Elefanti nel territorio di Gioia?

Ha fatto scalpore un quarto di secolo fa la notizia che in una cava abbandonata, in località Pontrelli, nei pressi di Altamura (sulla strada provinciale n. 235 Altamura-Santeramo) nel 1999 erano venute alla luce migliaia di impronte ben conservate di dinosauri, durante delle ricerche effettuate, per conto della società petrolifera Tamoil, da due geologi dell’Università […]

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Orme di dinosauri nellla cava Pontrelli ad Altamura

Ha fatto scalpore un quarto di secolo fa la notizia che in una cava abbandonata, in località Pontrelli, nei pressi di Altamura (sulla strada provinciale n. 235 Altamura-Santeramo) nel 1999 erano venute alla luce migliaia di impronte ben conservate di dinosauri, durante delle ricerche effettuate, per conto della società petrolifera Tamoil, da due geologi dell’Università di Ancona.

Sono impronte di oltre 200 esemplari di almeno 5 diverse specie di dinosauri. La maggior parte delle impronte, a detta di esperti studiosi della materia, appartengono a dinosauri erbivori, ma ve ne sono anche appartenenti a dinosauri carnivori.

Grazie a questa scoperta è stato possibile anche risolvere alcuni dubbi riguardanti l’aspetto paleogeografico della Puglia di 70 milioni di anni fa. Fino alla scoperta di queste orme, si era sempre pensato alla Puglia come ad un’ampia area sommersa alternata da sporadiche e ridotte zone emerse.

L’ambiente del periodo a cui risalgono le impronte (Cretacico superiore, 90-65 milioni di anni fa) era molto diverso da quello odierno.

Durante il periodo Cretaceo dal punto di vista metereologico la Puglia presentava un clima ben diverso da quello attuale: c’era infatti un caldo tropicale, simile a quello di un paese equatoriali, e il territorio presentava estese pianure fangose. L’attuale Puglia in passato era definito un promontorio del continente africano e il suo dominio paleografico va sotto il nome di piattaforma carbonatica apula; data la presenza di branchi di dinosauri di varie specie, l’area non poteva essere, come si era ipotizzato in precedenza, quasi totalmente coperta di acqua.

L’Italia nell’era terziaria tra 50-60 milioni di anni fa

Un tale ambiente sarebbe risultato inadatto ad ospitare branchi di dinosauri che, per vivere e riprodursi, avevano bisogno di un’area stabilmente emersa che poteva fornire loro il necessario sostentamento. Secondo le più recenti teorie, la fossilizzazione delle impronte sarebbe stata resa possibile dai periodici innalzamenti e abbassamenti del livello del mare, che avrebbe consentito al fango, che via via si formava, di essere calpestato dalle zampe di varie specie di dinosauri. Le impronte si sarebbero indurite attraverso il fenomeno chiamato diagenesi e, con il ritorno dell’acqua, sarebbero state coperte dalle rocce carbonatiche (formatesi a partire da frammenti di gusci e da microrganismi). Queste ultime avrebbero poi coperto i buchi delle impronte favorendone la fossilizzazione.

Anche il territorio di Gioia in passato era coperto in gran parte dalle acque del mare e in tempi più recenti da laghetti e fiumiciattoli. I laghetti erano generalmente acque stagnanti; tra questi ricordiamo il Lago Magno, Lago Scalcione, Lago Natale, Lago S. Pietro.

Degli antichi corsi d’acqua restano i nomi delle lame, come lama Frascella, lama dei Preti, lama delle Vigne, che convogliavano le acque dell’entroterra murgiano e le scaricavano nell’Adriatico, e quello di Canale Frassineto, che lambiva il territorio di Monte Sannace per sfociare nei pressi di Fasano.

La zona delle Murge 60 milioni di anni fa sarebbe stata nuovamente sommersa dal mare, in seguito a un lento sprofondamento del suolo.

Sui fondali marini si depositarono sabbie calcaree e grandi quantità di conchiglie che in successivi momenti si sono trasformate in una roccia tenera, rispetto alle altre, nota come tufo calcareo di Gioia del Colle o carparo.

Area dei depositi quaternari con il corpo roccioso calcarenitico centrale sono ancora presenti oggi: nella zona dalla Termosud e alla contrada Coticcia, che testimonia l’esistenza di una vecchia spiaggia.

Il prof. Enrico Carano Donvito

La felice posizione geografica di Gioia, situata in una sella a cavallo tra le Murge Occidentali e quelle Orientali e luogo obbligato per chi si spostava dall’Adriatico allo Ionio, ha consentito in passato l’insediamento di numerose popolazioni. Il territorio forniva grandi quantità di acque, di boschi e di materiale per l’edilizia: pietre calcaree e carparo.

Per la presenza di boschi (che consentivano la raccolta della legna, di pascolo di selvaggina, di frutti), di corsi d’acqua (che garantivano l’apporto idrico per l’uomo e il bestiame), per la presenza di cave o miniere  di carparo, per la grande quantità di materiale lapideo presente e per la posizione strategica all’interno della nostra regione, Gioia è stata una terra in cui la presenza dell’uomo è segnalata dal IX secolo a. C., come dimostrano i numerosi siti venuti alla luce nel corso degli ultimi due secoli.

Non dobbiamo stupirci se si ipotizza che prima della presenza dell’uomo sul nostro territorio siano comparsi degli animali, come è testimoniato da resti rinvenuti e databili all’epoca post-glaciale.

