Ricordiamo Don Franco Di Maggio nel centenario della sua nascita.
Carissimi amici di gioiadelcolle.info, quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Franco Di Maggio, Arciprete che ha svolto una trentennale attività pastorale nella Chiesa Madre di Gioia. Penso che sia giusto che il sito lo ricordi in occasione di tale ricorrenza, con un articolo che ripercorre i momenti salienti della sua permanenza nel nostro paese, sperando che la Città di Gioia ricordi la […]
Carissimi amici di gioiadelcolle.info,
quest’anno ricorre il centenario della nascita di don Franco Di Maggio, Arciprete che ha svolto una trentennale attività pastorale nella Chiesa Madre di Gioia. Penso che sia giusto che il sito lo ricordi in occasione di tale ricorrenza, con un articolo che ripercorre i momenti salienti della sua permanenza nel nostro paese, sperando che la Città di Gioia ricordi la sua figura e la sua opera con qualche manifestazione commemorativa.
Franco Giannini
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di un personaggio che ha lasciato il segno nella vita religiosa e anche in quella politica del nostro Comune: Don Franco Di Maggio.
Nasce a Grumo Appula il 26-6-1909.
Viene ordinato sacerdote nel 1931.
Il suo arrivo a Gioia è legato agli avvenimenti susseguenti alla catastrofe causata dal crollo del campanile della Chiesa Madre, caduto il 22 febbraio 1942, che provoca anche il crollo dell’ala destra della Chiesa, e di una parte della casa canonica.
I fedeli e il clero desideravano la riedificazione di quanto la natura aveva distrutto, ma le misere condizioni del paese, coinvolto nelle tristi sorti della guerra e dell’ immediato dopoguerra e la malvagità degli uomini, che inveirono contro la Chiesa e contro l’arciprete don Luigi Tosco, sembravano voler dilazionare tale realizzazione. Infatti, anche perché avvilito e spezzato da tanta cattiveria, improvvisamente il 12 maggio 1949 don Luigi Tosco passava a miglior vita.
Il 6 novembre 1949 l’Arcivescovo di Bari, mons. Marcello Mimmi, dopo breve incarico ad un altro sacerdote, insedia don Franco Di Maggio come arciprete della Chiesa Madre, il quale viene accolto con entusiasmo dalla popolazione gioiese.
Per nulla scoraggiato per il cumulo di macerie che trovava e per l’immane lavoro che lo attendeva per ricostruire la parrocchia sia dal punto di vista materiale che da quello spirituale, il nuovo arciprete si immerge con febbrile ed instancabile tenacia in un’impresa che si presentava piena di rischi e di incognite.
Don Michele Buttiglione, il 19 settembre 1956, così ricorda i primi anni di attività e il febbrile impegno civile di don Franco Di Maggio a Gioia, in occasione del suo 25° anniversario di sacerdozio: ” Dopo la catastrofe del campanile, caduto il 22 febbraio 1942, che provocò il crollo dell’ala destra della Chiesa, della sacrestia e parte della casa canonica, si desiderava la presenza di un uomo che avesse riedificato ciò che le sorti della natura avevano demolito. La malvagità degli uomini nello spazio di tempo che intercorse dalla cadut del campanile alla venuta dei fratelli Di Maggio non trascurò d’inveire contro la Chiesa e il povero don Tosco che, il 12 maggio 1949, moriva avvilito e spezzato da tanta cattiveria!
Il Signore, nella Sua Misericordia, inviò il Reverendo Don Franco Di Maggio. Il 6 novembre 1949, egli era tra noi accolto con entusiasmo. La sua opera, a distanza di pochi anni, è sembrata un miracolo della Provvidenza. Il giorno dell’Immacolata, 8 dicembre 1949, già si erigeva l’impalcatura per la demolizione dei muri penzolanti. A primavera del 1950 fece rifare, con pietra lavorata, l’antistante dell’ingresso principale della Chiesa. Il 27 giugno dello stesso anno s’iniziarono i lavori di ricostruzione del Cappellone di San Filippo, scendendo nelle fondamenta alla profondità di oltre 5 metri. L’Epifania del 1951 si completava il rustico del Cappellone e del grande salone, sorto sulle macerie della sacrestia e della canonica diroccata. Il settembre dello stesso anno sopraelevamento della nuova casa canonica, rifinitura del Cappellone, del salone e dei nuovi locali. Il 6 novembre 1952 inaugurazione del salone e della nuova canonica, con l’intervento di Sua Eminenza il Cardinale Marcello Mimmi, che approfittava dell’occasione per salutarsi dai cittadini gioiesi, destinato a nuova sede.
