Ristorante “La Cicerchia”

C’è un prodotto agricolo, che fa parte della tradizione gastronomica di Gioia del Colle e che molti cittadini e ristoratori stanno valorizzando e riscoprendo, che prende il nome di cicerchia. Nel dialetto gioiese nnòlche, compare in un proverbio dialettale: Ci se mange cìcere e nnòlche, la sére desciune se colche, chi mangia ceci e cicerchie […]

Print Friendly, PDF & Email

Filippo Addabbo ed il figlio Alessandro

C’è un prodotto agricolo, che fa parte della tradizione gastronomica di Gioia del Colle e che molti cittadini e ristoratori stanno valorizzando e riscoprendo, che prende il nome di cicerchia.

Nel dialetto gioiese nnòlche, compare in un proverbio dialettale: Ci se mange cìcere e nnòlche, la sére desciune se colche, chi mangia ceci e cicerchie la sera si corica digiuno, a significare che mangiando a mezzogiorno tali legumi, che sono sufficientemente sostanziosi, la sera si può fare a meno di cenare.

Il suo nome scientifico è Lathyrus sativus, ma la cicerchia è nota anche come pisello d’India o pisello d’erba.

È un legume povero da un lato, perché utilizzato in passato dalla popolazione rurale o quella più economicamente sfavorita, ma nello stesso tempo è particolarmente ricco di proteine, di vitamine del gruppo B, di fibre, di polifenoli, di sali minerali, di calcio e di fosforo.

Oltre a questi elementi positivi la cicerchia presenta un lato negativo in quanto contiene una piccola quantità di una neurotossina rappresentata da acido β-N-Oxalvl-L-α,β- diaminopropionico, detto ODAP, variabile a seconda delle caratteristiche del terreno e delle condizioni ambientali. Per ridurre al minimo la tossicità delle cicerchie occorre dedicare ad esse un ammollo di circa 24 ore prima della cottura in acqua preferibilmente salata e tiepida. Al momento della cottura è consigliabile sostituire l’acqua dell’ammollo con acqua pulita e non salata. Inoltre la cottura in acqua bollente e per un tempo piuttosto lungo contribuisce ad eliminare la potenziale tossicità della cicerchia e a renderla più digeribile.La  coltivazione della cicerchia è molto resistente alla siccità per cui è uno dei legumi più antichi ed era utilizzato nel passato in qualsiasi stagione. Abbiamo testimonianze della sua presenza sin da 8000 anni fa presso i popoli della Mesopotamia, ma la sua coltivazione è attestata anche in Asia, Africa ed Europa.

In Italia la cicerchia viene coltivata quasi esclusivamente in Puglia, Umbria, Lazio, Marche e Molise e ha ottenuto il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale italiano da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Le cicerchie trovano applicazione nella preparazione di piatti tradizionali, come zuppe e minestroni, come purea di legumi, come condimento della pasta, come contorno per altri piatti. Dalla macinazione delle cicerchie si ottiene una farina che viene utilizzata per la preparazione di polenta, focaccine e crespelle.

Alla cicerchia è legato a Gioia il nome di un ristorante, ubicato all’inizio di via Sandro Pertini n. 2, nei pressi dell’ex Ospedale Paradiso, gestito dal gioiese Filippo Addabbo.

Insegna “La Cicerchia”

La targa segnaletica presente nei pressi del ristorante riporta la data del 1931, anno che segna l’inizio dell’attività della famiglia Addabbo nel campo della preparazione e vendita delle carni.

Dopo aver ereditato dal padre Ciccillo la tradizione della macelleria, Filippo e il fratello Minguccio accanto alla loro bottega ubicata di fronte alla Scuola elementare Mazzini hanno messo su la trattoria Lo zampino, una braceria per degustazione di carni e zampini, prodotti da loro stessi con carni del territorio locale e  murgiano.

Con la chiusura della macelleria Filippo si è dedicato al settore della ristorazione. Non è stata una scelta avventata in quanto lo stesso Filippo ricorda che durante la seconda guerra mondiale i suoi genitori, il papà Francesco e la mamma Irene, nel retrobottega della macelleria in via Garibaldi, 53, preparavano alcuni pasti caldi e rifocillavano, nella loro macelleria, i passanti con il brodo caldo fatto con ossa, pane raffermo e pepe.

Dapprima Filippo Addabbo ha preso in gestione un’antica masseria in contrada Marzagaglia sulla provinciale per Castellaneta, Il Petraro, a circa 4,5 chilometri dal paese, dove ha iniziato la sua nuova attività di ristoratore, e successivamente si è trasferito nella tenuta Patruno-Perniola, a circa due chilometri da Gioia, sulla stessa strada provinciale Vicinale Marzagaglia, per dare continuità alla sua attività nel settore enogastronomico.

