Il Museo della Civiltà Contadina di Gioia del Colle approda in TV

Un momento della trasmissione di Telenorba “Mezzogiorno e Dintorni” relativa al Museo della Civiltà Contadina di Gioia

Dal mese di gennaio 2024 la TV privata Telenorba, nell’ambito del programma Mezzogiorno e dintorni sta trasmettendo,  anche con numerose repliche, un servizio dedicato a due settori importanti dell’economia gioiese, le cui testimonianze del passato sono presenti nel Museo della Civiltà Contadina di Gioia del Colle.

Il servizio è stato realizzato nella prima settimana di dicembre del 2023 da una troupe di Telenorba, che cura  il programma Mezzogiorno e Dintorni, durante la visita al Museo in un giorno piovoso in cui era venuta a Gioia per documentare alcuni aspetti del nostro Centro storico. Casualmente e fortunatamente, l’inclemenza del tempo ha però dirottato la troupe verso il Museo, così come consigliato da qualche nostro concittadino.

Mezzogiorno e Dintorni è un programma di Telenorba scritto e condotto da Nick Difino con la partecipazione di Mayra Pietrocola, che parla del Territorio. Nick Difino, noto food performer, parlando di questo suo programma ha detto: Sono un esploratore del cibo, un curioso di pratiche agricole e mi piace raccontare storie di luoghi e persone che incontro. Amo il Mezzogiorno d’Italia e ho voglia di scoprirne i Dintorni. Continua la Lettura

Un lanificio a Gioia

Reperti di Monte Sannace, presenti nel Museo Archeologico di Gioia del Colle, tra cui anche pesi per telai

Sin dai tempi dei primitivi insediamenti a Monte Sannace, sito facente parte del territorio di Gioia, ricco di boschi e di pascoli, era presente una fiorente pastorizia e in particolare allevamenti di pecore e capre, come è testimoniato dal rinvenimento di numerosi reperti, a seguito di regolari campagne di scavo.

Numerosissimi sono stati i ritrovamenti di pesi utilizzati per mettere in funzione i telai a mano, che servivano per la trasformazione del manto delle pecore in indumenti in lana per ripararsi dal freddo nelle stagioni fredde.

Alla fine dell’Ottocento a Gioia, sulla via che conduce a Noci, opera un  grande lanificio a livello industriale, che dà occupazione ad oltre duecento dipendenti.

Ancor prima dell’impianto del Lanificio Lattarulo un altro lanificio, ben più piccolo, era funzionante a Gioia, ad opera dei locali frati Francescani Riformati che operavano nella chiesa di Sant’Antonio e che per l’occasione utilizzavano parte del loro adiacente Convento.

Molto vivace è stata la storia della Chiesa di sant’Antonio e dell’annesso Convento dei Francescani Riformati o, come viene citato nell’Apprezzo della Terra di Gioia del 1640, Convento di Padri Zoccolanti Reformati di S. Francesco. Continua la Lettura

L’artista gioiese Giorgio Masi

Giorgio Masi e un presepe da lui realizzato

Con l’arrivo di dicembre in tutte le case e per le strade si comincia a respirare aria natalizia. In casa ogni famiglia, specialmente se è allietata dalla presenza di figli e di nipoti, pensa ad allestire l’albero di Natale e soprattutto un presepe dalle dimensioni più varie, in base allo spazio disponibile. Spesso si fa a gara per realizzare un presepe spettacolare da mostrare con orgoglio anche a parenti ed amici e si svolgono concorsi per premiare il presepe più bello, più artistico e più suggestivo.

Da sempre Gioia del Colle è stato un paese di “artisti”. Per citarne alcuni ricordo lo ”Scriptor Iohensis”, uno scrittore di Gioia che operava alla corte del principe Manfredi, figlio di Federico II, autore dell’opera manoscritta La Bibbia di Manfredi, finemente miniata, presente nella  Biblioteca Vaticana e di un’altra Bibbia presente nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

Nel 1480 il primicerio Giovanni Rocca scolpì un bassorilievo tripartito che raffigurava anche l’Arma Ioe, cioè lo stemma dell’Università (Comune) di Gioia, consistente in uno scudo che racchiude una coppa contenente delle “gioie”,  con un coperchio sovrastante, contornata da spighe di grano e l’iscrizione Universitas Ioe.