Ricordo che in tale circostanza Sua Eminenza osò pronunziare una frase fatidica: ” Don Franco Di Maggio pianterà la Croce sul campanile ricostruito!”. A distanza di qualche mese è la volta della pavimentazione fatta di marmo di Carrara. La vigilia di Natale del 1953 si riportava nella chiesa, rifatta anche nella sua pavimentazione e attraverso due file di nuovi di banchi di faggio evaporato di Slavonia, Gesù Eucaristia in forma privata ma commovente. Nello stesso tempo venivano rifatte le due porte laterali in rovere. Il Sabato delle Palme dell’anno successivo, la Chiesa aveva la rivestitura con lo zoccolo in marmo portoro; ed anche la porta centrale in legno di rovere, uguale nella misura alle due laterali, aveva la sua sistemazione al posto della vecchia. Il Cappellone di San Filippo aveva il suo altare, più bello di quello di prima, cioè l’ex altare della Cattedrale di Bari, di stile barocco ed inventariato tra i monumenti delle opere d’arte. Il settembre dello stesso anno si riportava, così come oggi si può ammirare, l’atrio comprendente lo spazio del campanile crollato e residuato antistante alla nuova canonica, con recinto, cancello e pavimento di lava di Vesuvio. Il 16 luglio 1954 l’Arciprete lanciava pubblicamente l’idea di un nuovo impianto luce e l’8 dicembre, chiusura dell’Anno Mariano, quale omaggio alla Vergine Immacolata, alla presenza di molte personalità, veniva inaugurato il complesso dei nuovi lampadari di gemme di Boemia e il nuovo impianto radiofonico.
Il 16 luglio 1955 l’Arciprete si salutava per partire oltre Oceano, per iniziare la raccolta di fondi per i nuovi Organi e la decorazione del Cappellone. Il 16 luglio 1956 gli Organi erano davanti alla Chiesa Madre e il Cappellone era già completo nella sua decorazione. Durante l’assenza del nostro Arciprete, dal 17 luglio al 25 ottobre 1955, la vecchia cantoria di legno fradicio e cadente veniva demolita e se ne costruiva una di cemento su colonne di cemento rivestite con zoccolo di marmo, armonizzante con tutto il complesso della Chiesa. Si faceva la controporta per togliere l’inconveniente della costruzione di un tamburo che avrebbe guastato l’estetica dell’ingresso togliendo la visuale allargata della nuova cantoria e delle due balaustre di marmo pregiato del Battistero e del Cappellone del Santissimo. Si portava in una condizione più decente e più conveniente l’ingresso della casa canonica con il nuovo pavimento a mosaico e la rivestitura di uno zoccolo di formical.
Tanto per chi non ricorda o non sa “.
L’opera febbrile di don Franco Di Maggio non trova sosta alcuna. Dopo questi primi e urgenti interventi di ricostruzione e di restauro della Chiesa Matrice il suo obiettivo è quello non solo di ricostruire il campanile, ma anche di andare incontro alle necessità della popolazione gioiese, che numerosa risiedeva nell’agro comunale, per consentire a quei fedeli di assolvere al precetto domenicale e festivo.
Porta a compimento, infatti, la ricostruzione del campanile che viene rifatto in cemento armato, grazie alle offerte dei fedeli, di gioiesi emigrati in America, con le offerte del popolo i contributi del Governo e del Comune.
Non solo ha voluto la riedificazione del campanile com’era, dov’era e quant’era, lo ha voluto rivestito di marmi e lo ha dotato di un concerto di 12 campane, fatte costruire in Olanda, azionate elettronicamente.
