delle Chiese, templi, sinagoghe, ospedali, cappelle pubbliche o luoghi chiusi dove i cittadini si riunivano per la celebrazione dei loro culti, ma anche all’ interno delle città. I cimiteri dovevano essere costruiti almeno alla distanza  di 35-40 metri dalle città, su terreni espressamente consacrati per l’inumazione dei morti. Dovevano essere costruiti in posizione elevata, esposti a nord in luoghi soleggiati ed arieggiati per garantirne la ventilazione da eventuali cattivi odori ed  essere cinti  da mura di almeno due metri di altezza.

A Gioia abbiamo numerosi esempi di Chiese all’ interno delle quali erano sepolti i defunti.

Il popolo era solito chiamare il luogo delle sepolture con il nome Camposanto proprio perché essendo nelle adiacenze della Chiesa era ritenuto un luogo santo e i defunti in tal modo anche in morte erano  posti sotto la protezione dei Santi che vi si veneravano.

Dalle Sacre Visite che gli arcivescovi di Bari effettuarono alle Chiese di Gioia a partire dalla metà del Cinquecento veniamo a conoscenza dei luoghi utilizzati per le sepolture per i nostri defunti.

Il dott. Walter Ivone  nel 15° Foglio di identità territoriale Camere di tenebra ipogei a Gioia del Colle, pubblicato dal Comune di Gioia del Colle nel 2002, cita cinque Chiese: Sant’ Antonio, San Francesco, San Domenico, Sant’ Andrea, Santa Maria Maggiore.

Arca D’Andrano nella Chiesa di S. Francesco

Uno dei primi esempi di sepoltura in un edificio sacro lo ritroviamo nella Chiesa di San Francesco in Piazza Plebiscito, fatta costruire o ristrutturare  nel XIV secolo da  Nicolò D’Andrano ed abbellito dal figlio Luca. Padre Bonaventura da Lama nella sua Cronica de’ Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò, parlando del Convento di San Francesco afferma: Il Monastero, quello dei Padri Conventuali fu a spese di Nicolò, colla Cappella del Santo del suo nome, ornata di varie pitture, e coll’ armi di detta Casa; fabbricatovi a basso con bell’ arte un sepolcro per i loro successori, ed eredi; oltre l’altro sepolcro di marmo di nobil lavoro per ordine di Luca d’Andrano, con un’Altare a modo di Cappella vicino al sepolcro, piantato alla parte sinistra, prima di entrare alla porta del Choro, dove fu sepolta Jachina de Rè barbaro, moglie di Nicolò, e consanguinea di Rè Roberto.

Il sepolcro riservato a detta famiglia, costruito in marmo scolpito, è detto “Arca di Messer Luca D’Andrano”. La lastra, trafugato dalla Chiesa nel secolo scorso,  e ritrovata nel palazzo Magnini a Taranto, è stata recuperata dai Carabinieri nel 2002, restaurata a cura del Rotary Club Acquaviva delle Fonti-Gioia del Colle e posizionata sulla porta d’ingresso laterale della chiesa di San Francesco.

Nella Chiesa fu sepolto anche il principe Carlo De Mari, come di evince dalla lastra policroma posta ai piedi dell’altare maggiore che riporta la data del 1678.

Al di sotto della Chiesa sono presenti degli ipogei che, secondo una prima indagine speleologica, venivano utilizzati come cimitero riservato ai soli frati conventuali.

Da una controversia, protrattasi negli anni 1828 e 1829, tra la Venerabile Casa dei PP. Certosinini di Napoli e il Comune di Gioia del Colle veniamo a conoscenza che adiacente al giardino dei Padri Francescani Conventuali,  che era stato assegnato ai Certosini dagli esecutori del Concordato, era presente un terreno con locali dati al Comune, due Palmenti ed un Mulino, su cui si stava eseguendo le sezioni dei cadaveri, che prima si era nella necessità di eseguire nelle Chiese, e che era difficile trovarsi nel nostro Comune per i pregiudizi che vi regnavano.

lastra sepolcrale Chiesa S. Antonio

Anche la Chiesa di Sant’ Andrea presenta un ipogeo di modeste dimensioni, posizionato nella parte centrale della navata; potrebbe essere stato utilizzato come luogo di inumazione dei religiosi che vi officiavano.

