Antiche Chiese e Cappelle rurali nel territorio di Gioia

Nei secoli passati nel territorio di Gioia erano ubicate numerose Chiese e cappelle rurali, di molte delle quali non rimane che la denominazione, poiché sono andate distrutte o per opera di popoli invasori o per l’azione distruttrice del tempo. Più numerose delle Chiese cittadine erano le Cappelle rurali perché, costruite accanto alle numerose  masserie presenti […]

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Apprezzo della Terra di Gioia del 1611

Nei secoli passati nel territorio di Gioia erano ubicate numerose Chiese e cappelle rurali, di molte delle quali non rimane che la denominazione, poiché sono andate distrutte o per opera di popoli invasori o per l’azione distruttrice del tempo.

Più numerose delle Chiese cittadine erano le Cappelle rurali perché, costruite accanto alle numerose  masserie presenti sul nostro territorio,  venivano utilizzate non solo dai proprietari, ma anche dai contadini, braccianti, pastori che facevano parte della forza lavoro delle estese proprietà latifondistiche, individui che abitavano quasi tutto l’anno in quelle grandi dimore rurali e che raramente tornavano in città, presi dai numerosi, continui ed incessanti impegni lavorativi in campagna.

Nell’Apprezzo della Terra di Gioia stilato nel 1611 dal tabulario Federico Pinto si dice: Sono in detta Terra devote ed onorevoli Chiese … e particolarmente vi è la Chiesa Maggiore nominata il Capitolo … Vi sono ancora in detta Terra due altre Chiese, una nominata Santa Maria della Grazia servita da Monaci Domenicani … L’altra Chiesa nominata di San Francesco servita da Frati conventuali … E fuori di detta Terra su una pianura vi sono tre Chiese, e cappelle antiche poste in diverse parti della campagna, che hanno del guasto di numero 300 e più, e per questa quantità ed antichità di Chiese dinota detta Terra essere stata di popolatissimo numero di gente, e di molta grandezza, che non è adesso.

Sicuramente il numero 300 è da attribuire ad un errore di trascrizione perché se così fosse stato, pur essendo in quei tempi il territorio gioiese più esteso di oggi, essendosi ridotto a causa delle usurpazioni operate dagli abitanti di Sammichele, Turi, Putignano e Noci, avvenute nei primi anni del Seicento, ci sarebbe stata una chiesa ogni 8 abitanti, mentre è ipotizzabile un numero di circa 30 Chiese, tenuto conto che nel 1611 si registravano a Gioia 526 fuochi, pari a circa 2630 abitanti.

Sia Padre Bonaventura da Lama che l’abate Francesco Paolo Losapio affermano che Gioia esisteva anteriormente all’anno 506 d.C. essendo stato il paese più volte distrutto e ricostruito.L’abate Losapio, nel Quadro istorico-poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia, afferma: è fama poi, che Pier, Marco, o Giovanni (gli Apostoli) nel passar (da Gioia), predicò Cristo e la Croce. Così sarebbero sorte nell’antico abitato gioiese di Monte Sannace l’antichissima chiesa di rito greco-bizantino dedicata a Santa Sofia e la vicina chiesa di San Marco, terminata nel 506. Al tempo di Totila l’abitato gioiese su Monte Sannace, sempre secondo il Losapio, sarebbe stato distrutto e ricostruito un miglio distante e verso occidente, con il nome di Santa Sofia. Verso la fine del secolo VIII l’abitato gioiese di Santa Sofia avrebbe raggiunto l’estensione di circa 3 miglia. Nel secolo successivo il paese sarebbe stato distrutto nuovamente dalle incursioni musulmane.

