Don Luigi Tosco nel 70° anniversario della morte

Quest'anno ricorre il 70° anniversario della morte di don Luigi Tosco, un sacerdote  non  gioiese di nascita, ma che  ma si può considerare tale per  adozione. Don Luigi  Tosco ricopre il ruolo di arciprete di Gioia dal 15-11-1934 al 12-05-1949. Succede a don Francesco Paolo Giove, che era stato arciprete dal 18-02-1900 al 5-01-1934. Questi […]

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Don Luigi Tosco

Quest'anno ricorre il 70° anniversario della morte di don Luigi Tosco, un sacerdote  non  gioiese di nascita, ma che  ma si può considerare tale per  adozione.

Don Luigi  Tosco ricopre il ruolo di arciprete di Gioia dal 15-11-1934 al 12-05-1949. Succede a don Francesco Paolo Giove, che era stato arciprete dal 18-02-1900 al 5-01-1934. Questi nel 1924 era stato colto da paralisi e costretto fino all'immobilità permanente e a non poter uscire più di casa.

All’arciprete Giove, nato a Santeramo il 1° dicembre 1859 e morto a Gioia  il 3 febbraio 1935, si deve l’acquisto dell’effigie di San Rocco, quando fu nominato direttore spirituale dell’omonima Confraternita, poiché  la chiesa possedeva solo una statua in pietra del Santo, che non si poteva portare in processione. Durante la sua arcipretura si adoperò per una migliore conoscenza e venerazione dei due Patroni: Santa Sofia e San Filippo.

Gli ultimi difensori del culto di S. Sofia a Gioia furono l’arciprete Andrea Giove che nel 1871 scriveva  al Vicario Generale della Curia di Bari per fornire questa chiesa dell’uffizio proprio della Santa, e l’arciprete Francesco Giove, che nel 1906 si recò a Roma per un viaggio informativo su notizie della vita e sulla leggenda di S. Sofia nello stesso anno fece pubblicare un opuscolo devozionale per rispondere alla pietà e alla devozione dei miei figli verso S. Sofia e le sue tre figlie Fede, Speranza e Carità, e per soddisfare il loro desiderio di conoscere la vita e il genere di martirio, ribadendo che la storia si riferiva ad eventi verificatisi alla prima metà del secondo secolo della Chiesa …sui cui nomi, la città, il tempo ed il genere di martirio sono concordi la maggior parte degli storici.

Opuscolo devozionale su Santa Sofia

Nonostante questo apparente fervore, come ricordava il prof. Mario Girardi, continuò l’immobilismo pastorale. Infatti sette anni dopo l’arcipretura di don Giove, da Roma venne a Gioia il Redentorista Ernesto Bresciani per la visita apostolica della diocesi di Bari. Nella sua relazione finale su Gioia  rilevò più ombre che luci. A mo’ di esempio affermava che  per la festa patronale in chiesa  si è fatto lo stretto necessario, però per la festa si è speso da 10 a 12 mila lire: spari, mongolfiere, addobbi e quattro bande. L’arciprete di Gioia è buono, rispettoso, zelante. Tre volte la settimana si svolge la predicazione quaresimale, durante il tempo pasquale si tengono gli esercizi spirituali, ma pochi sono i bambini che fanno la prima comunione; meno male che ci sono le suore di carità dell’Ospedale e i buoni Padri Barnabiti che sono arrivati all’Istituto Padre Semeria da qualche anno, che preparano i ragazzi alla prima comunione. Di qui la gelosia, l’invidia e l’ostilità dei sacerdoti locali verso quelli esterni.

L’arciprete don Francesco Giove, probabilmente nel 1912, fece realizzare una stampa ‘patronale’ policroma, che visualizzava  l’acquisizione, avvenuta nel 1906, di reliquie di S. Filippo: frammenti di precordi e berretta, incastonati in filigrana d’oro in un reliquiario-ostensorio.