Nel 1958 viene istituita nel Comune di Gioia la frazione di Montursi. In questa contrada rurale nel 1959 don Di Maggio fa erigere una piccola Chiesa in onore di San Giuseppe Lavoratore ed istituisce la festa religiosa del 1° maggio, molto sentita dalla popolazione gioiese che in quel giorno festivo vi accorre numerosa, con la celebrazione della santa messa, la benedizione degli attrezzi agricoli e la distribuzione del pane di S. Giuseppe.
Nella contrada rurale di Monte Rotondo ( più noto come Monte Sannace ) ha ricostruito la casa parrocchiale alle spalle della Chiesa, corredando la struttura parrocchiale anche di un campo di calcio per i giovani. e ha avviato una prima ristrutturazione della Chiesa dell’Annunziata.
Gli ambienti ristrutturati sono utilizzati da giovani non solo di Gioia, ma anche di parrocchie di altri paesi, come sede estiva di campi scuola ed anche come luogo d’incontro durante alcuni momenti forti dell’anno liturgico.
Don Franco ha svolto anche il ruolo di responsabile delle pubbliche relazioni; viaggiava, tesseva i rapporti con gli emigrati in America, dove si recava spesso e da dove rientrava con le cospicue offerte degli emigrati gioiesi e pugliesi, ha compiuto viaggi missionari in Africa. Si è recato spesso a Firenze presso alcuni amici gioiellieri di Ponte Vecchio che gli donarono la corona d’oro e di pietre preziose per Maria Bambina ed una somma da utilizzare per l’acquisto di una delle campane per il nuovo campanile.
La sua attività non si ferma esclusivamente a raccogliere fondi per rendere sempre più accogliente la Chiesa Madre e i locali parrocchiali, come luogo di aggregazione sociale e religiosa di giovani e famiglie, ma la sua generosità è fissata anche sul marmo, che porta inciso il suo nome di benefattore a beneficio dell’Asilo Infantile De Deo di Gioia del Colle.
Sembrava un uomo dal carattere forte; in realtà era un uomo fragile, che attaccava nel timore di essere attaccato. In un periodo caratterizzato dal coinvolgimento dei cattolici nella vita politica nazionale e locale non ha disdegnato anche un certo impegno politico che lo ha visto partecipe, nell’ambito gioiese, alle scelte del partito di don Luigi Sturzo.
E in questa sua vulcanica attività gli ha fatto da spalla, almeno fino al giorno della sua morte, verificatasi improvvisamente il 23 ottobre 1966, il fratello minore, don Gaetano, che fungeva da vice parroco nella Chiesa Madre che lui curava in qualità di arciprete. Per molti don Franco era considerato ‘la mente’, mentre don Gaetano era considerato ‘ il braccio ‘.
Per tanti anni, a partire dal 1949, è andata avanti l’attività frenetica dei fratelli Di Maggio. Oltre ad aver ricostruito il Cappellone di S. Filippo hanno ristrutturato il Cappellone del Santissimo, che viene intitolato a Maria Bambina.
Per venire incontro alle pressanti richieste di don Franco l’Amministrazione comunale di Gioia in diversi momenti ha assecondato i suoi giusti propositi.
Il 12 ottobre 1957, infatti, il Commissario Prefettizio Emanuele Loperfido concede gratuitamente il terreno di proprietà comunale per la costruzione della chiesa parrocchiale in Contrada Montursi e a febbraio del 1959 stanzia un contributo di L. 300 mila per l’erigenda chiesa parrocchiale.
Nel 1959 don Di Maggio riprende l’idea del sacerdote gioiese don Sante Milano, che aveva proposto l’istituzione di una nuova parrocchia a Gioia. Per venire incontro alla popolazione residente nel borgo di San Vito, che dipendeva dalla Chiesa Matrice, don Di Maggio cedette un suolo appartenente alla sua parrocchia, sul quale l’Arcivescovo di Bari, mons. Enrico Nicodemo, eresse canonicamente San Vito come parrocchia.
Il 31 ottobre 1959 la Giunta comunale di Gioia stanzia un contributo di L.100 mila a favore della Parrocchia di Santa Maria Maggiore per la festa dell’incoronazione di Maria SS. Bambina, che si sarebbe svolta il 6 novembre, per fronteggiare le ingenti spese per l’acquisto della corona di diamanti, considerato che tale avvenimento era vivamente e particolarmente caro a tutta la popolazione gioiese.