L’abate Francesco Paolo Losapio nelle note al Canto secondo del Quadro istorico-poetico … scrive: Antonio Beatillo nella Storia di Bari lib.2 pag.74, riporta la donazione fatta da Roberto Guiscardo ad Eustachio fondatore ed Abate del monistero sotto il titolo di tutt’i Santi del luogo detto S. Nicola la Pagliara, prope castellum Jojae, e per esso Eustachio del monistero di tutti i Santi cum terris, vineis, silvis, et aquis. All’istessa pagina anche riporta la donazione, che fece il suo figlio Ruggiero all’Arcivescovo Ursone del Canale di Gioja; ma Francesco Lombardi nel Compendio Cronologico delle vite degli Arcivescovi Baresi parte I pag. 35, mentre riferisce che l’Arcivescovo Ursone fu persona molto cara a Roberto prima, e poi a Ruggiero suo figlio, questi per corrispondere generosamente alla continua assistenza di Ursone concedè alla Mensa Arcivescovile Barese non solamente il Canale di Gioja, ma anche la Chiesa di S. Angelo nel monte Sannace…  Negli archivj del Capitolo e del Comune di Gioja  trovansi depositate in doppio le due donazioni fatte da Riccardo Siniscalco Normanno a favore della Chiesa di S.  Nicolò di Bari; la prima portante l’epoca del 1108 riguarda la concessione in piena proprietà del territorio e Chiesa di S. Pietro Scavazzolis poste non lungi dal Castello di Gioja; quale donazione da sortire il suo effetto dal momento della sua data. La seconda portante l’epoca del 1111 fu relativa al Castello di Gioja… Il Vandalo Tribuno della plebe e Capo-popolo fu un tale Giannantonio Monte, la cui memoria è pur troppo detestabile ed abominevole, per aver distrutto ed atterrato nel 164 la Chiesa matrice di S. Pietro con tutt’i monumenti ed antichità che l’arricchivano.

Quadro Istorico-Poetico sulle vicende di Gioia in Bari detta anche Livia, opera dell’abate Francesco Paolo Losapio

Nel Canto terzo il Losapio annota che l’arciprete di Gioia officiava nella Chiesa di San Pietro, poi Madonna della Neve e che Luca d’Andrano oltre ad erigere il gran Convento de’ padri Francescani colla Chiesa, altro tempio costrusse… volto a meriggio, e tiene ancor espresso un Angelo del ciel.

Nel rifare la Chiesa del Convento nel 1729 i Frati non risparmiarono la Madonna degli Angeli, Chiesa eretta in memoria degli aurati cavalieri.

Nell’aprile del 1108 il conte Riccardo donava alla basilica di San Nicola di Bari la chiesa rurale di San Pietro de Sclavezzùlis con i terreni circostanti, situati ad un paio di chilometri ad oriente dell’abitato.

In seguito Riccardo Siniscalco avrebbe rifondato e ricostruito Gioia, dove attualmente è ubicata, sostituendo la chiesa di San Marco con quella di San Pietro Apostolo, intorno al 1140.

Il Carano Donvito, invece, pur riconoscendo a Riccardo Siniscalco il merito di aver abbellito, ampliato e consolidato nell’attuale sito l’abitato gioiese, dubita che la chiesa di San Marco sia appartenuta al centro abitato di Gioia e conclude che solo verso il secolo XII pare che, abbandonata la chiesa di San Marco, si erige proprio in Joa la chiesa di San Pietro, allo stesso posto dove poi fu ricostruita nel 1764 l’attuale Chiesa Matrice.

Dal Codice Diplomatico Barese, vol. I doc. n.55 apprendiamo che nel Borgo di Gioia, a soli pochi passi dalla grigia muraglia del Castello, si ergeva maestosamente e nuova di zecca la chiesa dedicata a Santo Stefano protomartire.  

Negli ultimissimi anni del secolo XII nella chiesa latina di Santo Stefano le sacre funzioni erano officiate dall’arciprete don Cataldo.

Dalla bolla del papa Alessandro III, datata 26 febbraio 1180 la Chiesa di San Nicola de Monte Ioe, facente parte del territorio di Monte Gioia, risulta appartenere al Vescovado di Monopoli.

L’abate Losapio afferma che la Chiesa Matrice di Gioia, dedicata al Principe degli Apostoli, San Pietro, fu fondata da Riccardo Siniscalco.

