La Scuola Enologica

La vocazione di Gioia per la coltivazione di vigneti, per la produzione di vino e in particolare di quello primativo è attestata da numerose fonti storiche. Dall’Apprezzo della Terra di Gioia del 1611, redatto dal tavolario Federico Pinto, apprendiamo che nella detta Terra di Gioja si fa abbondanza di vino e di molta bona qualità […]

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La vocazione di Gioia per la coltivazione di vigneti, per la produzione di vino e in particolare di quello primativo è attestata da numerose fonti storiche.

Dall’Apprezzo della Terra di Gioia del 1611, redatto dal tavolario Federico Pinto, apprendiamo che nella detta Terra di Gioja si fa abbondanza di vino e di molta bona qualità per le comode vigne che possedono detti cittadini. Tra le ‘Entrate Burgensatiche’ (quelle delle terre di piena e libera proprietà del feudatario, del barone, riportate nel detto Apprezzo) troviamo quelle provenienti dalle vigne, che ammontavano a 30 ducati.

Nell’Apprezzo di Gioia del 1640 di Honofrio Tangho si dice: In detti territori …. Sono seminatori, pascolatori, vigne, giardini, hortalizi …. In essi si fanno vini bianchi, rossi d’ogni sorta, le quali sono sufficienti per comodità de cittadini … L’Università di detta Terra tiene d’introito docati 4000 incirca. Le quali provengono da …. dazio del vino del minuto…. gabella del vino mosto …

Dal Catasto onciario di Gioia del 1750 apprendiamo che il 68% della popolazione gioiese era composto da braccianti, che possedevano una casa e un piccolo appezzamento di terreno, in genere coltivato a vigneto.         

Secondo l’inchiesta parlamentare del 1909 di Enrico Presutti su Le condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, delle cinque zone nelle quali il territorio della provincia di Bari poteva suddividersi,  Gioia del Colle era compresa nella “zona delle vigne”.

Spetta al canonico gioiese Francesco Filippo Indellicati (1767- 1831) il merito di aver impiantato a Gioia il primo vitigno di primitivo alla fine del ‘700, anche se si suppone che già nei secoli VIII-III a. C. nel territorio nei dintorni di Gioia si producesse vino, come farebbe pensare il ritrovamento di numerosi contenitori in argilla, destinati a contenere vino, ritrovati nell’antico sito peuceta di Monte Sannace,  a 5 Km. da Gioia.

Dell’Indellicati sappiamo che nacque a Gioia del Colle nel 1767, che era un uomo di grande cultura, un appassionato studioso di botanica e di agronomia e che divenne primicerio del capitolo della Chiesa Madre di Gioia. Morì a Gioia del Colle nel 1831 e fu sepolto nel locale cimitero. Rientrando nelle sue disponibilità alcuni appezzamenti di terra e, in seguito agli studi, osservazioni e ricerche che effettuò su queste sue proprietà, si accorse che alcuni vitigni avevano un germogliamento tardivo rispetto agli altri, la qualcosa permetteva di limitare i danni conseguenti alle gelate primaverili, molto frequenti in queste zone. Poiché l’Indellicati si rese conto che l’uva di quei ceppi maturava con notevole anticipo rispetto agli altri vitigni sembra che abbia lui stesso coniato il termine ‘ primativo ‘ o ‘ primaticcio ‘, derivato dal latino primativus.

Dopo i primi esperimenti l’Indellicati selezionò alcune ‘marze‘, mise in coltura a primitivo altri ettari di sue terre.

Dal suo primo impianto il primitivo ha riscosso un enorme successo tanto che la sua coltivazione si è diffusa rapidamente  non solo nel territorio di Gioia, ma anche nei paesi limitrofi dopo pochi decenni.
Numerose sono le motivazione del successo e della diffusione del primitivo. Oltre al ritardo del germogliamento che evitava i danni delle gelate primaverili e all’accennata maturazione precoce di tale vitigno, che permetteva di effettuare il raccolto sempre prima delle piogge o delle disastrose brinate e gelature autunnali,  che erano in grado di rovinare il raccolto, non trascurabile era anche la possibilità di effettuare due vendemmie, una  alla fine di agosto e l’altra alla fine di settembre, riuscendo ad ottenere due tipi di vini, piuttosto diversi: più potente, strutturato e complesso il frutto della prima vendemmia, mentre più fresco, beverino e simile ad un rosato il secondo.