Un complesso cimiteriale lo troviamo anche presso la Chiesa di Sant’Antonio o del Crocifisso. Si tratta di quattro ipogei: uno sotto la navata centrale, a cui si accede da una botola che riporta le date 1839 e 1939 con un teschio e due ossa incrociate, e gli altri tre sotto il sagrato della Chiesa, a cui si accedeva da una botola che riporta la data del 1838. La tradizione vuole che nella Chiesa fu sepolto l’abate Francesco Paolo Losapio, il quale aveva fatto sopraelevare a sue spese una parte del primo piano del Convento per allocarvi una biblioteca civica.

Anche nella Chiesa di San Domenico doveva essere presente un piccolo cimitero, forse ad uso dei soli confratelli, come si evince da una botola che presenta un’iscrizione, che, dopo alcuni lavori consolidamento e di ripavimentazione della struttura, è stata rimossa e murata nel vano che permette di accedere al piccolo campanile.

lastra sepolcrale sagrato S. Antonio

Un discorso più approfondito merita la Chiesa Madre di Gioia poiché le sepolture erano presenti non solo in prossimità di alcune cappelle gentilizie, ma anche nella navata centrale, dove sono presenti due ipogei sulla parte sinistra e due sul lato destro, e nello spazio antistante il sagrato della Chiesa, dove era presente un vero e proprio cimitero.

Al di sotto del pavimento della Chiesa sono presenti quattro ipogei. Una esplorazione effettuata dal Gruppo Speleologico gioiese negli anni Ottanta portò alla luce i quattro ambienti, che erano stati colmati di terra. Essi erano situati sul lato destro e sinistro della navata; avevano identica forma e dimensione ed erano comunicanti due alla volta tra di loro. Nel 1996, a seguito di lavori straordinari per eliminare infiltrazioni di umidità, furono rinvenuti e svuotati di terra i quattro ambienti sotterranei.

Ripetuti lavori di consolidamento delle fondamenta e di ripavimentazione della Chiesa hanno portato alla chiusura degli ipogei, forse  per motivi di sicurezza e di stabilità dell’edificio sacro.

Notizie sicure intorno a queste sepolture le ricaviamo dai verbali delle Sante Visite effettuate nella Chiesa Madre da parte degli arcivescovi di Bari, in ossequio alle disposizioni del Concilio di Trento a partire dal 1578.

Già dagli Ordini o Decreti della prima Visita effettuata nel 1578  nella Chiesa Madre dall’arcivescovo Antonio Puteo, veniamo a conoscenza Che dal muro vicino l’Altare di Santo Cataldo fra la Sacrestia, et il Choro si levano certe ossa di teste, et altri membri di mortj et si tenga più netto et quella finestra, ove si è visto dette ossa stare … Per la cappella di San Sebastiano, sempre nella Chiesa Madre, si ordina di livellare al pavimento della cappella la pietra sepolcrale, avverta il Visitatore, che tutte le sepolture ne’ luoghi, dove sono permesse stiano ben chiuse, accioche non esalino fetore, e habbiano i coperchi di pietra, che vadano al pano col pavimento. L’arcivescovo nota anche l’assenza di porte, ò cancelli all’ingresso del cimitero antistante la porta maggiore della Chiesa Madre, che permetteva agli animali di pascolare indisturbati sul luogo sacro e di calpestare le umili tombe.

Anche l’arcivescovo di Bari Giulio Cesare Ricciardi, a seguito della Sacra Visita del 1593 negli Ordini che impartisce annota che le sepolture all’interno della Chiesa Madre, nonostante le disposizioni del suo predecessore, risultano ancora sconnesse e, a volta, anche aperte e maleodoranti e quindi ordina che tutte le sepolture si serrino in modo et agiustino che le fissure non possino causare fetore. Nel cimitero antistante la Chiesa, che si trova in uno stato di abbandono, ordina che si levino l’arbori che vi sono, et si purghino tutte l’herbe mantenendosi come si conviene netto e dalle fenestre che corrispondono al detto cimitero non si permetti in modo alcuno che si lanci lordura alcuna. 