Lo storico gioiese Vito Umberto Celiberti (Da Monte Sannace a Gioia. Storia di due città) afferma: in realtà nella seconda metà del XIII secolo la Chiesa di Santo Stefano aveva assunto la nuova denominazione di Santa Maria Maggiore, denominazione che conserva ancora oggi. Gioia in quel tempo era circondata da boschi e chi vi si addentrava avrebbe incontrato di tanto in tanto delle radure poste in coltura o lasciate libere per il pascolo e non di rado, in quelle maggiori, delle chiesuole  di rustica fattura, talvolta diroccate o circondate da miseri abituri e corticelle, con orti e vigneti in promiscuità con l’ulivo, ed i cui nomi (San Nicola de Paleàris, San Pietro de Sclavezzùlis, San Marco, San Pietro de Ambùl e Sant’Angelo) troviamo registrati nei rogiti ed  in altri documenti. Di tutte queste chiesette rurali oggi non resta più alcuna traccia visibile, tanto da giustificare l’ipotesi che fin da allora esse fossero per la maggior parte diroccate o ridotte ad una massa di ruderi per la progressiva diserzione dei fedeli, ma soprattutto per le devastazioni che nei secoli precedenti e qualche decennio prima avevano funestato in lungo e in largo la regione.

Resti della probabile Chiesa di Sant’Angelo sull’acropoli di Monte Sannace

Sulla sommità dell’abitato dell’antico abitato peuceta di Monte Sannace sono presenti i resti di quella che è considerata l’antica chiesa di San Michele Arcangelo o di Sant’Angelo, nome con cui veniva chiamata nei documenti dell’epoca.

Quando nel 1181 il feudo di Gioia passò nelle mani di Goffredo Gentile questi incamerò anche buona parte delle terre della chiesetta rurale di San Pietro de Sclavezzùlis, ubicata a settentrione di Gioia, donate dal Siniscalco alla Chiesa di S. Nicola di Bari, perché proprietà del suocero che, a seguito di documenti recuperati, risultarono essere state usurpate.

Il Losapio ricorda che Luca D’Andrano avrebbe fatto edificare a Gioia una cappella in onore della Madre degli Angeli, avrebbe fatto o ricostruito a sue spese il convento di San Francesco ed erigere nell’annessa chiesa conventuale una cappella per la propria famiglia, con un sepolcro, chiamato l’arca di messer Luca D’Andrano. Avrebbe fatto costruire anche un ospedale e la chiesa di Santa Caterina Vergine fuori le mura, a sud dell’abitato, come ricordava una lapide fatta apporre da lui nel 1346. Quest’ultima notizia viene riportata anche da Padre Bonaventura da Lama con l’aggiunta che la chiesa fu eretta in onore della beata Caterina e del beato Gregorio.

Nel testamento del ricco ebreo gioiese Leone de Guarnita (o Reone Guarnita), rogato a Gioia il 14 settembre 1292, si citano due case presso la chiesa di San Biagio, un piccolo orto presso la chiesa di Santa Caterina.

Da un documento stilato in Bari l’11 luglio 1312 apprendiamo che l’abate Marsilio, canonico della basilica di San Nicola di Bari, il procuratore del diacono cardinale Guglielmo Longo, priore della medesima, ed il Capitolo nicolaiano possedevano un latifondo denominato San Nicola de Palearis, ubicato in prossimità dell’abitato gioiese. Ad agosto dello stesso anno, alla presenza dell’abate Marsilio, canonico della basilica di San Nicola, del giudice gioiese Bernardo de Farinola e del notaio Matteo di Cristosalvo, viene sottoscritto il contratto di fitto per un quinquennio di alcuni terreni appartenenti alla chiesa di San Pietro de Sclavezzùlis, posti nelle pertinenze di Gioia e distanti all’incirca un miglio dall’abitato.