Senza scomodare il Parco archeologico di Monte Sannace, il più esteso dell’intera Peucezia e conosciuto dai gioiesi come unico sito archeologico, bisogna sottolineare che il nostro territorio vanta la presenza di uomini sia nomadi che sedentari dall’età del Bronzo Antico nella zona a sud del paese, nel comprensorio di Masseria del Porto, Murgia San Francesco, la Castelluccia, Murgia Giovinazzi, Murgia San Benedetto, Masseria della Madonna.

Partendo dall’osservazione di uno di questi siti il prof. Antonio Donvito nel 1971 scopre, in località Masseria del Porto, la presenza di tombe che presentano una struttura a tumulo. I risultati della sua scoperta vengono pubblicati nello stesso anno nell’articolo “Dolmen e tombe a tumulo dolmenico a Masseria del Porto”.

Questi insediamenti probabilmente sono serviti per abitanti che si dedicavano alla pastorizia, come è attestato da numerosi ritrovamento di ossa di ovini, che in parte dovevano essere nomadi, poiché non sono stati trovati resti di abitazioni, ma solo recinti per le greggi; spesso sono stati rinvenuti tumuli sepolcrali di modesta fattura.

Sono stati rinvenuti più di trenta tumuli, di cui alcuni risalgono al periodo del Bronzo Antico e sono del tipo ‘ a galleria ‘ e utilizzati per deposizioni collettive, altri attribuibili all’età del Bronzo Recente Finale (XII-XI secolo a.C.), ma riutilizzati anche in epoche successive, fino al IV secolo a. C.

Il prof. Giovanni Carano Donvito nel primo volume della Storia di Gioia dal Colle ricorda un avvenimento verificatosi alla fine dell’Ottocento.

Scavando il terreno in un vigneto posto a circa due chilometri da Gioia, in direzione sud-ovest, nella stessa direzione e a qualche chilometro di distanza dai quegli antichi insediamenti sopra riportati, alla fine dell’Ottocento fu rinvenuto poco al di sotto del piano di campagna, un deposito di carcami scheletrici, con ossa di elefante, bue, cervo, porco ed altri quadrupedi.

Su questa importante scoperta il prof. Tripodi, allora Direttore della locale Scuola Enologica, scriveva: A poca profondità s’incontrarono le prime ossa di elefante, probabilmente della testa; ma gli operai addetti allo scavo li ridussero in frantumi, e, se non fosse sopraggiunta una guardia campestre, che accortasi di aver che fare con qualche cosa di straordinario, fe’ sospendere lo sterro, egual sorte sarebbe toccata al resto. Ciò per altro non impedì che queste prime ossa fossero ridotte a frantumi e disperse nel fondo, tanto che fra di esse, i primi curiosi accorsi, potettero fare incetto di qualche molare. I due diametri di questi denti misuravano il maggiore cm.18 ed il minore cm. 9.

Necropoli dolmeniche rinvenute in località Masseria del Porto

Venuto a conoscenza del fatto, dopo aver preso i dovuti accordi col proprietario del fondo, mi recai con due miei allievi a praticarvi uno scavo. Occorreva un lavoro molto diligente, perché le ossa erano molto male conservate pel fatto che, trovandosi in uno strato molto superficiale, dove la vegetazione spingeva le sue radici, si aveva intorno ad esse molt’aria ed umidità, condizioni che facilitavano la decomposizione della sostanza organica. Difatti molte avevano completamente perdute le loro caratteristiche, trovandosi al loro posto niente più che del terreno conservante la natura fibrosa dell’osso scomparso.

Il terreno era di natura calcareo-argillosa, ricchissimo di perossido di ferro e quindi di color rosso.

A circa mt. 1,30 di profondità, si rinvenne un osso grande, che credo doversi riferire alla spalla sinistra. Per orizzontarmi presi a lavorare io stesso con la punta di un coltello, e, dopo due giorni, misi a nudo parte di due costole. Ma non potetti continuare oltre, perché una disposizione telegrafica del Ministero ordinava alla locale autorità municipale di allontanarci dal luogo. Quindi fu inviato sopra luogo il Prof. Nicolucci della R. Università di Napoli.

Le ossa di elefante però non erano sole: ma con esse s’incontrarono numerosissime anche quelle di animali più piccoli, e dai denti raccolti poté desumersi la presenza di cascami di bue, di cervo, di cavallo, di volpe, di lepre e di parecchi altri quadrupedi.

Indi di Gioia del Colle si occupò il Nicolucci, e, da giacimenti simili a quelli descritti, provennero ossami di Elephas antiquus, Felis Chrietolii e Bos primigenius. Napoli (G. Nicolucci, Rend. Acc. Sc., Napoli 1891 e F. Sacco, Boll. Soc. geol. Ital., vol. XXX, pag.590, 597)

Trattasi evidentemente di ossami trasportati e riuniti dalle correnti alluvionali dell’epoca post-glaciale e seppelliti nella terra rossa caratteristica del quaternario pugliese (Diluviano), i quali in un certo modo valgono a ricordarci oggi la singolare composizione della nostra fauna di quel tempo.

Purtroppo o per ignoranza o per ricavare ulteriori terreni da mettere a coltivazione gran parte di questi segni della presenza dell’uomo nomade e di bestiame da transumanza, sono andati distrutti dall’intervento anche di macchine agricole o mezzi che hanno frantumato pietre e resti antichi, come sottolineato da interventi dei rappresentanti del WWF locale, che in vari momenti hanno denunciato questo scempio, chiedendo di fermare le ruspe e di conservare un patrimonio che tramandasse ai posteri il ricordo di nostri antenati e del loro operare nel nostro territorio.

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15 Luglio 2025

  • Scuola di Politica

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