A seguito della Visita effettuata dall’arcivescovo Diego Sersale nel 1640 si ordina di rimuovere e sistemare altrove le sepolture presenti ai lati dell’altezza del SS. Sacramento, forse appartenenti ai Padri spirituali membri dell’omonima Confraternita. L’arcivescovo nota che tutto il pavimento della Chiesa è lastricato di lapidi sepolcrali non sempre ben livellate al pavimento.

ipogeo cimiteriale nella Chiesa Madre. Foto dal 15° Foglio di identità territoriale, Comune di Gioia del Colle

Lo stesso arcivescovo nel 1652 concede alla famiglia Jacobellis l’altare di Santa Caterina con diritto di sepoltura (cum jure sepulcri). Nota che godono del diritto di sepoltura  sia la famiglia Panessa, titolare del patronato sull’ altare di S. Leonardo, sia la famiglia Riveglia, titolare dell’altare di San Cataldo.

Lo stesso Sersale nella Visita del 1658 nota che il pavimento della Chiesa non è ancora del tutto livellato e dalla botola semiaperta fuoriesce un fetore nauseabondo e nella Visita del 1662 ordina di chiudere la botola del sepolcro soggiacente l’altare di San Sebastiano, l’altare del Monte Carmelo, l’altare di Santa Maria di Costantinopoli, l’altare di San Leonardo.

La non osservanza delle precedenti prescrizioni porta l’arcivescovo Sersale nel 1662 a richiami nei confronti degli inadempienti. Si ordina di provvedere a chiudere la botola del sepolcro sottostante gli altari di S. Sebastiano, di S. Caterina, di S. Maria di Costantinopoli e di S. Leonardo.

L’arcivescovo, passando alla Visita della chiesetta affiancata alla Chiesa Madre, sotto il titolo di S. Maria del Monte del Suffragio delle Anime  del Purgatorio, ordina di portar via i teschi e le ossa dei morti che si trovano tutt’ intorno alle pareti di detta Chiesa e che questi siano deposti nel Cimitero.

L’arcivescovo Giovanni Francesco Granafei dopo la Visita effettuata nel 1670 ordina al sindaco di Gioia, sotto pena di scomunica, di provvedere entro un mese di tempo al restauro della fabbrica del Cimitero della Chiesa Madre, di proprietà del Comune.

L’arcivescovo Carlo Loffredo viene in Visita a Gioia nel 1695 e ordina a don Giuseppe Elmo, che detiene il patronato della cappella del Crocifisso, di allineare al pavimento della Chiesa la lapide del sepolcro costruito immediatamente fuori la cappella, pena la perdita del diritto di seppellire. Riguardo alla confinante Chiesa del Purgatorio ordina: Che le figure delle Anime delle Donne Purganti nude s’adombrino, e si coprino di fiamme nel petto, e nelle coscie per non apparir le mammelle, che più presto offendono gli occhi di chi li mira, che li portino devozione. Prende atto che in essa è stata fondata una Confraternita denominata del Purgatorio, i cui confratelli si prendono cura di seppellire i defunti poveri. Ordina inoltre che: Nel cimiterio avanti l’atrio della Chiesa Madre vi si facci di sopra per tutta la continensa di esso una selciata con la Croce di sopra et Iscritione à lettere maiuscole Coemeterium.

L’arciprete di Gioia Giuseppe Barba, venuto a conoscenza che  nel 1706 l’arcivescovo di Bari Muzio Gaeta sta per effettuare la Visita a Gioia, gli comunica alcune anomalie riguardanti il cimitero. Secondo lui, sarebbe spettato al Comune di Gioia, sotto il cui patronato ricadeva la Chiesa Madre e la sua manutenzione, provvedere alle necessità del caso. Infatti nel cortile della Chiesa da molti anni  non vi è dove riponere l’ossa de’ morti in occasione o annettano le sepolture, per levarsi con ciò l’inconveniente di collocarle in alcuni fossi che fanno dentro esso cortile, quali con gravissimo scandalo il più delle volte restano scoperte. Occorre che si alzino le mura del Cortile nel modo di prima quale resti serrato con porte di cancelli … onde evitare il passaggio dell’animali, e della piazza che vi fanno li contadini ogni mattina con disturbo delle messe e funzioni.

Il Vescovo ordina di costruire un muro di recinzione intorno nell’ atrio della Chiesa, utilizzato come area cimiteriale e di raccogliere tutte le ossa di cui è pieno il cimitero e di deporle in una fossa ben coperta da costruirsi al centro dello stesso atrio. Inoltre ordina di munire di lapide alcune sepolture pavimentali, esistenti della navata della Chiesa, che ne sono ancora sprovviste.