La Via per Matera attraverso le contrade di: A) Santa Sofia-Santo Mola e B) San Lorenzo, sedi delle omonime cappelle rurali. (I.G.M. foglio 139, levata del 1873-74)

Un’altra chiesa rurale di una certa rilevanza è quella ubicata nelle vicinanze dell’abitato, ad occidente, denominata di San Pietro d’Ambòla o de Amul, più nota come Santo Mola. A differenza delle altre chiese rurali sembra che questa cappella non disponesse di un patrimonio fondiario proprio, anche perché non era patrimonio né della basilica di San Nicola né della Mensa arcivescovile barese. Un primo documento della presenza di questa cappella appare in una donazione rogata in Bari il 5 febbraio 1317. Con tale donazione mastro Andrea de Fino, per la sua grande devozione per San Nicola, donò alla basilica barese di San Nicola la metà indivisa di sei vignali di terre ubicata a poca distanza dall’abitato gioiese, lungo la via per Santeramo, vicino la chiesa di San Pietro de Amùl.

Negli Ordini di S. Visita, per Gioia, dell’Arcivescovo di Bari Antonio Puteo, promulgati il 24 ottobre 1578, sono annotate prescrizioni oltre che per l’arciprete  della Chiesa maggiore e per i cappellani di Sant’Andrea, di San Nicola de Andrano e di Santa Maria Maddalena dentro la Terra di Gioia, anche per il cappellano di Santa Lucia  de greci fuori della Terra di Gioia, di Santa Caterina nova nella via di Matera, per le cappelle di Santa Maria e di San Giovanni annesse alla Commenda della Religione di Malta e al cappellano di Santa Sophia nella via di Matera (quest’ultima via  che portava a Matera, partiva dalla via retrostante il complesso conventuale di San Francesco, che si affacciava sull’omonimo spiazzo).

Cappella rurale accanto alla masseria Soria, nella contrada Marzagaglia

A seguito della controversia sorta nel 1610 tra i rappresentanti della basilica di San Nicola e della Mensa arcivescovile barese circa il possesso delle terre a Monte Sannace, occupate dal Duca d’Atri, si instaura un lungo processo. Nel verbale del quarto “Accesso a Monte Sannace”  effettuato nel 1635 per una verifica del territorio controverso, presentato nel “Processo originale tra l’illustre Duca d’Atri e l’Illustrissimo Arcivescovo Barese” si dice: avendo salito nella cima del Monte Sannace si è ritrovato una Chiesa, e secondo pare da sue vicine è edificio antico, e domandati li esperti come si chiama questa Chiesa, dissero che era Chiesa chiamata Sant’Angelo, e vicino questo loco sono da quindeci passi, ed una Torre dirupata.

Sempre il Celiberti, parlando dei primi insediamenti umani nel territorio di Gioia ricorda che dopo il probabile intervento di Annibale nella zona di Monte Sannace con trascorrere dei secoli scomparvero i campi coltivati ed un pietoso manto boschivo ricoprì la maggior parte del territorio devastato, ruderi compresi. Poi, pian piano, un certo numero di chiese rurali- poco importa se longobarde o bizantine – sorsero tra quei boschi ed intorno ad esse i pastori presero a costruire i loro modesti abituri… Di questi microscopici villaggi restano solo i nomi mutuati dalle chiesuole in alcuni documenti: San Nicola de Palearis, San Petro Novizio, San Pietro de Sclavezzùlis, San Marco, San Pietro d’Ambòla, Frassineto. Inoltre dalla vetta pianeggiante della collina Sannace, la chiesa di san Michele Arcangelo, più nota all’epoca col nome di Sant’Angelo, dominava sulle rovine della città arcaica peuceta.

E cita anche il Losapio che riferisce che il conte Riccardo avrebbe fatto erigere la chiesa Matrice di rito latino, intitolandola a San Pietro e lasciando liberi i Gioiesi di partecipare alle funzioni religiose che si officiavano in quest’ultima o in quella di santa Sofia, di rito greco, posta al centro del casale medievale, senza tuttavia addurre alcun sostegno documentario alle ipotesi.