Da quei tempi passati innumerevoli sono stati gli artisti gioiesi che si sono distinti nelle diverse arti e professioni, dalla pittura alla scultura, dalla musica al teatro,  dal cimema  all’architettura, e che hanno dato, e continuano ancora oggi a dare lustro al nostro paese non solo a livello locale e regionale, ma anche a livello nazionale ed internazionale. Continua la Lettura

L’antico cioccolato di Gioia del Colle

Zuccotto al cioccolato, Lounge Bar di Gioia del Colle

Un tempo Gioia del Colle, oltre ad essere un centro conosciuto per la produzione del vino Primitivo, delle mozzarelle fior di latte, per l’attività della  Banda musicale, per la presenza di distillerie, di mulini e pastifici, era anche un rinomato produttore di cioccolato.

Questo prezioso prodotto dopo la lavorazione artigianale veniva confezionato in diversi formati, dando forma a cioccolatini, stecche di cioccolato di diverse dimensioni, uova, dolci.

La preziosa presenza di numerose neviere nel nostro territorio consentiva inoltre la produzione di gelati al gusto di cioccolato, il quale conservava una buona consistenza  grazie all’utilizzo del ghiaccio che si estraeva dalle locali neviere.

È un vero peccato che  ai nostri giorni  a Gioia non  siano più operanti  fabbriche di cioccolato, alla luce del fatto che le ultime ricerche sottolineano gli effetti benefici di questo prodotto nell’alimentazione umana.

Secondo studi recenti, infatti,  il cioccolato non solo fa bene all’umore, per il fatto che contribuisce alla secrezione della serotonina, l’ormone del benessere,  ma ha anche effetti positivi sul sistema immunitario ed è un potente antinfiammatorio; la feniletilamina e la serotonina, in particolare, svolgono anche un’ azione antidepressiva ed eccitante, favorendo la diminuzione del fenomeno della depressione. Continua la Lettura

Il carbonaio

La Befana con il carbone dolce

Il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, la tradizione popolare vuole che la Befana porti doni ai bambini: giocattoli e dolciumi per quelli bravi e pezzi di carbone per quelli che durante l’anno appena trascorso si sono comportati da monelli. Si trattava di carbone vero, cioè quello ottenuto dalla combustione della legna, anche se ai giorni nostri è stato sostituito con carbone dolce, commestibile.

Gioia del Colle in passato faceva parte della Peucezia, un’ampia zona che si estendeva in gran parte della provincia di Bari e sconfinava anche in quelle di Taranto e di Matera.  Era una terra ricca di boschi, come la confinante Lucania (da lucus, bosco), regione per eccellenza ricoperta di boschi.

Per gli usi domestici, come cucinare e riscaldare le abitazioni, si utilizzava la legna che i boscaioli tagliavano nei boschi. Anche per le attività artigianali, come costruire case, carri, attrezzi agricoli, utensili, e per l’utilizzo di suppellettili, come ogni specie di mobili, si faceva ricorso al legname.

Per avere continuamente a disposizione la legna per i vari utilizzi era buona prassi piantumare nuovi alberi in zone difficilmente coltivabili a cereali ed ortofrutta, cioè in terreni impervi o montuosi o con abbondante presenza di pietre.

Uno degli scopi principali del taglio dei boschi era anche quello di avere a disposizione maggiori estensioni di terreno da utilizzare per le pratiche agricole e per andare incontro al bisogno di ulteriori quantità di derrate alimentari e di cibo a causa dell’aumento demografico della popolazione.

Il taglio dei boschi e la potatura degli alberi, inoltre, fornivano la materia prima per ottenere il carbone.

Uno dei mestieri ormai scomparsi che un tempo dava lavoro ai nostri conterranei era quello del carbonaio.

Un quintale di carbone equivale, in termini di calorie, a circa dieci quintali di legna. Un viaggio di carbone con un mulo, che era in grado di trasportare anche due quintali di legna, equivaleva al trasporto di 20 quintali di legna, con grande risparmio di tempo e di sforzo. Fu questo uno dei motivi che portò alla produzione del carbone.

Per svolgere il mestiere del carbonaio era indispensabile il lavoro del boscaiolo, che doveva fornirgli la materia prima.

I boschi potevano essere demaniali, e quindi soggetti all’autorizzazione del Comune per essere utilizzati, di uso civico e quindi accessibili a tutti oppure potevano appartenere a privati cittadini, i quali decidevano di tagliarli per avere una quantità di legna anche per ottenere carbone, secondo le norme governative allora vigenti.

La presenza di numerosi boschi nel territorio di Gioia ha favorito da noi l’attività dei carbonai.