Nel 1960 la Giunta comunale stanzia un contributo di due milioni di lire per l’erigendo campanile della Chiesa Matrice; nel 1961 uno stanziamento di L. 4.667.000 e il 18 gennaio 1962 la Giunta delibera il contributo alla Chiesa Madre per l’erigendo campanile, in L. 2.667.000.
Il Commissario Straordinario del Comune di Gioia, Giuseppe Ferorelli, con delibera n.100 del 21-8-1981, portando a compimento la volontà precedentemente espressa dal Consiglio comunale il 31 novembre 1979, concede a don Franco Di Maggio, in occasione del 30° anniversario della sua attività pastorale a Gioia, la cittadinanza onoraria, che gli viene ufficialmente conferita il 1- 9-1981 dal Sindaco Vito Tucci.
Durante il suo mandato pastorale a Gioia, come docente di religione presso il locale Liceo classico, ha formato numerose schiere di giovani e come sacerdote ha favorito lo sviluppo di vocazioni religiose non solo nella sua parrocchia, ma anche a livello locale, ha sviluppato l’associazionismo cattolico tra giovani e adulti e tra le diverse parrocchie. E’ stato tra i fautori della fondazione della FUCI ( Federazione Universitaria Cattolica Italiana) a Gioia del Colle.
Numerosi sono i giovani che si sono formati tra le mura della Chiesa Matrice. Tanti giovani sacerdoti della diocesi di Bari, tanti operai, impiegati e professionisti che oggi onorano Gioia si sono formati nelle mura della Chiesa Matrice, attraverso l’opera pastorale e le attività svolte in parrocchia, sotto la guida di don Di Maggio.
In ricordo del fratello Gaetano, morto prematuramente ed improvvisamente nell’adempimento del suo servizio pastorale, don Franco ha offerto un lascito per una borsa di studio ad un alunno meritevole della Scuola Media Carano di Gioia.
A Gioia del Colle don Franco Di Maggio resta come arciprete dal 1949 al 1979. Il 19 settembre del 1979, in occasione del 48° anniversario della sua consacrazione sacerdotale, qualche giorno prima del suo commiato dalla comunità che aveva fino ad allora guidato, rivolse queste parole ai suoi parrocchiani:
Carissimi, con profonda umiltà, oggi, celebro l’inno di lode al Signore. La vita, da me accettata e consegnata, con la consacrazione sacerdotale, a Dio e alla Chiesa, mi ha portato a vivere tra voi e per voi l’esperienza della paternità, meta e aspirazione di ogni uomo, ma, in maniera unica, di ogni prete. Una paternità ricca di relazioni umane, di amicizia, di affetto; una paternità piena di comunione spirituale, generatrice di solidarietà nella fede e nella speranza. La paternità ha dato senso e forza ai miei trent’anni di vita fra voi. Questa paternità, assunta in tutta responsabilità e gioia, mi ha fatto ardire e realizzare quelle piccole o grandi cose che la Provvidenza indicava. Quante lotte e quante speranze! quante amarezze e quante gioie! quanto dolore e quanto amore! tutti momenti essenziali e sublimi in cui quella paternità si esprimeva e si ingigantiva trascinando tutto il mio essere. Ma la consapevolezza che questa paternità doveva essere segno e manifestazione dell’unica grande Paternità di Dio mi ha portato anche a sentirmi, con voi, fratello, limitato, bisognoso dello stesso amore e dello stesso perdono.
Oggi è viva in me la memoria dei miei peccati e il desiderio di ricevere, in questo inno di lode, il perdono di Dio e di tutti voi. E mentre s’eleva la lode al Signore, nel mio animo i sentimenti si affollano. È bello credere e poter, ogni giorno, dire Padre nostro … È grande amare e poter, ogni giorno, sentirsi fratello dell’uomo che si incontra! È cosa stupenda sperare e scoprire la ricchezza e la forza del nostro vivere quotidiano!
Carissimi, è il Vangelo che ci insegna queste cose, è l’Eucarestia che ci fa vivere queste realtà: non abbandonate il Vangelo non allontanatevi dall’Eucarestia cercate sempre Cristo. Mettiamo la nostra mano nella mano di Colui, che conosce ogni nostra afflizione, ogni nostro pensiero, ed Egli sarà il nostro consolatore, il nostro compagno di viaggio, il nostro tutto.