Inoltre un grande impulso alla coltivazione del primitivo è venuto dal fatto che il vitigno, per il suo portamento modesto non richiede grandi quantità di acqua e attecchisce felicemente nei terreni collinari poco profondi e anche rocciosi, adattandosi ottimamente alle condizioni pedo-climatiche del territorio di Gioia e dei paesi limitrofi, la qualcosa fa registrare una produzione di uve che danno origine a vini rossi corposi. Tali vini, poiché raggiungono un elevato grado alcolico, garantiscono una buona remunerazione, la quale è proporzionata alla gradazione raggiunta dal vino.

Il suo elevato grado alcolico ha permesso altresì una buona commercializzazione del primitivo gioiese, che è stato esportato sia nell’Italia settentrionale che in Francia e in altre nazioni per essere utilizzato come vino da taglio di quegli industriali vinicoli per poter alzare il valore alcolico del loro prodotto o per produrre varianti come spumanti e champagne.

In passato, visto che nell’economia dei gioiesi la produzione di uva e la sua trasformazione in vino costituiva una fonte importante di vita e di introiti, le Amministrazioni comunali hanno dato grande importanza alla formazione e preparazione di tecnici nel settore della viticultura e della vinificazione. 

Si avvertiva, da parte dei produttori di vino, la necessità di conoscenze e di istruzione per migliorare sia la coltivazione delle viti sia la produzione dei vini eccellenti in grado di conquistare nuovi mercati e garantirsi la vendita anche Oltralpe.

Durante la seduta consiliare del 30 ottobre 1876 il consigliere Candido Minei, considerando che la Scuola tecnica era risultata un fallimento, propone  di impiantare a Gioia una Scuola Enologica tecnico-pratica, alla luce del fatto che la coltivazione della vite nel territorio di Gioia era molto sviluppata.

Nella seduta consiliare del 26 giugno 1879 il sindaco Vincenzo Castellaneta porta a conoscenza dei consiglieri che la Deputazione Provinciale aveva in mente di impiantare a Gioia  una Scuola Agraria, essendo stata abolita quella operante ad Altamura. Il Consiglio approva la proposta manifestando la disponibilità a mettere a servizio della futura Scuola non solo alcuni locali dell’ex Convento di S. Francesco con l’adiacente giardino, ma  anche un terreno di circa 40 ettari nella tenuta comunale Terra di Mezzo, da utilizzare come campo sperimentale scolastico.

Il Consiglio Provinciale, accolse la proposta  avanzata  dal nostro concittadino Daniele Petrera, nella sua qualità di consigliere, e  il 16 marzo 1880 delibera di partecipare ad un consorzio, tra il nostro Comune, la Provincia, la Camera di Commercio di Bari ed eventualmente con il Governo, per l’impianto a Gioja  di una Scuola Enologica. Tale proposta trova favorevole accoglienza nel Consiglio comunale del 16 novembre 1880. 

Egli aveva avanzato la proposta di fondare a Gioia una Scuola la quale richiami i nostri vini a quell’altezza e a quel prestigio cui hanno buon diritto di pretendere.

Anche il Comitato agrario osservò che, dovendo la Puglia puntare più che mai alla cultura della vite per sopperire alle perdite causate negli altri comparti produttivi dalla concorrenza straniera, le scuole pratiche di viticoltura ed enologia erano indispensabili per produrre buoni vitigni con coltivazione razionale … e con poche qualità di uve tra cui, appunto, spiccava il cosiddetto primitivo di Gioia.

Il consigliere Vito De Bellis, che insieme al dott. Daniele Petrera faceva parte del Consiglio Provinciale, nella seduta del 22 ottobre 1882 espone ai consiglieri gioiesi le quattro condizioni che aveva  concordato con le Autorità Provinciali per l’istituzione in Gioja di una Scuola Enologica, che furono approvate dal Consiglio:

1-Spese d’impianto L.7000, delle quali L. 4000 a carico della Provincia, L.2000 a carico della Camera di Commercio e L.1000 sarebbero state a carico del Comune.

2-Spese annuali L. 10.000, delle quali L. 4000 a carico della Provincia, L. 3000 a carico  della Camera di Commercio e L. 3000 a carico del Comune.