Una carbonia nella zona del Pollino. http://biagio.propato.org/la-carivunara-carbonaia-nellalta-valle-del-frido/

Svolgere l’attività di carbonaio era un mestiere che si tramandava di padre in figlio e si svolgeva in prossimità dei boschi, da cui si attingeva la materia prima per produrre il carbone, proprio per evitare la fatica e le spese per il trasporto della legna. Solo in alcuni casi la carbonaia era distante dai boschi, nel qual caso si utilizzavano gli asini, i muli o i cavalli per il trasporto della legna.

Le fasi più importanti erano: la palificazione, l’accatastamento della legna, la copertura e la combustione.

Si sceglieva una radura pianeggiante nel bosco, priva di vegetazione per impedire incendi, dove impiantare la carbonaia. Dopo aver spianato la base, una piazzuola circolare di varie dimensioni, adeguata alla quantità di legna da utilizzare, iniziava l’edificazione della carbonaia.

Intorno ad un’apertura centrale, detta camino, che serviva ad alimentare la combustione, si ponevano, in modo obliquo, sovrapposti e paralleli tra di loro, i pezzi di legna più grossi, fino ad arrivare alla parte esterna, ricoperta con tronchi più piccoli.

Si otteneva la forma di un cono con la punta rivolta verso l’alto, che assumeva la forma di un trullo o, meglio, di un vulcano, per la presenza di un’apertura nella parte superiore.

Una volta terminata la composizione di questa catasta di legna si ricoprivano le pareti laterali con vari strati di rami secchi, paglia e foglie secche delle piante; il tutto poi veniva ricoperto con della terra, per impedire che l’ossigeno, filtrando nell’interno, producesse una combustione a fiamma, con conseguente distruzione ed incenerimento del legname.

Per mettere in funzione la carbonaia si prendeva della brace, precedentemente ottenuta, e si introduceva dalla sommità del vulcano attraverso il camino che era stato preparato, insieme a pezzi di legno.

Si faceva accendere la brace sotto al camino e subito iniziava il lento processo di combustione di tutta la carbonaia. Si chiudeva il foro centrale con rametti, paglia e foglie e si ricopriva il tutto con terra.

Carbonaie a San Giovanni Rotondo

Dopo aver acceso la carbonaia dalla parte superiore (alcuni provvedevano ad accenderla da un’apertura inferiore); si praticavano dei piccoli fori laterali nella parte bassa, a seconda della direzione del vento, per fare arrivare un po’ di ossigeno all’interno per alimentare la combustione.

Siccome l’ossigeno è limitato non si ha una vera e propria combustione, ma una disidratazione per cui la legna si cuoce lentamente senza bruciare, con conseguente carbonizzazione della stessa.

A seconda della grandezza della carbonaia la stessa poteva ardere per dieci, venti o addirittura trenta giorni. Osservando come la carbonaia ardeva i fori potevano essere effettuati più in alto o più in basso.

La carbonaia veniva controllata anche di notte perché se la combustione da lenta diventava eccessiva poteva prendere fuoco e andavano sprecati non solo i quintali di legna utilizzata, ma anche il lavoro di un intero anno, oltre il mancato guadagno economico. Per questo motivo i carbonai in genere vivevano in baracche vicino alla carbonaia.

Traporto legna per una carbonaia

Quando il processo di carbonizzazione era terminato, e ci si accorgeva dal fumo bianco che lentamente si dissolveva, si smontava la carbonaia. Quando il carbone si era raffreddato si raccoglieva in sacchi di tela o di iuta e con carri trainati da animali veniva trasportato nei magazzini per essere venduto oppure alcuni commercianti passavano attraverso le strade dei paesi perché gli abitanti che ne erano sprovvisti ne facessero scorta per l’inverno.

Carbonaio era anche il venditore ambulante di carbone, che girava per i paesi con un carro carico di sacchi di carbone e carbonella che vendeva dopo averne misurato la quantità in stoppelli o mezzetti.

Il carbone e la carbonella, infatti, erano usati per i bracieri per riscaldare gli ambienti domestici e anche per riscaldare i ferri da stiro per la stiratura dell’abbigliamento e di lenzuola ed asciugamani.

Poiché durante le operazioni di pesatura e di travaso la polvere che si sollevava anneriva le mani e il volto dei carbonai, le mamme per far cessare i capricci e azioni cattive cercavano di intimorire i propri figli dicendo loro che se avessero continuato nei loro atteggiamenti sarebbe venuto l’uomo nero.

Tutti i membri della famiglia, anche i più piccini, erano coinvolti durante la preparazione e poi nell’insaccamento del prodotto.

Molti contadini producevano la carbonella per soddisfare le necessità della famiglia; la quantità eccedente la vendevano.