Reliquie di San Filippo

Il 13 ottobre 1924, nell’imminenza  dei 25 anni di arcipretura,  don Francesco Giove ricevette in Chiesa Madre, alla presenza del Vescovo di Bari  Mons. Giulio Vaccaro, il Cavalierato di Merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Nel 1910  nella sacrestia della Chiesa Madre un gruppo di canonici con a capo l’arciprete Giove fonda una banca: la Cassa Rurale Cattolica di San Filippo, che vede la contrarietà del viceparroco  Giovanni Prisciantelli e del Vescovo.
Don Giove aveva fatto resistenza alla volontà del Vescovo, per il fatto che nel 1919 aveva istituito le due nuove parrocchie, quella di S. Lucia e dell’Immacolata, perché lo smembramento significava limitare i suoi poteri e gli introiti. Infatti i due nuovi parroci, don Rocco Passiatore e don Sante Milano, rivendicavano dall’arciprete l’ottenimento delle spettanti prebende. Nel luglio 1920 si acuisce la lotta sociale con l’eccidio di Marzagaglia. Don Prisciantelli  chiede  al Cardinale Prefetto della Congregazione Concistoriale di far venire a Gioia un Visitatore Apostolico, perché l’arciprete, che conta 20 anni di possesso, ha fatto il parroco solo sulla carta; quando ha firmato gli atti d’ufficio, per il resto ha fatto più poco di niente: una decina di omelie all’anno, qualche settimana di catechismo ai fanciulli, niente catechismo agli adulti, aveva ben altro a cui pensare … il popolo si va sempre più ritirando dalla chiesa frequentando la Camera del Lavoro e la Sala Protestante, che all’epoca era su via Mazzini.  Il 1924 don Giove fu colpito da paralisi.

Episodi di ribellione da parte dei lavoratori agricoli si erano già manifestati all’indomani del termine della Prima Guerra mondiale (1915-18), causa la miseria in cui viveva gran parte della popolazione, dedita ai lavori agricoli.
Infatti l’1 luglio 1920 si verifica l’eccidio di Marzagaglia, con l’uccisione di 6 braccianti presso la masseria Girardi.

Nel 1920 ad un anno dalla istituzione delle due nuove parrocchie gioiesi, il viceparroco della Chiesa Madre, don Giovanni Prisciantelli, scrive: Gioia si può già  chiamare la rocca del socialismo e del protestantesimo  e invia denunce al vescovo di Bari, mons. Vaccaro e a Roma contro l’immobilismo completo della comunità e del suo arciprete.
Nello stesso anno per il funerale dei morti a Marzagaglia il Prisciantelli fu l’unico sacerdote ad accompagnare i feretri al cimitero.
A seguito della malattia di don Giove i sacerdoti di Gioia si contendevano la successione all’arcipretura. Nel 1933 costituiscono una specie di Direttorio e passano all’amministrazione  diretta dei beni e di tutto il resto della Chiesa Madre. Tale gruppo era composto dai due parroci,  don Rocco Passiatore e don Sante Milano, da don Leonardo Capurso, don Michele Buttiglione e don Santino Milano. Il viceparroco Prisciantelli, che era stato escluso ironizzava: don Santino Milano, l’autoarciprete, scatenando la replica: La nostra opera è opera di squisita carità, sebbene incompresa, verso il vecchio infermo arciprete che non è più padrone di se stesso e che noi lasciamo tranquillo nel godimento del suo beneficio. Ma non possiamo più gravare la nostra coscienza di sacerdoti mettendoci alla dipendenza della cognata e dei nipoti che fanno le veci dell’arciprete.

Come mai trascorrono più di dieci mesi, dalla decadenza ad arciprete  di don Giove, per la nomina del nuovo arciprete?
Il 5 gennaio 1934, ad un mese dal suo insediamento nella diocesi di Bari, il nuovo Arcivescovo  Marcello Mimmi, proveniente da Bologna, dove era direttore del Seminario Maggiore, viene a Gioia, deciso a stroncare le velleità del clero gioiese che aspirava alla successione. Ottiene la rinuncia ad arciprete da parte di Giove e si adopera per far venire a Gioia un sacerdote neutrale, dal Nord Italia, situazione inusuale che a Gioia non si verificava dal 1570, allorquando fu nominato arciprete don Andrea Polangelo, di Acquaviva delle Fonti, anche se don Giove era nativo di Santeramo,  però non facente parte della diocesi di Bari.

Pagellina funebre di don Francesco Giove

Il 6 febbraio 1934 Mons. Mimmi scriveva a mons. Giove: Ho dovuto con vero rincrescimento riconoscere le tristi condizioni in cui l’ha posto la sua infermità, non voglio essere secondo a nessuno a riconoscere i suoi meriti passati e la paterna bontà con cui per lungo volgere di anni ha governato il suo popolo.
Risulterebbe, infatti, dal verbale di consegna del dimissionario Giove, che le opere murarie di modifica della sacrestia siano state fatte a spese dello stesso arciprete Giove, come pure le nicchie delle immagini dei santi e l’acquisto delle immagini dei santi e l’acquisto delle immagini di san Tarcisio, san Francesco d’Assisi e il Sacro Cuore di Gesù.