3-Il Comune di Gioja avrebbe dovuto fornire 8 tomoli di terreno, una cantina con suppellettile, due aule da adibire a scuola, l’ufficio e l’alloggio per il Direttore.

4-Il vino che si sarebbe prodotto nel suddetto terreno sarebbe andato a favore del Comune.

Circa un anno dopo, e precisamente il 22 settembre 1883, il Consiglio nomina l’avv. Giuseppe Giove e il dott. Angelo Michele Diomede come delegati comunali, i quali, insieme ai delegati della Deputazione Provinciale e di quelli della Camera di Commercio, nella apposita Commissione avrebbero dovuto elaborare lo Statuto della Scuola Enologica.

Nel 1883 si decide di procedere all’impianto di una Scuola di Viticultura ed Enologia a Gioia, secondo il programma esposto in una densa relazione al Consiglio Provinciale di Bari, letta il 1880 dal nostro concittadino, il deputato Daniele Petrera. 

Lo Statuto, approvato dal Consiglio comunale il 7 agosto  1884, stabiliva come scopi dell’istituenda Scuola Enologica istruire i giovani contadini nella buona pratica della viticultura, insegnare, attuare e rendere popolari i migliori processi di vinificazione e conservazione dei vini, istruire i giovani provenienti dalle scuole tecniche, per renderli adatti a condurre e migliorare sia le proprie che le altrui vigne, sia la propria che l’altrui industria vinifera, ridurre gradatamente e nella cerchia dei propri mezzi a tipi commerciali costanti le diverse qualità di vini esistenti nella nostra regione. Il corso, destinato a giovani di età superiore ai 15 anni e dotati di licenza elementare o tecnica, ai  figli di piccoli proprietari, coloni e artigiani che intendono diventare buoni viticultori e cantinieri, avrebbe avuto una durata di 4 anni e contemplava un indirizzo eminentemente tecnico-pratico, grazie all’impianto di una cantina sperimentale e di un piccolo podere –modello preso in fitto dal Comune, e grazie alla possibilità di condurre esercitazioni nel grande stabilimento vinicolo del notabile gioiese Vito De Bellis, divenuto per altro Presidente del Comitato Consortile responsabile dell’amministrazione dell’Istituto.

Per l’apertura della stessa bisognerà attendere ancora qualche anno.

Il 27 giugno 1885 il Consiglio approva il preventivo dell’architetto Cristoforo Pinto per adattare a sede della Scuola Enologica alcuni locali del Convento di S. Francesco. il 18 dicembre 1885 i Decurioni ( Consiglieri comunali) deliberano sulla proposta perché la Scuola Enologica diventi governativa.

Affidata la direzione al prof.  G. Tripodi, diplomato a Conegliano, la scuola inizia a funzionare con 18 alunni nel gennaio 1886, dopo aver atteso invano il sussidio del Maic, negato con la motivazione che il Ministero aveva deciso irrevocabilmente di limitare a sei le scuole enologiche esistenti in Italia e che quella di Gioia per i requisiti (bassi) di ammissione richiesti agli alunni, si discostava  assai da quanto si richiede per le scuole enologiche governative  e perciò si doveva accontentare di formare  un buon personale tecnico subalterno. Ciò nonostante la scuola nei primi anni funziona discretamente, soprattutto grazie alla possibilità offerta agli alunni di prestare lavoro presso i poderi e cantine private.  Il fatto, però, che l’enologo Tripodi diventasse poco dopo direttore anche del più importante stabilimento vinicolo locale (quello del citato De Bellis), stava a testimoniare del mancato decollo dell’istituto come scuola agricola e la sua tendenziale trasformazione in un ufficio di collocamento al servizio dei grandi produttori di vino del luogo.

Il 18 marzo 1886 il Comune delibera di prendere in fitto per quattro anni una vigna che produceva già vino primitivo, ad uso della Scuola Enologica.

La Scuola enologica di Gioia, a seguito del repentino tracollo dell’industria vinicola locale, perde qualsiasi giustificazione ed utilità anche agli occhi dello stesso Consiglio comunale gioiese, rivoltatosi contro i paladini politici dell’istituto, dopo un cambio di maggioranza verificatosi alla fine degli anni ’80.

Agli inizi del quarto anno di corso degli studi, e precisamente il 6 febbraio 1890, il Consiglio comunale è convocato per discutere la proposta di scioglimento del Consorzio della Scuola Enologica e di invertire il concorso del Comune a favore dell’impianto di una Scuola secondaria.