Mezzetto e stoppello per la vendita del carbone

Oggi il carbone, quando serve, si acquista nei grandi magazzini.

Svolgere il lavoro del carbonaio è un’attività molto dura e sporca, da svolgere con qualsiasi clima: pioggia, gelo, afa. Richiede molti sacrifici e si dorme poche ore di notte.

Sembra che la pratica di produzione del carbone risalga ai Fenici.

Anche a Gioia vi erano lavoratori che svolgevano il compito di carbonaio ed altri che andavano in giro per il paese a vendere carbone e carbonella. Un cittadino gioiese, in particolare, per la sua attività di venditore di carbone, veniva soprannominato Luchett u carvenarìjr, cioè Luca, il venditore di carboni.

In contrada Marchesana è ubicata una masseria, la cui costruzione risale al 1820 che oggi è sede di una cantina che produce il famoso vino Primitivo di Gioia del Colle.

Uno scorcio della Masseria Polvanera, antica abitazione di carbonai

La masseria, infatti, è stata acquistata dal signor Filippo Cassano, il quale ha dato al suo vino Primitivo la denominazione di Polvanera. Tale denominazione è dovuta al fatto che la masseria in origine era utilizzata per la produzione di carbone. La famiglia che era proprietaria della masseria veniva indicata con il soprannome dialettale Polvagnor, in italiano Polvere nera, a ricordo dell’antica tradizione di produrre in quella zona i carboni e della polvere nera che si sprigionava durante il processo di combustione e di insacchettamento dei carboni. La pelle, infatti, a contatto con la polvere del carbone, acquisiva una colorazione scura. Alcuni locali della vecchia masseria mostrano ancora i segni del rilascio di quella polvere nera anche sulle pareti di pietra della costruzione.

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Boschi e lupi nel territorio di Gioia del Colle

Boschi sul Pollino, in Lucania

I Romani chiamarono la Basilicata con il nome di Lucania, da lucus, che significa bosco; infatti la Lucania costituiva il luogo da cui essi attingevano il materiale ligneo soprattutto per la costruzione delle navi.

Come riferiscono alcune fonti documentarie, il territorio del Comune di Gioia nei tempi passati era coperto di boschi che erano utilizzati dagli abitanti sia per procurarsi la legna per usi domestici, come mobili o per ottenere carbone sia per cacciare selvaggina e raccogliere frutti ed erbe di cui cibarsi. I boschi, inoltre, offrivano sicuri ed inaccessibili ricoveri ai briganti locali e a quelli provenienti dalla Basilicata.

La vecchia strada lastricata BA-TA passava per Monte Sannace, ma già dalla fine de 1100 non era più percorsa ed era stata abbandonata, per la nascita e lo sviluppo dell’abitato gioiese. Continua la Lettura

Gli scudi e la quattro Porte di Gioia

Scudo della Porta Maggiore

A  quasi due anni dalla presentazione, (avvenuta il 27 settembre 2020 nel chiostro comunale), degli scudi e dei vessilli delle quattro Porte di Gioia del Colle, da parte de direttore artistico del “Palio delle botti”, Claudio Santorelli, gli stessi scudi sono stati sistemati nei relativi punti.

Infatti all’angolo tra Piazza Plebiscito e via Carlo III di Borbone, presumibile ubicazione della Porta  San Francesco è stato posizionato l’omonimo scudo, opera del pittore gioiese Sergio Gatti; all’incrocio di Piazza Margherita di Savoia con corso Vittorio Emanuele II è stato posizionato lo scudo della Porta Maggiore di Gioia, che probabilmente era ubicata all’imbocco di Corso Vittorio Emanuele II, opera del pittore gioiese Pompeo Colacicco; all’imbocco di Via Bartolomeo Paoli, angolo Corso Garibaldi è stato posizionato lo scudo della Porta San Domenico, opera del pittore gioiese Mario Pugliese; all’angolo tra via Paolo Losito e Piazza XX Settembre è  stato posizionato lo scudo Porta del Casale, opera del pittore gioiese Filippo Cazzolla. Continua la Lettura

La farinella

6 Luglio 2022 Autore:  
Categorie: Prodotti Locali, Storia

Forno per tostatura del granone

Spicca tra i cibi della tradizione popolare contadina di Gioia e delle famiglie povere l’utilizzo della farinella, ottenuta dalla molitura del granone.

Nel 1826 furono imposti i dazi sulla cottura del pane, sulla pasta, che dettero scarse entrate perché la popolazione, impoverita nei suoi guadagni, diminuiva l’acquisto di pasta e farina e mangiava fave e farinella di orzo. Alcuni, qualche volta mangiavano poca pasta, cotta sotto le braci.