La vita batte i suoi tempi e scandisce le sue separazioni, ma Cristo rimane, Lui solo ci riunisce con una perenne fedeltà. al di là del tempo e dello spazio. Così l’inno di lode assume anche la forza di un saluto.
Vennero, in questo momento, la memoria dei miei carissimi genitori, dell’indimenticabile don Di Maggio e fratelli, tutti da qui chiamati alla casa del Padre: sostegno nel mio cammino; ricordo, commosso, quanti moltissimi, hanno vivificato con la loro testimonianza e generosità la nostra Comunità, in particolare don Vito Palumbo; mi inchino dinanzi ai malati e agli anziani; innalzo le mani per i bambini, le famiglie, i giovani e gli operai, responsabili di un mondo che aspetta l’amore; tutti abbraccio nel medesimo inno di lode, ora divenuto un coro di voci.
O Signore onnipotente e misericordioso grazie Tu solo sei grande, Tu solo sei Santo! Nella tua volontà troviamo la nostra pace: continua i benefici della tua bontà su tutti, in particolare su Colui che Tu hai scelto a guidare questa Comunità.
O Maria, Tu che hai portato il Cristo, alla tua materna intercessione affidiamo ora e sempre questo inno di lode. Amen.
don Franco
Nell’ottobre del 1979, ormai settantenne, chiede l’esonero e passa il testimone a don Mimì Padovano, futuro vescovo di Monopoli, ritirandosi a vita privata a Cassano. Subito dopo, però, l’Arcivescovo di Bari, S. E. Mariano Magrassi, lo chiama come collaboratore presso la Curia Arcivescovile. Lì resta sulla breccia e lì termina il suo lungo e faticoso percorso terreno, speso nel servizio apostolico, il 30 agosto del 1996.
In occasione del trigesimo della sua morte è stata apposta una targa marmorea accanto alla porta d’ingresso del campanile, con la seguente iscrizione: A Monsignor Franco Di Maggio Arciprete dal 1949 al 1979 ” Evangelizzatore attento e tenace fondatore ” 30-9-1996 Trigesimo della morte.
TESTAMENTO SPITITUALE DI DON DI MAGGIO
Voglio morire nella Santa fede Cattolica Apostolica Romana, quella fede che ho sempre professato, che ho succhiato con il latte materno e che ho sempre predicato nel mio breve apostolato Sacerdotale.
Un inno di lode a Dio Padre che mi ha creato e mi ha voluto Sacerdote; a Dio Figlio che, con il suo Sangue prezioso, mi ha redento e mi ha aperto la strada della vera pace; a Dio Spirito Santo che mi ha Santificato illuminandomi sulla vanità delle cose di quaggiù e sulla preziosità del mondo che viene.
Voglio morire recitando, come mio fratello Nanuccio, il Credo: “ Credo in un solo Dio …”, nella ferma convinzione che “ mio Padre è Dio ed io sono suo figlio “.
Mi sono presenti, in questo passaggio estremo, i miei genitori, umili lavoratori di campagna, i miei fratelli e le mie sorelle: tutta la mia famiglia nel cui seno è nata e si è maturata la mia vocazione al Sacerdozio.
O vocazione meravigliosa, sublime per cui un insignificante uomo della terra viene elevato alla dignità di rappresentante di Dio: dispensatore della Parola e canale di grazia. Dopo Dio il Sacerdote è tutto!
Il mio pensiero va alla Messa del Fanciullo in Cattedrale a Bari dove ho potuto fare la mia prima esperienza sacerdotale con il canto e la Parola.
Quanto sono belle le anime semplici dei bambini!
Come era commovente vedere una Cattedrale piena di cuori puri e di speranze per la Chiesa. L’ho potuto constatare, dopo 48 anni, di ritorno a Bari nell’ultimo periodo della mia vita: non più bambini ma persone adulte e mature.
Va il mio animo grato e devoto a tutti, senza eccezione, gli ex alunni del Liceo “ Orazio Flacco “ incontrati nei miei 20 anni di insegnamento di religione. Quanta ricchezza, o Signore! Li tengo presenti, uno per uno, nei vari posti di lavoro e li benedico.