L’assessore dott. Angelo Diomede, a conoscenza delle condizioni della Scuola, poiché aveva fatto parte della Commissione che aveva compilato lo Statuto, dopo aver sottolineato gli scopi presenti nello Statuto, fa presente che il Direttore della Scuola aveva fatto notare alla Commissione Consortile la necessità che, per ottenere  migliori risultati, occorresse dare all’insegnamento un carattere generalizzato all’agraria, con particolare specializzazione per la viticoltura e l’enologia. Così facendo, gli allievi, al termine del corso di studi, avrebbero acquisito un corredo di  conoscenze tecnico-pratiche generali che avrebbero loro permesso di esercitare l’agricoltura con un indirizzo razionale, per poter tener testa alla concorrenza dei prodotti esteri.

Per questo motivo le iscrizioni non erano decollate, come si pensava. Il primo anno  si iscrissero 20 alunni, di cui solo 7 di Gioia; il secondo anno si iscrissero solo tre alunni, nessuno di Gioia; il terzo anno gli iscritti furono solo due, nessuno dei quali era di Gioia; al quarto anno si iscrissero solo 4 alunni.  Alla fine dei quattro anni ottennero la licenza solamente 8 alunni, dei quali solo uno era di Gioia, Nico Filippo.

L'assessore riferisce che la Scuola fu visitata da tre Ispettori del Ministero, che espressero elogi e che fruì di un sussidio ministeriale di L. 500 nel 1889.

Lo Statuto prevedeva che gli alunni potessero prestare la loro opera nei poderi e nelle cantine di privati cittadini, dietro corresponsione di un compenso, che sarebbe andato a favore della Scuola.

Nel 1888 erano state prestate all’esterno 231 giornate di lavoro, nel 1889 queste si ridussero a 164.

La Scuola garantiva esercitazioni pratiche da cantina presso lo Stabilimento vinicolo Vito De Bellis & C. Il personale scolastico aveva offerto consulenze gratuite agli agricoltori, specialmente durante la diffusione della peronospera del 1889 ed analisi gratuite sui mosti, sui vini sulle terre, sui concimi. A fronte di questi dati  l'assessore riferisce che, al netto degli adattamenti e dei restauri per la sede, ammontanti ad oltre L.15.000, il passivo annuo per il Comune ammonta a L. 4100. Per tali motivi l’assessore Diomede si dichiara favorevole  allo scioglimento della Scuola Enologica.

Nonostante la proposta del cav. Marcellino Cassano, che chiedeva di rivivificare e riformare la Scuola, correggendone  gli inconvenienti, onde potesse giovare alla numerosa quanto benemerita e trascurata classe agricola, il Consiglio approva l’abolizione della Scuola.

La comunicazione  di tale decisione agli altri due membri del Consorzio, Camera di Commercio e Amministrazione Provinciale, che chiedevano di rivedere questa scelta, portò alla riconvocazione del Consiglio comunale il 28 novembre 1893.

In quella seduta il consigliere comunale avv. Bruno Berardino, nella sua qualità di Delegato comunale nel Consorzio della Scuola Enologica, lesse la  seguente relazione: La esperienza di due anni … mi rendono desolato dell’oggi, scettico del domani. Una scuola che non ha scopo, una scuola perseguitata dalla pubblica sfiducia, non ha ragione di essere, ed è colpa per chi permette che per essa sia spesa 20 mila lire all’anno, sottraendole ad altri organismi più utili.

Tutti gli sforzi compiuti per mutarne, migliorarne le sorti, tutta la particolare diligenza dei Sigg. Paolo Cassano, Patroni Griffi De Laurentis, del Comm. Petrera, del Cav. Netti, del Cav. Eramo ed altri volenterosi e valorosi, a nulla sono valsi!  A nulla sono approdati tutti gli sforzi per racimolare alunni, ad onta dei migliori e maggiori vantaggi ai medesimi promessi.