In questo clima di morta fede e di lotta interna  tra il clero si inserisce la figura di don Tosco.
Luigi Tosco nasce il 5 febbraio 1893 a Baldissero Torinese (TO).
Risiede  a Pino Torinese. Frequenta la scuola elementare a Valle Ceppi (TO) e ottiene l’ammissione al Ginnasio presso i Tommasini del Cottolengo di Torino.
Fu ‘adottato’ dal canonico mons. Ferdinando Bernardi, che lo condusse con sé ad Iglesias (Sardegna), dove aveva avuto il compito di riaprire il seminario.
Avendo intuito le doti di cuore e di mente di Tosco, mons. Bernardi lo fece studiare e gli affidò l’incarico prima di vicerettore ed in seguito di rettore del seminario.

Fu ordinato sacerdote il 18 marzo 1916. Dopo aver svolto il compito di professore nel seminario fu nominato dapprima viceparroco della cattedrale, insegnante di religione,  successivamente canonico e nel 1931 arcidiacono della cattedrale.

A conclusione di una fitta corrispondenza tra mons. M. Mimmi, arcivescovo di Bari, e mons. Bernardi, da poco nominato arcivescovo di Andria, con la quale si chiedeva di inviare a Gioia un sacerdote  settentrionale, nel 1934 mons. Bernardi suggerì il nome di don Luigi Tosco, sacerdote che proveniva da Torino.

L’arrivo di don Tosco a Gioia avvenne il 15-11-1934 alle ore 15 e la su accoglienza fu calorosissima tanto che il novello arciprete rimase commosso.
Il Viceparroco, don Giovanni Prisciantelli, aveva fatto affiggere in città un manifesto di benvenuto.

Manifesto di benvenuto a don Tosco

Ad accoglierlo in chiesa era presente l’arcivescovo mons. Mimmi, il Podestà Castellaneta e il Capitolo.
A rendergli il saluto fu incaricato non un sacerdote gioiese, benché ce ne fossero di titolati, come il poeta letterato don Vincenzo Angelillo o don Santino Milano, professore al seminario di Bari, ma un sacerdote esterno: il prof. Antonio Quinto di Andria, residente a Gioia, preside del Liceo Classico P. V. Marone, che ricordò di averlo conosciuto personalmente tre anni addietro per essere stato collaboratore del suo vescovo di Andria.

Don Tosco, nonostante la presenza di un clero rissoso, poco incline alla pastorale, avido, a lui ostile, che non si rassegnava all’idea di un arciprete forestiero, ebbe il sostegno della popolazione gioiese.
Si mise subito all’opera, chiedendo aiuto, contributi  e sostegno a tutti. A dimostrazione di non sentirsi forestiero e legato a Gioia, pensò di creare una casa parrocchiale dove prendere dimora, perché riteneva  che quella fosse la sua chiesa e il suo posto.

Affresco altare chiesa dell'Annunziata

Don Tosco costituisce la Confraternita dell’Annunziata, che provvede al culto e alle funzioni  a Monte Rotondo e abbellisce l’interno della cappella  con affreschi, i due medaglioni di papa Pio XII e del vescovo Mimmi e sulla volta la Vergine Assunta, con le due pale accanto all’altare, poi trafugate, raffiguranti San Vito  e San Giuseppe artigiano.  Il restauro ha posto in luce un dipinto sotto quello allora esistente. Dove prima c’era sant’Anna è presente san Giovanni Battista; sotto l’immagine di san Gioacchino troviamo la figura di un Papa santo e sul petto della Madonna spuntano dei piedi di bambino. In basso, ai lati della Madonna sono presenti figure femminili in processione, uniche figure che compaiono in entrambi i dipinti. In basso è presente un riquadro con un affresco di dimensioni ridotte, che rappresenta sant’Onofrio Eremita, ed è datata 1617.
Al centro è presente la Madonna che sulle ginocchia regge il Bambino Gesù.

Nel 1936 don Tosco  organizza il Congresso Eucaristico cittadino.