Ma in modo particolare e con infinita tenerezza, il cuore va alla Parrocchia “ Santa Maria Maggiore “ in Gioia del Colle dal momento in cui dovetti accettarla come dolce peso di obbedienza al momento in cui, riconoscendo un’instabile stato di salute ma principalmente amando sempre più una crescita comunitaria, dovetti non spiritualmente ma fisicamente lasciarla. E’ stata una pena indicibile! Ma l’ho offerta per il bene di tutte le anime della Comunità di Gioia del Colle.
Solo Dio sa quanto mi è costato il distacco.
Voglio morire con il ricordo di tutti, benedicendo tutti, chiedendo perdono a tutti: quanti mi sono stati testimoni di gioie e di dolori.
La Madonna Bambina mi assista, mi protegga, mi aiuti quando sarò solo nel lasciare questo mondo.
“ A Te o Signore, affido il mio Spirito “.
“ Ricordati, o Signore del tuo Amore, della tua fedeltà che è da sempre. Non ricordare i peccati della mia giovinezza: ricordati di me nella Tua misericordia, per la tua bontà, Signore “ ( Sal. 24, 6-7 ) Amen.
“ … Siamo figli di Dio. E se figli eredi, coeredi di Cristo, eredi di Dio “ ( Rm. 8,17 ).
Sul volantino che riporta il suo Testamento Spirituale di don Franco Di Maggio è riportato anche il seguente scritto, datato 5 luglio, La Scala ( Noci): Al diletto mio fratello nel Sacerdozio, Dorino
Dopo aver meditato a lungo in questi Santi Spirituali Esercizi sull’ ” Amicizia vera, perfetta, salda ed eterna, che l’invidia non intacca, il sospetto non sminuisce, l’ambizione non riesce a rompere ” (vedi volume III Liturgia delle ore pag. 376 – Beato Aelredo – Sull’amicizia tra Gionata e David) e dopo averne parlato ed ottenuto la Benedizione dal Confessore Mons. Forzoni rivolgo a te, caro Dorino, il mio pensiero, tutto il mio cuore.
Voglio affidare a te – in piena ed assoluta libertà di coscienza – l’attuazione (dopo che sarò passato da questo mondo all’altro) che hanno animato il mio sacerdozio in questa vicenda terrena.
Sono nato povero, ho conosciuto la fame specialmente durante la prima guerra mondiale, in una famiglia numerosa; ho dovuto pensare da me a pagarmi negli ultimi due anni la retta del Seminario perché il mio povero babbo doveva prima e giustamente pensare a sei fratelli e sorelle più piccoli di me.
Ho accettato la povertà nella mia infanzia come ho accettato, ora, la realtà di essere vecchio ” nell’incomprensibile deformazione dell’uomo ” ( Carretto ” Padre mio mi abbandono a Te ” p. 44); ho accettato l’esperienza di una parrocchia povera, dimezzata, indebitata, rifiutata, come l’esperienza – dopo 30 anni – lacerante del distacco dalla stessa Parrocchia rinnovata e rimessa a nuovo.
Ora mi presento al Signore!
Amo i poveri, i bambini, i vecchi! Ricordo ed amo la Parrocchia dove sono stato battezzato; la Parrocchia di Maria SS. di Monteverde, in Grumo Appula per la cui devozione ha lavorato mio padre; la parrocchia di San Vito Martire in Gioia del Colle, da me desiderata, rifinita e portata innanzi fino al riconoscimento civile, ma soprattutto la Parrocchia “Santa Maria Maggiore” dove ho lavorato per trent’anni della mia vita.
Ricordo ed amo il Seminario di Bari, le Missioni, le Chiese Nuove, al cui ufficio ero stato nominato come responsabile da Mons. Ballestrero e il Monastero della Scala – come oblato benedettino – ma principalmente il mio Vescovo e i Sacerdoti giovani.
Ricorda, caro Dorino, di suffragare la mia anima, quella dell’indimenticabile Nanuccio e di tutti i miei defunti, amici e benefattori.
Che il buon Dio ti protegga e ti dia la giusta ricompensa. Prega per me.
Tuo Franco.
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26 Giugno 2009