E, come se tante e tante iatture non bastassero, aggiungasi che la Camera di Commercio e la Provincia istessa, le quali tanto cattivo viso fecero ai voti di chiusura della Scuola deliberati da questo Consiglio, da quattro anni, la prima, da 9 mesi la seconda, hanno sospeso i loro pagamenti; e solo il nostro Municipio, primo a sollevar la voce contro questo danaro sì malamente speso, ha continuato puntualmente ad assolvere i propri impegni!  E, al discredito, lo scandalo; la Scuola pur sussidiata da tre Enti, vien ora tratta in giudizio per mensili sin da marzo non pagati agl’Insegnanti, e minacciata di altrettanto da impiegati e fornitori di merci.

E’ più che tempo, oramai, che il Consiglio dica una parola decisiva. Innanzi a noi abbiamo un organismo nato imperfetto, cresciuto viziato, ora in dissoluzione, e quindi vediamo gli Enti che gli diedero vita, disgustati,  perfino a schivarne il ricordo; Commissari incaricati di sorvegliarlo, sfiduciati dell’opera loro, tentare onorata ritirata; insegnanti, che pur dovrebbero esser lieti del loro posto, invocare, quasi vergognosi della loro posizione, una qualunque soluzione; pubblico sconfortato, negare qualsiasi incoraggiamento, e perfino la carità di alunni, che vadano se non altro a sfamarsi; un insieme, insomma, di vergogne e d’insuccessi; dalla mancanza di fondi a quella di alunni, dalle discussioni in giudizio, a quelle in Consessi amministrativi … Quali le cause di tanto sfacelo? Non saprei precisarvelo! … Noi abbiamo buttato sin oggi circa 50 mila lire per un’istruzione che non può vivere e non abbiamo una scuola secondaria tanto necessaria e reclamata da tutta la popolazione.

Signori, il Consigliere della Camera di Commercio, sig. Malcangi, nella tornata di quel Consesso del 17 maggio 1890, sulla proposta di questo Municipio di sciogliere la Scuola, diceva: “E’ strano, incivile, antipatriottica una simile determinazione; se quella scuola presenta dei difetti, bisogna studiarne i rimedi per renderla utile al suo fine e rialzarla nella stima, ma non abolirla. Il municipio di Gioja, ciò deliberando, ha mostrato di non comprendere che le istituzioni di qualunque natura, non possono, nel periodo di giovinezza, dare quei risultati pratici, a cui son destinate”.

Ed il Municipio di Gioja, che tacque allora, risponde oggi al Sig. Malcangi con la eloquenza dei fatti, di fronte alla eloquenza delle parole …

A conclusione della sua relazione il consigliere Bruno  ripropone la chiusura della Scuola, che viene votata favorevolmente dal Consiglio comunale.

Diverse le cause del fallimento della Scuola. Alcune le abbiamo citate, riportando le perplessità del Direttore, come quella che era nata male, senza le necessarie risorse occorrenti per un buon funzionamento  e il fatto di non avere pensato ad istituire una Scuola agraria generale più completa, con specializzazione enologica.  Un ruolo importante, però,  giocò la gestione antipedagogica della stessa, che prevedeva turni massacranti per gli allievi. Si iniziava con due ore di lezioni scolastiche dalle sei alle otto di mattina; si proseguiva alle nove con lavori manuali in campagna. Si tornava in paese al tramonto del sole e si tenevano altre due ore di lezioni scolastiche. Questi massacranti turni, in contrasto con le più elementari norme pedagogiche, di capacità di attenzione e di razionalizzazione dei tempi per una positiva applicazione e per un proficuo lavoro portarono gli allievi a disinteressarsi della Scuola e a non iscriversi alla stessa. Il loro duro lavoro manuale degli alunni nelle campagne godeva di un corrispettivo economico, ma questo veniva versato alla Scuola e neppure in parte spettava agli alunni!

Oggi più che mai, anche per il fatto che nel nostro territorio è molto sviluppata la coltivazione della vite, ed in particolare del primitivo, che è un prodotto DOP di alta qualità ed esportato in gran quantità nei paesi esteri, si avverte la necessità di una Scuola, che, come recitava lo  Statuto  della Scuola Enologica, approvato dal Consiglio comunale il 7 agosto  1884, possa  istruire i giovani  nella buona pratica della viticultura, insegnare, attuare e rendere popolari i migliori processi di vinificazione e conservazione dei vini, istruire i giovani provenienti dalle scuole tecniche, per renderli adatti a condurre e migliorare sia le proprie che le altrui vigne, sia la propria che l’altrui industria vinifera. 

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19 Aprile 2020

  • Scuola di Politica

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