Nel 1937 avvia un grosso programma di abbellimento e restauro all’interno della Chiesa Madre.
L’interno della Chiesa, escludendo le tele del ‘700, era spoglio e imbiancato a calce.   Il pavimento era quasi in terra battuta.
Affida al pittore Guido Prayer il compito di decorare la navata e di abbellire il presbiterio con tele raffiguranti un ciclo di pitture riguardanti la nostra Madre (Madonna).
Mario e Guido Payer, pittori decorativi veneziani del primo  ‘900, che si trasferirono a Bari. I fratelli Prayer iniziarono a lavorare negli anni ‘20.  Eseguirono i loro studi a Venezia, che continuarono nell’Accademia delle Belle Arti a Lione, dove si diplomarono. Mario, il maggiore dei due, venne a Bari per lavoro ed alcuni concorsi artistici. Si innamorò di una giovane donna , si sposò e decise di restare a Bari. Il fratello Guido poi lo raggiunse e con lui  realizzò un sodalizio professionale  che portò alla produzione di numerose opere e alla sperimentazione di nuove tecniche.
Realizzarono affreschi, tele, decorazioni per chiese, edifici pubblici ed abitazioni private. Nell’Aula Magna dell’Università di Bari ci sono affreschi realizzati da loro. Anche nel teatro Kursaal Santalucia,  nel cinema Oriente, nell’aula consiliare del Municipio, nel palazzo della Prefettura, nella chiesa di san Giuseppe e in quella dell’Immacolata troviamo altri affreschi. Dipinti su tela e affreschi troviamo nel santuario della Madonna della Coltura a Parabita (LE), nella Cattedrale di Potenza.

Affresco altare maggiore chiesa Santa Maria Maggiore

Nel 1937 il  Prayer dipinge la Natività di Maria  sull' Altare maggiore, la Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre e annuncio della nascita della Vergine ( a dx dell’altare), la Glorificazione di Maria tra gli angeli ( a sx dell’altare).

Nel 1940 acquista da Torino  la culla di Maria Bambina e fa realizzare le due vetrate artistiche colorate: Quella di San Filippo, sulla finestra della facciata della chiesa e quella di Maria Bambina  da collocare sul fondo del presbiterio.
La chiesa si dota di quattro candelabri in argento, dono di Filippo Cassano, e di sei candelieri in legno massiccio con angeli cariatidi.

Fa eseguire la posa in opera della pavimentazione, in pietra di Trani,  la  vetrata di Maria Bambina, sul presbiterio, la vetrata raffigurante san Filippo e dota la chiesa del fonte battesimale, che apparteneva alla cattedrale di Bari e che provvede ad acquistare.

Culla di Santa Maria Bambina

Il fervore spirituale che lo animava portò don Tosco ad istituire per primo nella diocesi la Congregazione della Dottrina Cristiana, che l’arcivescovo Mimmi benedisse ed impose a tutte le parrocchie. Lo stesso vescovo lodò la scuola di catechismo organizzata, la partecipata Messa del Fanciullo, le associazioni di Azione Cattolica rigogliose e le manifestazioni di culto vigoroso e solenni, un vasto fermento di fede e religione.
Provvide a pubblicare un Bollettino Pastorale  chiamato «La lieta novella», attraverso la quale continuava a catechizzare e diffondere la Parola di Dio.
Don Tosco non mancava di denunciare cattive abitudini e cattivi vezzi religiosi nelle sue omelie.

Il 23-2-1942 crolla il campanile della Chiesa Madre e  con esso anche il Cappellone di San Filippo. La notizia viene riportata dal  Giornale «Il Gioiese». A causa del crollo del campanile andarono distrutti non solo il Cappellone di san Filippo e di santa Sofia, la canonica e alcune case circostanti, ma morì anche il viceparroco don Giovanni Prisciantelli di 59 anni. Dalle macerie furono estratti quattro bambini, due anziani e il notaio Orazio Scuro, al quale venne amputata una gamba.

Crollo del campanile e cappellone di San Filippo

Don Tosco si trovò ad  affrontare pesanti conseguenze materiali, morali e processuali.
Don Tosco subì un processo e venne condannato, in quanto, responsabile della Chiesa Madre, non aveva vegliato sulla stabilità e manutenzione della Chiesa e del campanile. A seguito delle richieste risarcitorie degli aventi diritto il 18-2-1848 don Tosco scrive al Ministro degli Interni chiedendo di essere autorizzato a stipulare una convenzione bonaria per far fronte alla condanna del processo. «Dopo un procedimento penale a carico del sottoscritto, procedimento estinto per amnistia, fu iniziato su istanza dei danneggiati un procedimento civile che culminò in una sentenza presa dalla Corte di Cassazione e poi registrata nel 1948, detta sentenza ritenne responsabile del disastro il beneficio curato di Santa Maria Maggiore, proprietario del campanile crollato e condannando il sottoscritto, in qualità di titolare di detto beneficio, ad un risarcimento dei danni»..

