La Cantina Sociale
Tra le eccellenze del territorio di Gioia c’è da annoverare il vino primitivo, la cui coltivazione si è diffusa nel nostro territorio sin dalla fine del XVIII secolo. I proprietari di terreni coltivati a vigneto di primitivo in passato erano soliti vinificare artigianalmente le proprie uve in apposite cantine e vendere la parte eccedente l’uso […]
Tra le eccellenze del territorio di Gioia c’è da annoverare il vino primitivo, la cui coltivazione si è diffusa nel nostro territorio sin dalla fine del XVIII secolo.
I proprietari di terreni coltivati a vigneto di primitivo in passato erano soliti vinificare artigianalmente le proprie uve in apposite cantine e vendere la parte eccedente l’uso personale al dettaglio o all’ingrosso ad acquirenti locali o forestieri.
A volte, quando la produzione era abbondante i produttori di vino si affidavano alla figura del mediatore per vendere a terzi la parte eccedente il proprio fabbisogno. Molto spesso grosse quantità di vino venivano comprate da società del Nord e utilizzate per aumentare il grado alcolico delle produzioni del settentrione d’Italia o, nel peggiore dei casi, per ‘ tagliare ‘ i vini francesi notoriamente portatori di una bassa gradazione alcolica, vini o spumanti che, una volta imbottigliati tornavano da noi per essere venduti a caro prezzo.
Prima della fine del secondo conflitto mondiale, precisamente nel 1942, alcuni produttori locali di vino si organizzano e danno vita ad una Cantina Sociale Cooperativa.
Le motivazioni che spinsero i produttori vitivinicoli gioiesi a costituire la Cantina Sociale erano molteplici:
– innanzitutto eliminare i numerosi passaggi che portavano alla lievitazione del costo del prodotto, i cui prezzi inizialmente erano bassi per gli agricoltori mentre i ricavi andavano in maniera consistente nelle tasche del venditore finale,
– la necessità di eliminare le speculazioni degli intermediari: mediatori, compratori, industriali, che portavano ad ottenere un prezzo non sempre remunerativo per i produttori,
– garantire al consumatore la certezza della provenienza della materia prima, la genuinità del prodotto e un prezzo accessibile per l’acquirente.
Attraverso una cooperativa come la Cantina Sociale si intendeva far associare i vari produttori del settore vitivinicolo perché vi conferissero le loro uve per trasformarle in vino, conservarlo e venderlo direttamente ai consumatori. Infatti la realtà associativa poteva garantire risparmi nell’acquisto di attrezzature per la produzione, la lavorazione, lo stoccaggio e la vendita del vino e fruire di altri piccoli introiti, attraverso il conferimento dei sottoprodotti del vino, come la vinaccia, il tartaro e la feccia, alle distillerie per l’ulteriore sfruttamento e la produzione di distillati o di concimi.
Per la buona riuscita dell’impresa cooperativa un elemento importante era costituito dalla presenza dell’enologo, figura indispensabile nel campo della lavorazione e della conservazione dei prodotti trasformati e da trasformare e per conferire al vino quel giusto tono rispondente al gusto dei consumatori.
In passato, visto che nell’economia dei gioiesi la produzione di uva e la sua trasformazione in vino costituiva una fonte importante di vita e di introiti, le Amministrazioni comunali hanno dato grande importanza alla formazione e preparazione di tecnici nel settore della viticultura e della vinificazione. Risale infatti al 1876 la proposta del consigliere comunale dott. Candido Minei di impiantare a Gioia una Scuola Enologica tecnico-pratica.
Nel 1883 si decise di procedere all’impianto di una Scuola di Viticultura ed Enologia a Gioia secondo il programma esposto In una densa relazione al Consiglio provinciale di Bari, letta il 1880 dal nostro concittadino, il deputato Daniele Petrera. Egliaveva avanzato la proposta di fondare a Gioia una Scuola ‘ la quale richiami i nostri vini a quell’altezza e a quel prestigio cui hanno buon diritto di pretendere.
Anche il Comitato agrario osservò che dovendo la Puglia puntare più che mai alla cultura della vite per sopperire alle perdute causate negli altri comparti produttivi dalla concorrenza straniera, le scuole pratiche di viticoltura ed enologia erano indispensabili per produrre buoni vitigni con coltivazione razionale … e con poche qualità di uve ‘ tra cui, appunto, spiccava il cosiddetto primitivo di Gioia.
Viene approvata l’idea di una scuola consorziale che unisse il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio di Bari, il cui statuto, varato nel 1884, stabiliva come scopi del novello istituto istruire i giovani contadini nella pratica della viticultura, insegnare, attuare e rendere popolari i migliori processi di vinificazione e conservazione dei vini, istruire i giovani provenienti dalle scuole tecniche per renderli adatti a condurre e migliorare sia le proprie che le altrui vigne, ridurre gradatamente a tipi commerciali costanti le diverse qualità di vini esistenti nella regione. Il corso, destinato a giovani di età superiore ai 15 anni e dotati di licenza elementare o tecnica, figli di piccoli proprietari, coloni e artigiani che intendono diventare buoni viticultori e cantinieri, avrebbe avuto una durata di 2 anni e un indirizzo eminentemente tecnico-pratico, grazie all’impianto di una cantina sperimentale e di un piccolo podere –modello preso in fitto dal Comune, e grazie alla possibilità di condurre esercitazioni nel grande stabilimento vinicolo del notabile gioiese V. De Bellis, divenuto per altro Presidente del Comitato Consortile responsabile dell’amministrazione dell’istituto.