Agli inizi del 2022 l’attività si è trasferita nell’attuale sede, che precedentemente era occupata da un altro ristorante, La locanda del melograno.

Carne e zampini al fornello

In questa attività Filippo, che si occupa della cucina e degli approvvigionamenti da diversi anni è coadiuvato dal figlio Alessandro, che ha svolto e completato i suoi studi scolastici nel settore della ristorazione alberghiera e che si occupa  dei servizi di sala e della preparazione deli diversi menu.

Il nome stesso dato al ristorante spiega la filosofia  che è alla base di questa attività: la voglia di recuperare le tradizioni della nostra terra, coniugandole, come Filippo stesso afferma, con un’adeguata accoglienza dei clienti, una calda convivialità ed un’accurata scelta delle materie prime.

Filippo sostiene che mangiare bene non è difficile, ma è possibile; più difficile è trasmettere, attraverso attraverso le varie preparazioni gastronomiche, emozioni e l’arte dell’ospitalità, qualità fondamentali per un ristoratore e per un amante della buona cucina.

Numerose sono le specialità che si possono gustare a La Cicerchia: dagli antipasti a base di salumi locali preparati e curati artigianalmente dai gestori e portate di latticini locali, alla crema di ricotta con pane fritto leggermente piccante, alla zuppa di cicerchia, alle cicorie con le fave, alle orecchiette e cime di rape o con funghi cardoncelli e salsiccia, alle grigliate miste, ai dolci preparati secondo la tradizione locale.

Alcuni piatti da gustare al ristorante  “La Cicerchia”

La lista dei menu si arricchisce di tanto in tanto con l’elaborazione di nuovi piatti realizzati seguendo antiche ricette tradizionali locali, di cui Filippo va alla ricerca attraverso la voce e l’esperienza di anziani o il recupero di documentazioni gastronomiche del passato.

Questo suo atteggiamento mira a rafforzare la conoscenza e la bontà della tradizione gastronomica gioiese e a salvare alcune genuine ricette popolari che hanno connotato la cucina della nostra collettività e la nostra storia; si tratta di una cucina che potrebbe apparire povera, ma che si presenta  ricca di inventiva, di operosità, di utilizzo delle produzioni locali, che a volte pur nella loro semplicità rispondono ad una corretta alimentazione e dieta alimentare.

Il ristorante oltre ad offrire piatti tipici della nostra tradizione gastronomica utilizza prodotti che costituiscono le eccellenze del nostro territorio e che rendono famoso il nome di Gioia del Colle nel mondo: il vino primitivo DOP Gioia del Colle, la mozzarella fior di latte DOC Gioia del Colle e gli altri ottimi prodotti caseari, l’olio IGP di Gioia del Colle e, non può mancare, anche l’inimitabile zampino gioiese. A quest’ultima specialità tipica gioiese un tempo era dedicata annualmente una sagra paesana, che vedeva in Piazza Plebiscito la fattiva partecipazione in primo piano della famiglia Addabbo con i suoi gustosi prodotti da fornello.

In una brochure curata da Filippo Addabbo, che di seguito riporto integralmente, si condensa la filosofia che alimenta la sua passione di ristoratore  fuori dagli schemi tradizionali.

Casa Addabbo dal 1931. 

Casa Addabbo 1931. La cucina del ritorno

La cucina del ritorno

è quella dei nostri Progenitori, quella che appartiene alla Terra Madre dalla quale ci siamo allontanati come figli prodighi alla ricerca di fortune improbabili e mai raggiunte, alla quale torniamo con umiltà, pentimento e voglia di appartenenza. È la stessa che si percepiva nei vicoli dei centri storici, che ti si appiccicava addosso con i suoi profumi e che ti trasmetteva l’affetto e la semplicità della gente semplice e che nei giorni di festa era ancora più intensa a ragione del potersi riunire più tranquillamente intorno al focolare. Era il momento della modesta opulenza, della ricorrenza, mai dello spreco, mentre ” i conte du Tataranne” tenevano assorti i commensali, grandi e piccoli, e “li femmene menestravene”.

L’orgoglio  del “…e …ma come lo faccio io …” rivive nella nostra  ossequiosa  interpretazione delle eredità familiari.

Perché la nostra è una famiglia allargata ai Clienti, che vogliono sentirsi a casa e circondati da affetto.

Basta poco  a volersi bene.

© È consentito l’utilizzo del contenuto di questo articolo per soli fini non commerciali, citando la fonte ed il nome dell’autore.

Print Friendly, PDF & Email

20 Marzo 2022

  • Scuola di Politica

Inserisci qui il tuo Commento

Fai conoscere alla comunità la tua opinione per il post appena letto...

Per inserire un nuovo commento devi effettuare il Connettiti

- Attenzione : Per inserire commenti devi necessariamente essere registrato, se non lo sei la procedura di LOGIN ti consente di poter effettuare la registrazione istantanea.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.