Don Giovanni Prisciantelli

Il risarcimento danni prevedeva: L. 375.000 a Ceppaglia, 590.000 a ciascuno dei due figli del notaio Scuro, 250.000 a Sciscio Maria, 260.000 a Procino Vito Giuseppe, e 27.000 ad altri, per un totale di L. 2.092.000 a cui andava aggiunto un 5% al sig. Ceppaglia per spese forensi e la metà delle spese legali.
La  signora Favale offrì un acconto di L. 560.000 per coprire parte del risarcimento.
I soldi raccolti per la ricostruzione del campanile e del cappellone andarono a coprire i costi dovuti ai soli danni.

Nonostante i tanti problemi e le preoccupazioni derivanti dal crollo, don Tosco non si dà per vinto, ma si impegna per migliorare le sorti del paese.
Nel 1948 accarezza il sogno di costruire su via Monte Sannace, su un suolo  beneficio arcipretile, dove successivamente sarà costruita la nuova chiesa di san Vito,  una casa per i bambini abbandonati e disagiati per la guerra e la povertà.
Tale idea, supportata da un comitato di persone abbastanza nutrito, presieduto dallo stesso don Tosco, persone che avevano offerto il loro contributo, non andrà in porto per l’evento che si verificherà l’anno successivo.
Su  quel beneficio, donato nel 1959 da don Franco Di Maggio, sarà costruita la nuova chiesa di San Vito, che fu inaugurata nel 1962.

La domenica delle Palme del 1949, il 10 aprile, durante una funzione religiosa si verificò una irruzione in chiesa e mentre la gente scappava via don Luigi Tosco affrontò i facinorosi e fu minacciato di morte.
Circa un mese dopo, esattamente il 12 maggio, logorato nel fisico e nel morale, don Tosco passava a miglior vita.

Nel suo testamento don Tosco, tra l'altro,  ha lasciato scritto: Lascio alla Parrocchia di Santa Maria Maggiore … tutto il mobilio di mia proprietà. .. Non ho mai cercato di farmi ricco, ma ho lavorato sempre con disinteresse per il bene delle anime e per la gloria di Dio e da Lui aspetto il premio dei giusti. Povero sono nato e povero desidero di morire.  Infatti don Tosco morì così povero che i funerali furono fatti a spese del Comune.
La cassa funebre, del costo di L. 35.000, fu pagata a Sante Celiberti con un anticipo di L. 30.000 offerti da donna Adelina Cassano.
Il Trigesimo fu celebrato a spese degli uomini di Azione Cattolica, che si autotassarono per la somma di L. 3.700.
Sulla lapide della sua tomba, nel cimitero monumentale di Gioia, oltre al suo nome e cognome è presente la seguente scritta: « Memoria vivit» continua a vivere nel ricordo.

Commemorazione 60° anniversario morte di don Tosco

Il Comune di Gioia, riconoscente per l'opera svolta da don Tosco gli ha intitolato una strada cittadina.

Nel 60° anniversario della morte, nell'anno 2009, nella parrocchia di Santa Maria Maggiore, che  per 15 anni lo ebbe come pastore infaticabile, il compianto prof. Mario Girardi ha tenuto una commemorazione nella quale ha rievocato la figura e l'opera di don Luigi Tosco a Gioia del Colle, frutto di appassionate ricerche storiche  e  di  numerose testimonianze di fedeli che lo avevano conosciuto.

 

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13 Aprile 2019

  • Scuola di Politica

Commenti

1 Commento per “Don Luigi Tosco nel 70° anniversario della morte”
  1. Francesco Giannini ha detto:

    A richiesta del dott. Orazio Scuro, che mi diffida a rimuovere frasi ingiuriose espresse contro il Notaio Orazio Scuro, suo nonno, nonché a fornire una esplicita smentita con il medesimo mezzo (questo sito) con il quale le offese sono state pronunciate, porgo le mie sentite scuse verso gli eredi del Notaio. Nel contempo ringrazio la famiglia Scuro per avermi fornito alcune notizie sulle vicende legate al crollo del campanile. Ho appreso che il notaio Scuro 'nell'accadimento fu sepolto vivo con i quattro figli sotto le macerie del proprio palazzo di famiglia, abbattuto dal campanile durante il cedimento di quest'ultimo, perdendo così casa, studio, gamba, oltre a vedere i propri figli feriti e traumatizzati dal ritrovarsi sepolti vivi. Orbene tale triste vicenda vide Don Luigi Tosco, responsabile del campanile crollato, perseguito penalmente ex officio dalla Procura del Regno e non condannato penalmente solo per l'intervento di un'amnistia, mentre il giudizio civile reso prima da un Tribunale del Regno e poi dalle magistrature superiori della neonata Repubblica, giungendo finanche in Cassazione, acclarò la grave responsabilità del prelato e decretò il suo obbligo a risarcire i danni arrecati'.

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