Il Decurionato di Gioia nella seduta del 2 febbraio 1827 così si esprimeva: Vi è l’abitudine del popolo gioiese a mangiar legumi e minestre verdi, stemprate nella così detta farinella di orzo, e grano, e granone, molto più in quest’anno in cui il raccolto è stato pessimo a segno, che non solo si ottenne piccola quantità di derrate, e specialmente di grano, ma anche fu pessima la qualità, sino a non essere atta a seminarsi… questa popolazione, invece di ottenere grano, ne ottenne semplicemente la forma, per cui, macinandosi, appena dà crusca invece di farina. Il popolo in conseguenza si contenta, con maggiore osservanza degli anni scorsi, di mangiar fave con farinella di orzo.

Nel 1843, anno in cui i Decurioni decisero l’installazione di un Monte Frumentario, tra i quattro generi di principal  coltura figuravano le fave e l’orzo.

Le farine, la farina di grano e di orzo, nel 1871 furono sottoposte al pagamento del dazio di consumo, insieme al vino, all’uva, all’alcool e liquori, alle carni, al burro, alla frutta e allo zucchero. Continua la Lettura

Ristorante “La Cicerchia”

Filippo Addabbo ed il figlio Alessandro

C’è un prodotto agricolo, che fa parte della tradizione gastronomica di Gioia del Colle e che molti cittadini e ristoratori stanno valorizzando e riscoprendo, che prende il nome di cicerchia.

Nel dialetto gioiese nnòlche, compare in un proverbio dialettale: Ci se mange cìcere e nnòlche, la sére desciune se colche, chi mangia ceci e cicerchie la sera si corica digiuno, a significare che mangiando a mezzogiorno tali legumi, che sono sufficientemente sostanziosi, la sera si può fare a meno di cenare.

Il suo nome scientifico è Lathyrus sativus, ma la cicerchia è nota anche come pisello d’India o pisello d’erba.

È un legume povero da un lato, perché utilizzato in passato dalla popolazione rurale o quella più economicamente sfavorita, ma nello stesso tempo è particolarmente ricco di proteine, di vitamine del gruppo B, di fibre, di polifenoli, di sali minerali, di calcio e di fosforo.

Oltre a questi elementi positivi la cicerchia presenta un lato negativo in quanto contiene una piccola quantità di una neurotossina rappresentata da acido β-N-Oxalvl-L-α,β- diaminopropionico, detto ODAP, variabile a seconda delle caratteristiche del terreno e delle condizioni ambientali. Per ridurre al minimo la tossicità delle cicerchie occorre dedicare ad esse un ammollo di circa 24 ore prima della cottura in acqua preferibilmente salata e tiepida. Al momento della cottura è consigliabile sostituire l’acqua dell’ammollo con acqua pulita e non salata. Inoltre la cottura in acqua bollente e per un tempo piuttosto lungo contribuisce ad eliminare la potenziale tossicità della cicerchia e a renderla più digeribile. Continua la Lettura

Il testamento di Reone Guarnita, 14 settembre 1292

19 Novembre 2021 Autore:  
Categorie: Prodotti Locali, Storia

Testo del testamento di Reone Guarnita

Presso l’archivio della Biblioteca Provinciale “De Gemmis” di Bari si può prendere visione di un testamento di Reone Guarnita di Gioia, rogato dal notaio Nicola De Capite di Gioia il 14 settembre 1292  (V Indizione di Gioia), che ci porta a conoscenza di un pezzo di storia del nostro Comune.

Di particolare importanza notizie sulla presenza di alcune chiese in Gioia, sulla contemporanea presenza della duplice gerarchia ecclesiastica, quella latina e quella greca, le donazioni alla chiesa di San Francesco, alla Chiesa Matrice e un accenno alla chiesa di San Vito, che attesta  già a quella data il culto del Santo Martire nel nostro Comune.

Dal documento apprendiamo anche i nomi di alcune contrade di Gioia, notizie su alcune unità di misura, sulle produzioni agricole, tra cui frumento, orzo, vino e sull’allevamento di animali, come buoi, mucche, muli tori, giovenche.

Il testo che si riporta è la traduzione dell’originale, che presenta alcune lacune, segnalate con puntini sospensivi, di difficile trascrizione, perché mutilo nella piegatura centrale o macchiato dall’umidità.

Reone Guarnita, signore della Terra di Ioa, appressandosi il giorno in cui renderà la sua anima al Signore Dio dell’universo dichiara le sue ultime volontà. Continua la Lettura

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