Per l’apertura della stessa bisognerà attendere ancora qualche anno. Affidata la direzione al prof. G. Tripodi, diplomato a Conegliano, la scuola inizia a funzionare con 18 alunni nel gennaio 1886, dopo aver atteso invano il sussidio del Maic, negato con la motivazione che il Ministero aveva deciso irrevocabilmente di limitare a sei le scuole enologiche esistenti in Italia e che quella di Gioia per i requisiti ( bassi ) di ammissione richiesti agli alunni, si ‘discostava assai da quanto si richiede per le scuole enologiche governative e perciò si doveva accontentare di formare un buon personale tecnico subalterno. Ciò nonostante la scuola nei primi anni funzionò discretamente, soprattutto grazie alla possibilità offerta agli alunni di prestare lavoro presso i poderi e cantine private. Il fatto, però, che l’enologo Tripodi diventasse poco dopo direttore anche del più importante stabilimento vinicolo locale ( quello del citato De Bellis ), stava a testimoniare del mancato decollo dell’istituto come scuola agricola e la sua tendenziale trasformazione in un ufficio di collocamento al servizio dei grandi produttori di vino del luogo. Nel 1888 erano state prestate all’esterno 231 ore di lavoro, nel1889 queste si ridussero a 164.
La Scuola enologica di Gioia, a seguito del repentino tracollo dell’industria vinicola locale, perse qualsiasi giustificazione ed utilità anche agli occhi dello stesso Consiglio comunale gioiese, rivoltatosi contro i paladini politici dell’istituto, dopo un cambio di maggioranza verificatosi alla fine degli anni ’80.
La Scuola Enologica, divenuta Consorzio per la partecipazione nella stessa insieme al Comune di Gioia anche di altri due Enti, la Camera di Commercio e l’Amministrazione Provinciale di Bari, nella riunione del Consiglio comunale del 28-11-1893 viene sciolta perché è una scuola che non ha scopo, una scuola perseguitata dalla pubblica sfiducia, non ha ragione di essere, ed è colpa per chi permette che per essa siano spesa 20 mila lire all’anno, sottraendole ad altri organismi più utili, come ebbe a dire il consigliere Bruno Berardino.
Diverse le cause del fallimento della Scuola; un ruolo importante giocò la gestione antipedagogica della stessa, che prevedeva turni massacranti per gli allievi. Si iniziava con due ore di lezioni scolastiche dalle sei alle otto di mattina; si proseguiva alle nove con lavori manuali in campagna. Si tornava in paese al tramonto del sole e si tenevano altre due ore di lezioni scolastiche. Questi massacranti turni, in contrasto con le più elementari norme pedagogiche, di capacità di attenzione e di controllo dei tempi per una positiva applicazione e per un proficuo lavoro portarono gli allievi a disinteressarsi della Scuola e a non iscriversi alla stessa.
L’enopolio sede della Cantina Sociale di Gioia, sorto su di un’area di circa mq. 10 mila, era fornito di una serie di attrezzature indispensabili per la trasformazione delle uve in vino. In primo luogo era dotato di un torchio per la pigiatura delle uve, della capacità di circa 3000 quintali, con relative macchine pigiadiraspatrici con aspiragraspi pneumatici per l’allontanamento dei graspi, nonché di pompe aspiratrici dalle vasche di fermentazione. Erano presenti anche altre attrezzature per la svinatura e la torchiatura delle vinacce fermentate e numerose vasche in cemento di varie capacità per la conservazione del vino.
L’obiettivo finale della cooperativa era quello di poter assorbire tutta la lavorazione delle uve prodotte nel nostro territorio, per poterle quindi lavorare, trasformare secondo il gusto del consumatore e rendere disponibile il prodotto finale, con un sistema di vendita ben organizzata.
Per poter giungere a questi obiettivi e far comprendere la bontà dell’iniziativa, tenuto conto della diffidenza per qualsiasi forma di associazionismo cooperativo, un ruolo importante avrebbero giocato sia la scuola che gli altri mezzi di propaganda, primi fra tutti la stampa, la radio e la televisione.
Verso la fine degli anni ’70 la Cantina sociale, oltre a vendere le diverse qualità di vino, rosso, rosato e bianco di diversa gradazione alcolica e in confezioni da litri 5, produceva del buon primitivo che era messo in commercio in bottiglie da litro e in confezioni regalo.
Qualche anno prima della sua chiusura accanto alla Cantina è stato impiantato anche un Oleificio Sociale allo scopo di valorizzare e commercializzare un altro prodotto della nostra terra: l’olio di oliva.
Con la crisi del settore vitivinicolo pugliese che portò ad un tardivo rimborso, da parte della Cantina Sociale,della somma corrispondente al valore dell’uva conferita, crebbe la sfiducia dei produttori, i quali cercarono di risolvere i loro problemi o abbandonando definitivamente l’esperienza cooperativa tornando alla gestione diretta della produzione e vendita di vino oppure all’estirpazione di vigneti, grazie agli aiuti comunitari.
E’ da sottolineare che Il Primitivo Gioia del Colle ha ottenuto il riconoscimento DOC con D.P.R. dell’11-5-1987, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23-10- 1987 n. 248.
E’ stato anche creato un Consorzio volontario per la tutela e valorizzazione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Gioia del Colle” che partecipa con proprio stand alle principali manifestazioni del settore, conseguendo brillanti riconoscimenti a livello internazionale.
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14 Luglio 2016