La vecchia sede della Chiesa del Purgatorio

Nella Visita del 1717 l’arcivescovo Gaeta torna ad ordinare la costruzione, nell’ atrio della Chiesa, di un muro di cinta che eguagli l’altezza della facciata della confinante Chiesa del Purgatorio, chiuso da porte in legno, per evitare il consueto accesso di animali e di venditori nel mercato della confinante piazza. E poiché nell’ atrio è allocato il cimitero, non più adatto a tale scopo, né capace, né decente, ordina di costruirne uno nuovo in base alla proporzione dell’area, in modo da disporre di un’opera giusta, utile e necessaria, come più volte richiesta dal sindaco e dagli ufficiali dell’Università di Gioia. 

Il sagrato della Chiesa Madre, dove era ubicato questo cimitero, prima della ricostruzione della Chiesa Madre nel 1764, era molto più ampio e quindi il cimitero occupava un ampio spazio.

L’abate Francesco Paolo Losapio nella galleria degli Arcipreti di Gioia, allegata al Quadro Istorico-Poetico  sulle vicende di Gioja in Bari detta anche Livia, parlando dell’arciprete d. Pasquale Gatta afferma: Dopo cinque mesi a datare dalla sua sepoltura … la popolazione tutta, ed i notabili del paese … si portarono in folla nella chiesa, per riconoscere il di lui cadavere, seppellito cogli altri nel sepolcro de’ sacerdoti, per metterlo separato in quello di deposito…. Fu di nuovo seppellito in un sepolcro fatto, e lavorato a tal fine di capacità quanto pigliava di luogo detta cassa dentro la cappella di Sant’Anna, situata dentro la stessa chiesa madre che attacca detta cappella  alle fabbriche della sacrestia della cappella del Purgatorio.

E’ da ricordare che la Chiesa Madre fu abbattuta nel 1764 per costruirne una più grande, che è quella attuale.

C’è da sottolineare che alla Chiesa Madre è legata la leggenda che vuole che in essa fu sepolta Bianca Lancia, moglie di Federico II. Questa tradizione è avvalorata da Bonaventura da Lama, nella sua  Cronaca de’ Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò (1724) il quale riporta: Sotto questa Torre ( del castello di Gioia)  v’è una prigione, chiamata l’ Imperadrice, dove è fama che qui Federigo avesse tenuta carcerata per capriccio di gelosia la moglie gravida, diceva, d’un Paggio, ed avendo partorito dentro il Carcere un figlio, qual portava sopra di se un segno del Padre, si troncò da se medesima le Mammelle, ed insieme col parto le inviò al suo marito, per lo che passò all’ altra Vita, ed attoalmente si vede nella Chiesa il Deposito (il sepolcro), sopra cui v’è una Dama scolpita con un figliuol nelle fasce, e nel frontespizio uno scudo coll’Aquila.

Cappella gentilizia comm. Marcellino Cassano e germani, nel cimitero di Gioia

L’obbligo di seppellire i defunti al di fuori del paese, in appositi cimiteri fu osteggiata dai cittadini gioiesi che vedevano in questa scelta una discriminazione nei confronti delle classi povere; i notabili e i benestanti riuscivano a farsi seppellire in prossimità delle chiese e la loro lapide poteva godere di uno scritto  che sottolineava una virtù o una qualità del defunto oltre l’obbligatoria  indicazione anagrafica richiesta.

La resistenza alla costruzione del Cimitero, o meglio Camposanto (Campo Santo) come viene spesso ricordato, e all’ inumazione dei defunti in quel luogo e non più nelle chiese e nei loro dintorni, sembrava ai cittadini privare i morti della vicinanza e del conforto divino, quasi una discriminazione per i più poveri.

La popolazione si convinse a cambiare atteggiamento allorquando il 4 agosto 1837 vi videro sepolti Marcellino Cassano e donna Gaetana Basile, appartenenti alle più ragguardevoli famiglie di Gioia.

Per chi volesse approfondire la storia del Cimitero di Gioia del Colle è possibile consultare su questo sito l’articolo Il Camposanto.

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23 Maggio 2020

  • Scuola di Politica

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