Le 300 Chiese riportate dall’Apprezzo della Terra di Gioia del 1611

Il Celiberti, proseguendo le sue ricerche, riferisce che intorno al 1837 c’erano in Gioia sei chiese urbane: La Matrice, dedicata a Santa Maria Maggiore, quella dei Conventuali Riformati di Sant’Antonio, quella di San Francesco, San Domenico, la chiesa di Sant’Angelo ed infine quella di Sant’Andrea.  Adiacenti all’abitato c’erano 5 cappelle: quelle dedicate a San Rocco, alla Madonna della Candelora, a Santa Lucia e quelle dette delle famiglie Buttiglione e Monte. Sparse nel territorio c’erano le cappelle rurali di: Vallata, Bosco, Milano Nardulli, Rosati, Santa Candida, Cesare Soria, Monte Sannace, Vero Zelo, della Croce, Torre del Capitolo, San Donato degli ex Conventuali, delle masserie di San Domenico e di Gigante; inoltre, 2 cappelle private: in casa della vedova principessa di Acquaviva ed in casa di Boscia e 2 cappellanie private in Sant’Angelo per le famiglie Eramo e Bellacicco. In totale si contavano ben 29 tra chiese, cappelle pubbliche ed oratori privati.

Tale cifra corrisponderebbe ai 30 (rettifica dei 300) riportati nell’Apprezzo della Terra di Gioia del 1611.

Dalla Pianta del feudo di San Giovanni Gerosolimitano, presente nella Platea di Santa Maria di Picciano, apprendiamo che a sud ovest, confinante con la Chiesa maggiore di Gioia, lungo la via che portava a Cassano era ubicata la Chiesa cappella di San Giovanni e che nel suddetto feudo in direzione ovest, poco distante dalla detta cappella e dalla terra di Gioia era presente la Cappella di Santa Maria lo Vurzaro.

L’arcidiacono della Chiesa di Bari, Michele Garruba, nella Serie critica de’ Sacri Pastori baresi, pubblicata nel 1844, dice: L’antica Chiesa matrice, secondo che scrissero il P. da Lama, e l’abate Losapio, era dedicata all’Evangelista San Marco; poi al Principe degli Apostoli San Pietro; ma, da più secoli, ed anche oggi, alla Natività della B.V. M.

Cappella rurale annessa alla masseria della famiglia Bosco

Lo stesso Garruba prosegue: Il signor Losapio, appoggiato dall’Apprezzo di Gioja, che nell’anno 1611 fu eseguito dal Tavolario Pinto, e poi nel 1612 riveduto e confirmato dall’altro Tavolario De Marinis, notò che a quell’epoca nel vasto agro giojese vi erano nientemeno che trecento Cappelle rurali. Noi crediamo che siavi stato errore nella enumerazione, dappoichè negli atti di S. Visita eseguita in Gioja a 12 maggio 1595 il numero delle Cappelle rurali non oltrepassava venticinque. Ora non sono che tredici note sotto le denominazioni di Vallata-. 2- di Bosco – 3- di Milano-Nardulli – 4-di Rosati – 5-di S. Candida – 6- di Marzagaglia – 7-del Vero Zelo – 8- della Croce – 9-della Torre – 10-di San Donato – 11-di San Domenico – 12 -di Gigante – 13-di Montesannace.

La presenza di un così alto numero di Chiese e di Cappelle rurali  nel territorio di Gioia, in alcune delle quali si officiava secondo il rito greco e nelle altre secondo il rito latino, oltre a giustificare la denominazione delle stesse a Santi orientali, in primis a Santa Sofia, prima Patrona di Gioia, sono il segno più evidente  che il nostro Comune è stato sempre disponibile e accogliente verso popolazioni  provenienti da diverse località e nazioni,  e che si è verificata una positiva integrazione tra genti diverse al di là delle differenze di lingua, di religione e di tradizioni.

In un momento delicatissimo per la comunità mondiale, sconvolta da odi razziali e da inaccettabili conflitti bellici, questo modus vivendi è un positivo esempio a collaborare e a instaurare rapporti di amicizia, di aiuto e di collaborazione con tutti.

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2 Ottobre 2022

  • Scuola di Politica

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